Aggiornamenti sulla Scuola di Cultura Politica al tempo del coronavirus

by Gianfranco Meleddu | 31/03/2020 18:20

Dai primi di marzo i lavori di ristrutturazione della nuova sede in via marche sono stati sospesi, per la tutela della salute dei lavoratori, in ottemperanza alle disposizione del Presidente del Consiglio dei Ministri. In questa pagina[1] alcune foto sullo stato di avanzamento dei lavori

In video conferenza si è svolta l’assemblea dei soci che ha provveduto all’approvazione del bilancio e alla nomina di Franco Ventroni come Direttore della Scuola, al posto del dimissionario Franco Meloni. Tutti i documenti sono presenti nell’area riservata ai soci.

La Scuola di Cultura Politica, anche in questo periodo, è presente nella discussione dei temi che devono essere affrontati con estrema urgenza, cioè lavoro, sanità e scuola. In questo link il contributo di Gabriella Lanero, della Scuola di Cultura Politica, su “Riparliamo di Scuola[2]“

in questo periodo di quarantena Fernando Codonesu dedica a tutti noi una sua composizione

 
 
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RIPARLIAMO DELLA SCUOLA

by Gianfranco Meleddu | 31/03/2020 16:06

Gabriella Lanero – Scuola di Cultura Politica “Francesco Cocco” – Cagliari

In questi giorni si riparla della scuola: social, media e stampa riferiscono e commentano sull’informativa della ministra Azzolina al Senato, il 26 marzo scorso, in questi tempi di Covid 19.

All’informativa è seguito il dibattito in cui sono intervenuti nove senatori rappresentanti dell’opposizione e della maggioranza. Su questa presa di parola in una sede autorevole, mi pare importante soffermarsi.  Mi ha colpito subito il tono e il contenuto degli interventi, tanto che sono andata a cercarmi il resoconto stenografico della seduta al Senato.

Sono discorsi che danno un’idea della questione-scuola nella visione dei partiti di opposizione e di maggioranza che negli ultimi decenni si sono alternati al governo. L’attuale destra di opposizione ha retto le politiche finanziarie e scolastiche in buona parte del ventennio, ha riformato la scuola della Repubblica e dei cittadini proponendo un servizio scolastico on demand e ha ridotto notevolmente i suoi elementi più qualificanti: il tempo, le risorse e i docenti. I partiti dell’attuale maggioranza, nell’orbita del liberismo europeo, hanno dapprima accettato i vincoli e gli obiettivi dello sviluppo “della economia della conoscenza più dinamica e competitiva del mondo” e, negli ultimi anni, pur attenuando in certi casi i tagli, non hanno avuto la volontà o, per dirla con l’ex ministro Fioramonti, “il coraggio” di cambiare indirizzo.

Un primo elemento che accomuna gli interventi (forse perché non si spara sull’ambulanza della Croce Rossa?), è la condivisione della necessità di praticare una didattica a distanza via internet, quale principale alternativa (ma è caldeggiata anche quella dell’offerta sui canali RAI) a supplire la forzata interruzione dell’attività didattica.

Rispetto a questa soluzione, in tutti gli interventi è espressa una riserva: il gap rispetto alla fruizione delle opportunità che vengono offerte dalla scuola e la differenza territoriale o scolastica dell’offerta stessa.

Tale disparità suscita in tutti indignazione; per alcuni l’emergenza mette a rischio un principio irrinunciabile cui la scuola ispira la sua azione, come se il problema della differenziazione sociale rispetto all’efficacia dell’offerta scolastica che determina la dispersione e l’abbandono non fosse già rilevante; alcuni ancora, più critici, osservano che la soluzione della didattica a distanza rende più acute le difficoltà esistenti per gli studenti e le famiglie disagiate.

“Il gap che apriamo oggi, tra chi è nato in famiglie agiate che si possono permettere i migliori device e chi invece è nato in famiglie che hanno meno possibilità economiche, sarà difficilmente recuperato nei prossimi mesi. […]. Sintetizzando, chiedo di garantire a tutti gli studenti il diritto all’istruzione perché in nessun caso sarebbe accettabile formare studenti di serie A e studenti di serie B”.(Ronzulli Gruppo FI BP—UDC)

”Sappiamo però anche che uno dei compiti della scuola è proprio quello di accorciare le distanze e di dare opportunità a ciascuno. La quarantena ha messo in stand-by proprio il principio fondamentale dell’uguaglianza scolastica. Infatti, volenti o nolenti e nonostante gli sforzi encomiabili di tantissimi insegnanti che dal Nord al Sud hanno allestito la didattica online, è purtroppo vero che i nostri figli non stanno studiando come se la scuola fosse aperta e non stanno studiando tutti allo stesso modo. È in discussione il diritto costituzionale all’istruzione per tutti” (Faraone Gruppo IV -PSI )

Si rischia di tagliare fuori concretamente dal diritto allo studio tantissimi ragazzi. […]la didattica a distanza che tuttavia sappiamo bene non essere normata e che crea delle gravissime disparità in termini di accesso e non rispetta il criterio democratico ed egualitario” (Iannone FdI)

“Sappiamo che questa crisi anche nella scuola acuisce problemi già enormi, come la dispersione scolastica, che è insopportabile soprattutto in tante città del Sud; problemi che oggi sono ingigantiti perché – come mi ha scritto una insegnante – la didattica a distanza non è democratica, ma è terribilmente classista”. (Verducci PD)

 “Succede in questi giorni perché, come diceva don Milani,” non c’è niente di più ingiusto di fare parti uguali tra disuguali. (Verducci PD)

E le parole di Don Milani riecheggiano in modo diverso da più parti.

 “In questo momento non dobbiamo lasciare indietro nessuno, dice il senatore Iannone (FdI) riferendosi però alle scuole paritarie. “La scuola paritaria non è la scuola dei ricchi. Tutti devono sapere che in quest’Aula c’è lo Stato che pensa a tutti, che non crea discriminazione, che chiede sacrifici a tutti, ma che dobbiamo fare tutti in egual modo. […] Molte famiglie hanno pagato rette e rate molto esose e hanno bisogno di avere una parola di certezza e magari un ristoro.”

Con lui concorda anche l’ex sottosegretario del MIUR, Faraone, e su questo è ancora più esplicito il Senatore Cangini (Gruppo FI BP-PSI) C’è una cosa che balza agli occhi nel cosiddetto decreto-legge cura Italia: esso non cura affatto gli interessi di quel milione circa di studenti che sono iscritti alle scuole paritarie; delle loro famiglie […]. Viene meno così un principio costituzionale, quello della libertà di scelta per quanto riguarda l’istruzione, e viene meno il rispetto di una legge dello Stato, quella che ormai vent’anni fa – era il 2000 – ha stabilito che il sistema educativo italiano è unico e le scuole paritarie vi rientrano a pieno titolo”.

Certo, senza adeguate risorse non è possibile offrire un sistema integrato, assicurare le scelte, garantire il diritto allo studio in condizioni di uguaglianza e neppure, come diceva l’ex ministro Fioramonti, tamponare le emergenze che affliggono la scuola e l’università.

A meno che non si provveda, anche in questo caso, con la buona volontà e le risorse di chi a scuola lavora e, principalmente, dei docenti. Così tutti i senatori sono concordi nel ringraziarli e nel fare le lodi dei docenti e del personale tutto della scuola, come si fa per gli eroi della sanità pubblica.

“La verità è che, nonostante le sue lacune, c’è stata per fortuna una straordinaria risposta da parte di presidi e insegnanti – che ringrazio – che spesso, loro sì, hanno improvvisato, dimostrando però amore e attaccamento per il loro mestiere, ma soprattutto per i loro alunni”. ( Ronzulli  FI BP-UDC)

“Un sentito e doveroso grazie va, quindi, ai nostri docenti che, nonostante tutte le difficoltà di questo evento globale che nessuno poteva davvero prevedere e che ci colpisce così e ora, stanno portando avanti il programma scolastico sfruttando tutti i canali e le modalità disponibili pur di tenersi in contatto e in relazione con i propri alunni, consapevoli come sono che, ora più che mai, hanno bisogno di sentire la presenza della comunità scolastica nella loro vita.” (Maiorino M5S)

Eppure l’enfasi sul ruolo fondamentale della scuola c’è….

“È nelle aule di scuola, infatti, che si compie il destino di una società e di una democrazia. È lì che c’è il patto su cui fondiamo il nostro stare insieme, perché è a scuola che impariamo a conoscere noi stessi e gli altri; a mescolarci, a metterci in discussione, ad affrontare prove che sembrano legate alla didattica, ma che in realtà sono esistenziali. La scuola è infatti motore vitale per una comunità, non si deve inceppare[…]” (Verducci PD)

L’umanesimo fa spazio a metafore meccanicistiche che ci riportano alla didattica a distanza, agli investimenti passati, presenti e futuri per le dotazioni di hardware e device:

“Quel motore, signor Ministro, come lei ha detto, resta acceso grazie a uno strumento su cui abbiamo cominciato a investire nella scorsa legislatura: […]”(Verducci PD)

“Credo che questa emergenza potrà durare a lungo – e anche smettere di essere emergenza – e noi non possiamo essere organizzati con un filo volante provvisorio” (Faraone IV PSI)

“Il ministro Azzolina, dal canto suo, ha dimostrato di essere ben consapevole del digital divide che ancora impedisce, ad alcune aree geografiche del nostro Paese, ad alcuni istituti scolastici o singole famiglie, di avvalersi appieno degli strumenti di didattica a distanza. Ma questa esperienza sarà, ed è, la molla per superare un tale gap. Ecco, la sfida che ci ha messo di fronte, forse in maniera un po’ brutale, l’emergenza è probabilmente proprio questa: abbiamo scoperto che il divario digitale spesso corrisponde e alimenta, in un circolo perverso, un divario di natura più profonda, perché si tratta di un divario sociale, culturale ed economico. L’obiettivo non è dunque solo fare in modo che gli strumenti di cui ci stiamo dotando in questa crisi siano una risorsa utile per il domani. La didattica a distanza deve entrare stabilmente nella cassetta degli attrezzi delle nostre scuole, perché rappresenta uno strumento formidabile di apprendimento e partecipazione al fianco della didattica tradizionale. Ma l’obiettivo finale nell’implementazione della didattica a distanza è che essa rappresenti un valido strumento ulteriore per sanare altre disparità, che sono ben più pericolose e dannose alla società, e che non esistono da adesso” (Maiorino M5S).

Spero che sia solo un po’ di confusione fra didattica a distanza e didattica digitale, e mi pare assurdo che si consideri la didattica a distanza come soluzione per la dispersione scolastica, ma tant’è.

Tutti d’accordo dunque sui motivi di fondo e sugli investimenti con una sola critica ventilata dal senatore Buccarelli (Gruppo misto)

D’improvviso, in questo contesto inedito, c’è stato presentato il volto di una scuola che a distanza risolve ogni problema e realizza la migliore delle didattiche possibili, superando i limiti dello spazio e del tempo. Chi conosce la situazione concreta dei nostri edifici scolastici e delle loro dotazioni tecnologiche avrà provato qualche brivido, ma non è questo il vero problema, come non lo è la polemica contro la supposta forza della didattica a distanza, vista come una strategia, se pensata, o come una deriva, se solo acriticamente praticata per sminuire il ruolo della scuola pubblica e la sua insostituibilità. Tecnologie didattiche digitali possono benissimo concorrere a migliorare la capacità della scuola e dei docenti, ma non potranno mai sostituire la ricchezza della relazione educativa che si realizza nelle aule di scuola alla presenza di docenti e studenti. Una scuola chiusa non è solo un edificio chiuso: è una comunità che viene improvvisamente a mancare in quel territorio”.

Ma non è il tempo della polemica questo, sostiene il senatore del gruppo misto e anche io con l’ottimismo della volontà mi consolo a leggere degli impegni che prende il senatore Verducci del PD:

“Non deve essere, tuttavia, un grazie retorico; è il ringraziamento di chi prende un impegno: continuare a investire nella scuola pubblica, nel diritto allo studio, che è il più potente ascensore sociale; è il legame tra le generazioni, tra le istituzioni e i cittadini, perché l’istruzione pubblica è come la sanità pubblica, lo sappiamo più che mai in questi giorni”.

Nei discorsi di oggi, degli esperti e dei responsabili politici si ripete come un mantra: “questa crisi deve essere una sfida, un’opportunità”, siamo ad una svolta, una rivoluzione, cambieranno le logiche. 

Tutto sta nella direzione che si intende dare al cambiamento. Perciò, sarebbe meglio fare propositi seri per i prossimi anni scolastici: occorrono investimenti che migliorino le strutture, potenzino le risorse e rinnovino gli ambienti di apprendimento, occorrono tempi distesi per la didattica e la collegialità, che valorizzino le relazioni educative, allarghino le opportunità per ciascuno, consentano l’attenzione ai bisogni specifici, la vicinanza, l’accompagnamento, con forme di tutoraggio e sostegno per i più disagiati, e remunerino il lavoro necessario ad assicurare a tutti il diritto allo studio .

Per questo mi sembra il caso di ribadire con forza: anche nella scuola “non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità era il problema”.

(pubblicato anche su Democraziaoggi[1])

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  1. Democraziaoggi: http://www.democraziaoggi.it/?p=6523
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Convivere con il coronavirus e i suoi effetti collaterali

by Gianfranco Meleddu | 11/03/2020 10:25

Fernando Codonesu – Presidente della Scuola di cultura politica Francesco Cocco – Cagliari

Il coronavirus è un problema serissimo e non ci possono essere atteggiamenti e comportamenti superficiali al riguardo, tanto più ora che l’Italia intera è zona protetta, cioè zona rossa di fatto.

Certo, nella diffusione del virus e nella gestione mediatica della vicenda ci sono state comunicazioni spesso contradditorie, ma credo che sia necessario comprendere la gravità della situazione e accettare il fatto che questo virus ci accompagnerà per molti mesi ancora, senza specifici antivirali e, soprattutto, senza un vaccino da contrapporre al suo contagio, per cui tutti dobbiamo farci carico di stigmatizzare i comportamenti irresponsabili di quei tanti concittadini che non rispettano le prescrizioni governative contenute nell’ultimo DPCM e nei prossimi che verranno.

Incominciamo intanto a chiarire un aspetto tipico di certa vulgata “giornalistica” più dedita al sensazionalismo che alla sostanza delle cose. Mi riferisco qui all’uso delle parole, laddove si parla con tanta faciloneria di “progressione esponenziale” del contagio.

Esponenziale? Non scherziamo, per favore, perché ce n’è abbastanza così com’è anche senza scomodare tale funzione.

Si osserva che se si trattasse di una diffusione basata su una funzione esponenziale non saremmo in grado di riprenderla mai, altro che contenerla, perché non c’è al mondo alcun sistema politico e sanitario in grado di sviluppare un’efficienza ed efficacia tali da poter contenere e stroncare una pandemia basata su una funzione diffusiva di tipo esponenziale; neanche il sistema cinese che, ad oggi va riconosciuto senza alcun dubbio, è stato in grado di esercitare con gli strumenti propri del “regime” il confinamento” di oltre 60 milioni di persone. Bene, per la Cina è stato possibile fare questo, ma per un sistema democratico come il nostro e come quelli del mondo occidentale ciò non è possibile e neanche pensabile, anche se ci sono da tempo evidenti segni accentratori delle decisioni che, in anche in questo caso, pongono alcune doverose riflessioni sull’ordinamento democratico e sui suoi strumenti.

E veniamo al significato della progressione esponenziale. Per comprendere appieno la potenza di una funzione esponenziale basta ripensare al famoso aneddoto dell’incontro, in un tempo storicamente non ben definito, dell’ambasciatore persiano che mostrò al faraone d’Egitto il gioco degli scacchi. Il faraone imparò presto a giocare e se ne innamorò così tanto che per ringraziare il proprio ospite gli disse che gli avrebbe regalato qualunque cosa avesse desiderato. L’ambasciatore, dopo averci pensato con attenzione, chiese solamente del grano e gli propose di ricompensarlo con una quantità di grano basata sui 64 tasti della scacchiera che avevano di fronte con un conteggio che vedeva un solo chicco di grano sul primo tasto, due chicchi sul secondo, quattro sul terzo e così via continuando e raddoppiando, ovvero con una funzione esponenziale basata sul numero due con esponente crescente da 0 fino ad arrivare alla potenza 263. Il numero risultante sarebbe stato così grande da non poter essere soddisfatto dalla produzione di grano dell’Egitto dell’epoca, né del mondo conosciuto di allora e nemmeno di oggi in quanto si tratta di un numero equivalente a 1.800.000 milioni di tonnellate (si osserva che nel 2017, dati FAO, la produzione cerealicola mondiale era stimata pari a 2.640 milioni di tonnellate!).

Quindi no, per fortuna non si tratta di una diffusione di tipo esponenziale, ma è comunque una diffusione rapida e devastante se in poco più di un mese e mezzo questo virus è stato in grado di contaminare ben 106 paesi su 206 che costituiscono il mondo intero.

Cosa ci sta salvando?

In questa grave circostanza del coronavirus che è destinata a durare nel tempo, ci salvano i decreti del Governo e, soprattutto, il nostro sistema sanitario nazionale, uno dei più efficienti del mondo se non il più efficiente, con il suo principio di universalità perché la cura è garantita a tutti, ricchi e poveri e tutti vengono curati indipendentemente da quanti soldi sono presenti nel proprio conto corrente. Altra cosa di cui possiamo andare orgogliosi è che il nostro sistema sanitario è un “unicum” perché integra nello stesso sistema la sanità umana e la sanità animale, e ciò ne caratterizza la specificità, mentre in sistemi sanitari pubblici analoghi la sanità animale fa sempre capo al ministero dell’agricoltura.

Dobbiamo difendere e pretendere un’inversione di tendenza nei riguardi del sistema sanitario nazionale. In 10 anni di tagli per circa 37 miliardi di euro, tantissime risorse sono state dirottate verso la sanità privata e anche la Sardegna ha visto crescere questa tendenza, soprattutto con la nascita del Mater Olbia, così ribattezzato a seguito del fallimento e dello scandalo del San Raffaele in salsa olbiese, un ospedale di proprietà della Qatar Foundation finanziato dalla Regione Sardegna con 150 milioni di euro sottratti alla sanità pubblica nei soli primi tre anni, finora.

Certo, possiamo ritenerci fortunati perché il coronavirus si è sviluppato in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, le tre regioni con i migliori sistemi sanitari dell’intero paese che, anche se con difficoltà, hanno retto bene all’urto. Se, disgraziatamente, i primi focolai si fossero diffusi nelle regioni del Sud o in Sardegna, ne saremmo stati interamente e definitivamente travolti.

Vogliamo parlare del sistema sanitario degli USA dove le cure sono affidate al plafond della carta di credito? Tanto per citare qualche esempio sembra che ci siano pochi contagiati, ma intanto sono presenti dei casi di coronavirus in oltre la metà dei paesi membri e non si dimentichi che chi si fa fare un “tampone” deve sborsare 3500$, si avete letto bene. Con quei costi, chi si può permettere di fare il test con il tampone?

Da qui i pochi casi, finora, rilevati.

E gli otto miliardi e mezzo di dollari (equivalenti ai 7,5 miliardi di euro del nostro Governo) stanziati da Trump non sono andati al sistema sanitario, ma alla ricerca, ovvero alle aziende farmaceutiche statunitensi “private” che si vedono finanziare la ricerca degli antivirali e dei vaccini per poter guadagnare centinaia di miliardi con i finanziamenti pubblici. Un ragionamento analogo viene fatto in un recente intervento di Bill Gates che si può leggere su The New England Journal of Medicine. Tante considerazioni riportate nell’intervento di Gates sono condivisibili, soprattutto quando parla dei possibili effetti devastanti di un virus sconosciuto come il “coronavirus” nei paesi con sistemi sanitari poco organizzati come quelli di tanti paesi del continente africano e non solo. In quei casi, il suo auspicio è che ci sia una collaborazione tra il pubblico e il privato per poter affrontare i possibili casi di pandemia, in primis questa del coronavirus. Ma la logica di fondo è che il pubblico metta i soldi e il privato il know how, ma non viene mai neanche accennata la possibilità che dopo, per esempio una volta che si arrivi alla scoperta e alla commercializzazione del o dei vaccini, ci possa essere una condivisione degli utili. No, il pubblico è sempre la parte da mungere: è questa l’essenza del “capitalismo compassionevole” dei Trump e dei Gates per cui l’eventuale rimorso per aver fatto troppi soldi con lo sfruttamento di altri esseri umani può essere compensato con atti di filantropia per avere garantito l’accesso al paradiso. A me pare la solita vecchia storiella che la ricerca deve essere fatta con i soldi pubblici, le perdite delle aziende vanno sempre pagate dalla collettività mentre i profitti devono essere esclusivamente privati. Uno degli aspetti più deleteri della cultura del liberismo è anche questo paradigma che sembra accettato anche a sinistra nel nome del mercato quale entità in grado di autoregolarsi, mentre così non è. Anche nel caso di Gates come di Trump, perciò, non c’è niente di nuovo sotto il sole!

Da tutta questa esperienza deve venir fuori con forza l’esigenza di rafforzare la sanità pubblica perché è l’unica che ci garantisce il diritto alla salute e la qualità delle cure. Per cui va chiesta a tutte le forze politiche l’impegno a invertire totalmente il percorso avviato nell’ultimo decennio nella sanità. Per dirla con uno slogan, dai LEAS, Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria, sarebbe opportuno organizzarsi in modo tale da garantire i LUAS, Livelli Uniformi di Assistenza!

Il coronavirus rappresenta il paradigma della fragilità strutturale del modello di sviluppo che governa il mondo. Oggi più che mai, anche ripensando alla teoria delle catastrofi, appare sempre più evidente che il volo di una farfalla all’equatore può sconvolgere l’ecosistema del polo nord. Infatti, un nemico invisibile e infinitesimale come un virus, scoppiato in Cina, ha sconvolto l’economia mondiale, a partire dalle borse di tutto il mondo che hanno perso fino a questo momento circa il 30% del proprio valore: un disastro mai visto, neanche in presenza delle due guerre mondiali del secolo scorso!

E si sta portando dietro anche alcuni effetti collaterali in maniera aggravata sotto il profilo della democrazia.

Il primo è il pericolo di un’ulteriore spallata al sistema sanitario pubblico su base regionale a vantaggio di una sua ricentralizzazione come evidenziato dall’intervento di Antonio Dessì sul blog www.democraziaoggi.it.

A fianco a questo aspetto, infatti, se in questi ultimi 20 anni siamo stati abituati alla decretazione d’urgenza al punto che anche nella nostra democrazia parlamentare l’esecutivo (il Governo) è prevalente rispetto al legislativo, nella vicenda del coronavirus, come giustamente ci ha ricordato sullo stesso blog Andrea Pubusa in un suo recente intervento, si pone senza dubbio anche un problema di ordinamento democratico. Le decisioni sulla sanità vengono prese “espropriando” il ruolo delle Regioni. C’è da dire che in alcuni casi, primo tra tutti nel caso della Regione Sardegna del presidente Solinas, ampiamente trattati da Vito Biolchini sul proprio blog, un comportamento del genere da parte del Governo non è da biasimare viste le decisioni contradditorie esclusivamente propagandistiche prese dal presidente Solinas che rasentano la farsa in una situazione drammatica. Fatto questo doveroso inciso, è auspicabile che i DPCM siano presto accompagnati non solo da una consultazione di alcune forze di opposizione, ma siano ratificati da un vero voto del parlamento. Solo così non si violano le prerogative dell’equilibrio dei poteri su cui si basa la nostra Costituzione, anche perché un precedente come questo per cui l’esecutivo, formalmente legittimato da una situazione di emergenza, agisce d’imperio nei confronti di tutti (non succede neanche nel caso di una dichiarazione di guerra!) potrebbe essere presto usato da chi appena qualche mese fa chiedeva “i pieni poteri” con tutte le conseguenze facilmente immaginabili e allora, se non ci si oppone oggi, ci sarà ben poco di cui lamentarsi domani!

C’è anche la strana coincidenza della contemporanea presenza della più grande esercitazione militare degli ultimi 25 anni denominata Defence Europe 2020. Difesa nei confronti di chi? Della Russia di Putin e della Via della Seta di Xi Jinping? Ancora una volta, l’Europa dov’è? Perché continua ad essere così supina nei confronti degli USA a oltre 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale quasi non potesse scegliere liberamente anche altre strategie di sviluppo e di cooperazione?

Al di là di considerazioni di geopolitica, nel caso in questione bisogna parlare a voce alta di oltre 20.000 soldati americani con le loro famiglie liberi di circolare in Europa con tutte le restrizioni previste per noi europei mentre loro non sono tenuti al rispetto di nessuna precauzione e comportamento rispettoso dei vari provvedimenti emanati da ciascuno Stato. I soldati americani sono speciali anche all’interno della NATO, nel senso che non rispondono alle regole comuni ma solo alle proprie regole. E’ la legge del più forte! Insomma, dal punto di vista della diffusione del virus è un disastro perché ci saranno comunque almeno 20.000 potenziali untori a stelle e strisce, senza che si sia formalmente levata neanche una parola di protesta da parte degli stessi organismi europei e tanto meno da parte dei singoli Stati.

Appunto, si tratta di effetti collaterali che rischiano di aggravare il già pesante quadro politico sociale in cui si sta diffondendo il coronavirus.

Ci possiamo consolare con l’OMS che, con il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus, così si è espressa su Twitter: “Il governo e i cittadini italiani stanno compiendo passi audaci e coraggiosi per rallentare la diffusione del coronavirus e proteggere il loro paese e il mondo. Stanno facendo autentici sacrifici. L’OMS è solidale con l’Italia ed è qui per continuare a sostenerla”.

Qualche altra considerazione riguarda più in profondità il nostro rapporto con la morte e con la sua anticamera rappresentata, per molti aspetti culturali, dalla peste e dalle pandemie.

Se guardiamo al mito, alla letteratura e alla storia, un tempo era un dio irato che scagliava il “feral morbo e la gente perìa”, poi in tutto il medioevo la peste era comunque dovuta ad una punizione divina (simile come si vede a quella del dio omerico) contro i peccati degli uomini, poi venne additata come causa la “bestia immonda”, topi, pipistrelli, scimmie, maiali, e oggi di nuovo i pipistrelli. La sequenza degli eventi riportati nella storia è nota: la peste di Giustiniano diffusa nell’impero bizantino intorno al 540 D.C. ;  la peste nera con circa 20 milioni di morti stimati in Europa tra il 1347 e il 1353 e prima almeno altri 5 milioni di morti in alcune zone della Cina, la peste del ‘600 ricordata da Manzoni nei Promessi sposi con il suo lazzaretto che ci riporta anche ai nostri giorni, il vaiolo, il colera, e ancora la peste suina africana, l’aviaria, l’HIV, la SARS.

Insomma pagano sempre gli animali.

Le tecniche moderne di confinamento che stiamo attuando in questi giorni affondano le radici nella cultura medievale e, in effetti, di fronte a un nemico invisibile e così subdolo non abbiamo altre armi che quella di comportamenti responsabili che, limitando al massimo i contatti umani, rendano estremamente difficile per il virus trovare altri spazi di diffusione

L’unica arma seria a disposizione è stare il più possibile a casa, evitare ogni possibile contatto con l’autoisolamento ed evitare il collasso del sistema sanitario, anche perché non ci sono unità di terapia intensiva sufficienti per una diffusione drammatica come questa a cui assistiamo quotidianamente.

Vanno allora rifiutati e condannati in quanto pericolosi per la salute pubblica tutti i comportamenti basati su superficialità e minimizzazione che tendono a considerare il coronavirus come una normale influenza, perché della normale influenza non ha nulla: né del tasso di mortalità né della velocità di diffusione.

E allora bisogna prendere questo virus come un fatto molto serio da cui, se ci saranno comportamenti responsabili, ne verremo fuori più forti e più consapevoli della nostra fragilità come di quella del mondo che abbiamo costruito.

Ma bisogna essere coscienti che il fenomeno durerà ancora a lungo e con questo continueremo a convivere e deve essere una convivenza attenta anche a tutto ciò che gira intorno al coronavirus, avendo la forza di denunciare ogni fatto ed effetto collaterale che alterino le regole della democrazia e della rappresentanza.

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