by Redazione Scuola | 17/05/2025 09:28
C’è una parola il cui uso è diventato “ straripante” ed è l’uso indiscriminato della parola “Nazione”. Essa viene usata per indicare uno Stato, un Paese, come se i tre termini fossero intercambiabili.
Ora, basta vedere il significato spiegato dalla Treccani per rendersi conto che così non è.
Dice la Treccani: Nazione -Il complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica.
Ora l’uso strumentale che del termine fanno, quasi ossessivamente, la Presidente del Consiglio e la destra tutta, è comprensibile anche se non condivisibile. Dato che il nostro paese è tutto fuorché una Nazione, è l’insieme di più nazioni e quindi di più nazionalità.
Come dimenticare i tedeschi e i ladini del Trentino Alto Adige, i Sardi, i francesi della Valle d’Aosta ecc.
Ma il fatto è che l’uso ossessivo indiscriminato ha fatto sì che il termine venisse sdoganato indifferentemente per indicare il concetto di Paese o Stato da chicchessia, compresi i giornalisti, anche quelli della cosiddetta area progressista, opinionisti ecc.
Rimango colpita da tale uso nella bocca di un Formigli o di una Ferrario, per fare solo due esempi di giornalisti che stimo, di area non governativa, dai quali mi attenderei un uso meditato delle parole.
Diceva papa Francesco. “Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la terra”.
Direi che questo dovrebbe essere il compito di tutti quelli che lavorano con le parole, insegnanti, scrittori, attori, giornalisti, ecc.
Perché penso che la parola “Nazione” armi il linguaggio.
Perché è un termine di separazione, indica una appartenenza che, se non debitamente gestita, può portare a conflitti. Anzi se ci guardiamo attorno, molte guerre nascono da un cattivo uso e percezione del termine.
L’Italia unita è sicuramente l’unione di diverse nazionalità. Questa è la storia del nostro paese nel quale permangono le distinzioni originarie. Pensiamo alla Sardegna ed alla sensibilità autonomistica del nostro popolo. Ma potrei continuare con mille esempi.
Gli Stati Uniti d’America sono tutto fuorché una Nazione e quando sento parlarne come di una Nazione ho un sussulto.
Ricordo quando si affacciò nello scenario politico del nostro paese (non nazione), la Lega di Bossi. Insegnavo e condividevo il lavoro con un ottimo insegnante di italiano e storia di posizioni sardiste-indipendentiste, con il quale lavorai molto bene. Questo tema era per noi molto vivo.
Decidemmo di fare un gemellaggio con una scuola siciliana, anziché con una scuola europea. Temevamo che questa spinta separatista, potesse portare conseguenze deleterie.
Volevamo che i ragazzi capissero la differenza tra nazione, nazionalità, indipendentismo, autonomismo e unità dello Stato.
Tra nazionalità e cittadinanza.
Speriamo di aver lasciato un buon segno.
Anche se l’aria che tira non tranquillizza.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/disarmiamo-le-parole-lossessione-della-parola-nazione-di-rosamaria-maggio/
by Redazione Scuola | 15/05/2025 22:02
Urlo e scalcio violentemente. Un tonfo e mi sveglio tutto sudato. Sono per terra vicino al letto. Al risveglio i miei sogni svaniscono sempre, questa volta no: c’è un estraneo in casa, chiamo aiuto, una persona a me cara si precipita verso di me, ma non mi aiuta e ansimando tenta di mordermi. Poi il mio urlo.
La sera prima mi avevano coinvolgo in una animata discussione su Donald Trump…
– E già, ma anche tu, farti coinvolgere in queste cose con personaggi simili…
– Beh, ha vinto le elezioni americane…
– Quindi?
– Rappresenta il capo di Stato oggi più aggressivo della destra mondiale e anche quella più retriva e incolta; ed è il presidente degli Usa, lo Stato più potente del mondo.
– Quindi?
– Beh, quando mi han detto che Trump sta solo facendo gli interessi del suo popolo e, citando il suo consigliere Elon Musk, mi han raccontato che l’empatia sta rovinando l’umanità…; beh!, non potevo certo stare zitto e sono sbottato.
– Bravo!
– Grazie.
– Veramente il mio “bravo” era ironico, arrabbiarsi serve a poco, occorre riflettere.
– Giusto, bisogna riflettere, ma tu chi sei?
– Quasi niente…
– Cioè?
– Un pensiero che sfugge o un‘intuizione che prima trascuri e poi ti riappare, un’ombra che ti sembra qualcosa e poi scompare, una persona che cammina a piedi scalzi che ti pare di intravvedere.
– Mi stai confondendo, ho perso il filo. Eppoi, ripeto, non mi hai ancora detto chi sei, nè che cosa vuoi.
– Calma, innanzi tutto sei tu che mi stai coinvolgendo.
– Veramente mi sei apparso tu tra queste righe, così, di colpo.
– Già, ma chi le sta scrivendo “queste righe”?
– Va beh sì, io però…
– “Però…”, se mi hai coinvolto, vuol dire che c’è un motivo, forse quel “quasi niente” che mi ha fatto apparire nel tuo scritto.
– Potrebbe, ma in verità non ricordo.
– Allora concentrati e rifletti, fa sempre bene.
– Ma io rifletto, eccome e pure molto!
– Bando alla presunzione, piuttosto sarebbe più saggio pesare e analizzare meglio le parole quando le si usa, loro ti aiuterebbero.
– Ma davvero?
– Non fare lo spiritoso, piuttosto osserva l’etimologia: ad esempio “riflettere” deriva da reflectĕre, ri-piegare, piega indietro; come a dire volgi indietro lo sguardo.
– Quindi?
– Non soffermarti solo su quello che ti sembra più ovvio.
– Fosse facile: appari all’improvviso e mi sballottoli da una parte all’altra.
– Non ti distrarre: il nostro contesto è un dialogo, quello che stiamo facendo in questo momento, giusto?
– Beh, sì, mi sei come caduto sulla pagina.
– Non svicolare con falsi problemi. Sei tu che mi hai cercato facendomi apparire nel tuo scritto. Forse sono un transfert prodotto dalle tue inquietudini, qualcuno che pensi possa darti un aiuto per capire Trump.
– Trump?
– Sì il nuovo presidente degli Stati Uniti, il responsabile indiretto del tuo incubo, di cui mi hai accennato poco fa.
– Già, ricordo, mi sono svegliato urlando. Si tratta di un personaggio non solo xenofobo, illiberale, misogino, prepotente e anti scienza, ma pure bugiardo seriale e falsificatore della realtà.
– Ho dato un’occhiata e visto che nega anche il cambiamento climatico, che nelle penultime elezioni ha inventato che fossero state truccate. Poi noto che dice fandonie a ripetizione: sull’inflazione e sui dazi ad esempio, sugli immigrati illegali negli USA afferma addirittura che siano il frutto dello svuotamento delle prigioni e dei manicomi da parte dei Paesi esteri e che questi li spingano ad andare negli USA. Afferma pure che il canale di Panama sia gestito dai cinesi, mentre la repubblica di Panama lo possiede e gestisce dal 1999. Ma l’elenco delle sue bugie è lunghissimo e non credo che tu ti possa permettere, qui ed ora, di inserirlo tutto nel tuo articolo-dialogo.
– Già, ma il problema che affligge me come tantissime altre persone è il sapere che vi sono decine di milioni di persone che gli credono e lo seguono sino a farne un mito. Mi spaventa questo eludere la realtà delle cose e questo modo di accettare tutto quello che dice Trump senza un minimo di analisi razionale.
– Forse posso aiutarti, ma dovrai assistermi anche tu dialogando con me. Ma andiamo per gradi.
– D’accordo, però una cosa di te mi è rimasta in gola: spiegami perché non hai condiviso la mia rabbia sulle farneticazioni del miliardario Elon Musk quando afferma che “la debolezza fondamentale della civiltà occidentale è l’empatia”.
– Attenzione, io ho criticato il tuo “sbottare” come da te precisato, non la tua indignazione che reputo più che giustificata.
– Guardi alla forma e non alla sostanza?
– Ma che discorsi fai? La mancanza di forma implica spesso assenza di rispetto e lealtà verso la o le persone che hai davanti, nonché una forte carenza di riflessione.
– Già, tu sai tutto!
– Per niente, io so solo una cosa: di non sapere.
– Questo mi ricorda qualcosa…
– Bene, rifletti ancora un po’: che cosa vuol dire “non sapere”?
– Che non si conosce un qualcosa…
– Certo, ma che cos’è quel qualcosa che diventa più importante di tutte…
– Caspita: sei Socrate!
– Socrate. Diciamo di sì. In questo momento, tranfert o meno, e proprio perché stiamo dialogando assieme, io sono Socrate e tu sei il mio attuale autore.
– Autore. Spiega meglio.
– S. allargherei il discorso: il dialogo va sempre fatto con un interlocutore con cui ci si misura. Io e te, ad esempio, ci stiamo reciprocamente confrontando, stiamo iniziando un percorso che, se continuato con onestà, ci porterà a una forma di leale apertura in grado di “mostrarci” reciprocamente.
– A. Mostrarci?
– S. Sì, nel senso di un vedere reciproco che ci fa percepire e sentire il nostro spirito o, se preferisci, il nostro modo di essere e quindi di pensare e di amare, scegli tu l’espressione a te più congeniale.
– A. Scusa, non ti seguo, sono ancora frastornato dal trovarmi nella pagina niente meno che Socrate.
– S. Tranquillo, ti sto dicendo che io posso capire sempre più me stesso, quanto più riesco a capire te.
– A. Facile a dirsi, e come?
– S. Percependo e sentendo, tramite il nostro dialogo, il tuo modo di essere. E lo stesso capita a te nei miei confronti.
– A. Sarà semplice per te, ma io non riesco a capire.
– S. Che c’è di strano, questa è la potenza, o la meraviglia se preferisci, del dialogo, anche se solo immaginato come stai facendo tu con me.
– A. Certo certo, Socrate, ma non ti allargare troppo, altrimenti mi perdo di nuovo: mi sembra di trovarmi in un labirinto.
– S. Giusta osservazione, non spaventarti: il dialogo è come un labirinto infinito e virtuoso in cui ogni svolta, anche se non lo sai e spesso ne hai timore, ha il valore di una scoperta, del calore di un abbraccio o del colore di un bacio. Quindi non temere, la confusione ti apre e spalanca avventure nuove e, se ti lasci andare, spesso meravigliose.
– A. D’accordo, però continuo a sentirmi smarrito, come se camminassi sull’orlo di un precipizio.
– S. Allora siamo sulla buona strada, l’orlo del precipizio rappresenta le tue certezze, quelle che temi di perdere; mentre sono solo false sicurezze, gabbie che ti impediscono di conoscere te stesso attraverso gli altri e viceversa.
– A. D’accordo, mi affido a te, Socrate.
– S. Direi che ci stiamo come guardando negli occhi ed è così che, pian piano, io riesco a vedere il tuo animo e proprio per questo vedo anche il mio. E lo stesso sta capitando a te. Questo è il frutto del dialogo.
– A. Chiaro, quasi, ma gli interrogativi su Trump li abbiamo lasciati da parte?
– S. Affatto, anzi il dialogo è indispensabile anche per questo.
– A. Sarà ma appena mi sembra di capire qualcosa, subito mi devo ricredere.
– S. Pazienta un attimo: ricordi le immagini dell’assalto al Campidoglio del gennaio del 2021 da parte di un gruppo di americani fanatici incitati da un discorso di Trump, che contestava l’elezione di Joe Biden?
– A. Certamente, quelle immagini hanno fatto il giro del mondo.
– S. Bene, ti sembra che quelle persone stessero dialogando o fossero reduci da un dialogo? Ti sembra che il discorso che aveva tenuto poco prima Trump, pieno di rumore, furore e odio fosse un dialogo?
– A. Ovviamente no.
– S. E come erano quelle persone che hanno assaltato il Campidoglio?
– A. Fanatici e arrabbiati.
– S. Sì, alcuni anche mascherati, quasi fossero presi dal compimento di un rito, in ossequio al mito di Trump.
– A. In che senso parli di Trump come di un mito?
– S. Perché per loro non aveva importanza che ci fossero state le elezioni e che tutti gli organi di controllo le avessero convalidate. Per loro i fatti che contraddicevano il mitico Trump, colui che secondo loro gli dava voce, non avevano valore.
– A. Proprio così.
– S. Ma perché? Te lo sei domandato? Pensi proprio che tutti coloro che appoggiano Trump siano incapaci di pensare un qualcosa di razionale? Che cosa significa seguire un mito?
– A. Durante l’assalto al Campidoglio sembrava che quegli americani fossero sotto l’effetto di allucinogeni per quanto erano invasati.
– S. Grazie alla possibilità dei miei viaggi sulle ali della storia, ho visto anch’io quelle scene e posso aggiungere che in termini di fanatismo, hanno molte somiglianze con quelle prodotte dai fondamentalismi religiosi in Iran (i guardiani della rivoluzione islamica) o in Afghanistan (il regime dei talebani); ma non solo: anche nella destra oltranzista che guida Israele nella strage genocidaria di decine di migliaia di persone che si sta compiendo a Gaza o nei fondamentalisti di Hamas che hanno brutalmente assassinato oltre 1.200 persone e rapite 240 nell’attacco a sorpresa nel sud di Israele dell’ottobre del 2023, vedo un fanatismo analogo. Così come lo scorgo anche in Putin che invade l’Ucraina pensando alla vecchia URSS e all’impero zarista; e vedo lo stesso fanatismo nella guerra in Congo, in Sudan e in tantissime altre parti del vostro sanguinoso mondo.
– A. Noto che sei molto informato e spero sappia che hai toccato temi anche molto divisivi.
– S. Questi sono problemi tuoi, l’articolo è tuo.
– A. Grazie, però tu ne sei diventato il personaggio chiave.
– S. Allora dialoghiamo.
– A. Torniamo a Trump, Socrate, come te li spieghi quei fatti legati all’assalto del Campidoglio?, o, meglio, perché Trump ha rivinto le elezioni?, e perché ha tanto seguito?, nonostante le innumerevoli bugie che utilizza come clava per la sua politica di prepotenza e potenza?
– S. Ripensiamo un attimo all’assalto al Campidoglio, per l’eco mediatico e simbolico che ha avuto nel vostro occidente: un gravissimo tentativo di sovvertire l’ordine democratico in un Paese da voi considerato, a torto o a ragione, una grande democrazia.
– A. Già, vedremo se questa democrazia resisterà alla spallate di Trump; se pur con tutti i suoi difetti, gli Usa dei poteri bilanciati e dello stato di diritto riuscirà a stare in piedi e a mantenere il suo carattere interno negoziabile.
– S. Questo lo lascio a voi del XXI secolo. So bene che il problema Trump rappresenta più di tanti altri l’enigma del populismo nazionalista: l’eliminazione delle mediazioni e contemporaneamente l’affidarsi a un unico personaggio forte e il chiudersi verso l’esterno.
– A. Va poi detto, Socrate, che il successo di Trump si basa pure su problemi reali: la sua base elettorale è spesso composita, composta da un ceto medio impoverito dalla globalizzazione selvaggia e che coltiva tutti i pregiudizi possibili (contro i migranti, le elite, la cultura ecc. ecc.).
– S. Ora ti rifaccio sostanzialmente la stessa domanda che prima hai rivolto a me, e che sembra il convitato di pietra di questo nostro dialogo: com’è possibile che decine di milioni di persone si turino il naso e le orecchie e anche gli occhi per seguire cose come i fantomatici complotti a scapito dell’umanità orditi da una specie di Spectre segreta assetata di sangue, pervasiva e crudele, spesso ispirati dalla destra trumpiana?
– A. Caspita, Socrate, per essere vissuto circa duemila e quattrocento anni fa, sei molto informato sull’oggi.
– S. Ti confesso, però, che queste idee complottiste quasi mi spaventano, oltre a rattristarmi parecchio. Prosegui pure tu.
– A. Già, in questa narrazione complottista si va dalla “Grande sostituzione”, mito neo-nazista secondo cui i bianchi vengono sostituiti dai non bianchi, sino alla teoria cospirazionista detta “QAnon” diffusa negli Stati Uniti a partire dal 2017 sulla base della quale esisterebbe una sorta di stato nascosto mondiale, un deep state globalizzato, composto da celebrità di Hollywood, miliardari e politici democratici dediti alla pedofilia e al satanismo, contro cui il presidente Trump condurrebbe una strenua lotta per smascherarne le trame occulte.
– S. Non dimenticare la pandemia del Covid-19 che è stata fertilizzata da tantissimi presunti complotti orditi anche da chi, tramite i vaccini pensava venisse inoculato nelle persone un qualcosa di microscopico in grado di controllarle. Per poi continuare con una miriade di teorie antiscientifiche, senza alcun riscontro fattuale, ma usate anche per negare il cambiamento climatico. Il grosso problema vostro, però, è che di fronte a questi complottismi, siete sostanzialmente impotenti.
– A. Sì, come arginare infatti teorie che si basano fondamentalmente su questi tre argomenti: 1) nulla accade per caso; 2) nulla è come sembra; 3) tutto è connesso.
– S. Certo avete un bel problema. Se nulla è come sembra, qualsiasi confutazione razionale viene meno in quanto mancano i punti d’appoggio da cui partire. Poi se tutto accade per caso, viene meno la possibilità di qualsiasi rapporto causa-effetto e il fatto che tutto sia connesso può permettere la giustificazione di qualsiasi cosa. In sintesi quei tre pilastri permettono di avvalorare qualunque avvenimento senza tema di smentita.
– A. Come uscirne, quindi?
– S. Cambiando strada.
– A. Cioè.
– S. Mi sembra che tu e tutti voi, che puntate a un mondo più in armonia tra gli esseri viventi, stiate facendo però un grosso errore.
– A. Che cosa staremmo sbagliando?!
– S. Volete arginare questi irrazionalismi, tipo il complottismo di cui Trump è un protagonista di spicco, trascinandoli sul vostro terreno, quello della razionalità.
– A. Ora non capisco di nuovo, che cosa dovremmo fare altrimenti?
– S. Seguimi: ciò che è irrazionale, falso ecc. ecc., è per definizione non razionale…
– A. Ovvio!
– S. Allora perché vuoi attirare questo “nodo” privo di fondamenti razionali, o immagine di un mondo irrazionale, o se preferisci questa idea magica e mitica dell’esistenza, nel cerchio della razionalità e del pensiero scientifico? Non capisci che coi suoi metodi questo “nodo” dimostrerà sempre a sé stesso e a chi crede e si rifugia in queste credenze irrazionali, che tu hai torto e che sei tu e non loro, vittima o complice di cospirazioni e complotti che distorcono la percezione della realtà. In questo modo, inoltre, tu non potrai mai dimostrare che quel tipo di atteggiamento è scorretto, né che si basa su dati inesistenti e privi di qualsiasi consequenzialità. E questo perché – come da te accennato – uno dei capisaldi dei complottisti è che “niente è come sembra”.
– A. Scusa, Socrate, questo pessimismo mi sconcerta. In verità ho sempre pensato che il tuo dialogo potesse in ogni caso raggiungere un punto di equilibrio, invece…
– S. Non essere frettoloso e ricordati che riflettere non vuol dire avere la soluzione dietro l’angolo.
– A. D’accordo, ma se gli strumenti della razionalità non funzionano, come arginare questa concezione del mondo che vuole riconfigurare i rapporti umani come interni a un’arena di contrattazioni continue in cui vince il più prepotente e chi la spara più grossa in termini di presunti complotti?
– S. Ci arriveremo tra poco. Ora, però, vorrei aggiungere altri due elementi di riflessione.
– A. Ancora?
– S. Non essere impaziente…
– A. Io ho dei tempi e degli spazi da rispettare.
– S. Certo certo, però ora seguimi. Riflettendo sul discorso legato alla prevaricazione, ci si accorge di due aspetti importanti: il primo è che l’idea stessa di vittoria implica sempre la presenza di uno sconfitto, quindi di una persona subordinata. L’etimologia di sconfiggere deriva dal latino exconficere, annientare, sfinire, abbattere; il contrario di un qualcosa che possa produrre la ben che minima parvenza di felicità. E la parola vincere, rafforza ancor più questo aspetto.
– A. La vita, però, non è altro che una continua gara.
– S. Ma la gara non è un combattimento con vincitori e vinti.
– A. ?
– S. La parola “gara” deriva da garare, concorrenza, emulazione: correre con altri per emularne le virtù, che si formano appunto solo assieme agli altri. E’ entrata nella vostra storia la foto di Coppi e Bartali che in una gara ciclistica si passano la borraccia dell’acqua mentre continuano a pedalare.
– A. Bel ricordo e va bene, ma qual è il secondo aspetto di cui mi hai accennato?
– S. E’ legato alla vittoria e alla sua crudeltà.
– A. Addirittura!
– S. la parola “vincere” presenta un’etimologia molto varia ma sempre di sopraffazione, da vincire, legare e vinculum, catena: il nemico vinto, legato, incatenato e ridotto in servitù.
– A. Già, ma come arginare questa concezione del mondo basata sui rapporti di forza che si nutrono e crescono soprattutto sulle menzogne e i complottismi di cui abbiamo parlato prima?
– S. Il problema non è semplice e in molti, nel tuo tempo, ci stanno riflettendo. Permettimi di richiamare il Fedro, un dialogo in cui il mio allievo Platone riporta alcuni eventi che mi erano capitati.
– A. Bene , so che in quel dialogo si parla dell’amore e che vi sono tre discorsi sull’amore, che servono anche come esempio di articolazione della retorica.
– S. Certo, ma io preferisco soffermarmi su un altro aspetto di quel dialogo dai più considerato secondario.
– A. Riprendo un attimo la parola.
– S. Te la cedo pure tutta, sei tu l’autore.
– A. No, no, Socrate, vorrei solo toglierti dall’imbarazzo visto che ne sei il protagonista, e ricordare che in quel dialogo, tu e Fedro siete usciti discorrendo dalla città e percorrendo l’Ilisso, un ruscello che si trovava poco fuori Atene, state cercando un luogo fresco in cui sedersi a parlare.
– S. Certo mio autore. In quell’occasione Fedro mi chiese “non è proprio di qui, da qualche parte dell’Ilisso, che si racconta che Borea rapì Orizia?”. Ed è proprio in questo punto del discorso che entriamo nel cuore di quel che vorrei dire sui miti.
– A. Sono tutto orecchie.
– S. Orizia era una ninfa figlia del re ateniese Eretteo. Il mito racconta che Borea, personificazione del vento del nord, rapì Orizia.
– A. A quel punto, nel dialogo, interviene Fedro.
– S. Sì, ricordo le sue parole: “Ma dimmi, per Zeus, tu Socrate, credi che questo mito sia veritiero?” e io gli rispondo in modo un po’ articolato e…
– A. Non mi tenere sulle spine, racconta e spiega, ti prego.
– S. Preciso che quelli che vengono considerati i sapienti di allora, i sofisti, non ci credono e che seguendo il loro ragionamento avrei potuto sostenere che un soffio di Borea avesse fatto precipitare Orizia dalle rocce vicine, dove giocava con un’altra ninfa sua amica, Farmacia.
– A. Anche tu dai questa spiegazione di quel mito?
– S. No, e rispondo a Fedro che, seppure quelle interpretazioni siano anche piacevoli, mi sembrano troppo ingegnose e laboriose.
– A. Però danno una spiegazione razionale.
– S. Appunto ma solo all’interno di una razionalità che direi troppo facile. I miti sono tanti (dagli Ippocentauri, metà uomini e metà cavalli, alla Chimera composta da parti di leone, di capra e di serpente; alle Gorgoni Steno, Euriale e Medusa, che si narra trasformino in sasso chiunque le guarda; a Pegaso, il cavallo alato nato dalla testa di Medusa e a moltissimi altri) ed è anche impossibile intervenire su tutti.
– A. Quindi tu, Socrate, rinunci a capire per non impelagarti in lungaggini eccessive?
– S. Affatto, semmai ti invito di nuovo a riflettere. Che cosa sono i miti? C’erano nella mia antica Grecia e ci sono anche oggi nel tuo mondo, meticciati con una infinita miriade di linguaggi simbolici. Sono modi di dare un senso alla realtà, sono spesso il frutto di emozioni, sentimenti, rabbia, dolore, paura di persone che cercano un modo per capire qualcosa che non comprendono e di farlo senza un ragionamento logico, ma appunto in modo mitico.
– Quindi i sofisti di allora potremmo paragonarli ai razionalisti di oggi?
– In parte, sì: sapere che da una premessa falsa puoi dimostrare qualunque fandonia, come racconta in modo rigoroso la logica formale, non basta, non in questo caso se si vuole capire prima ed arginare poi, questi fenomeni di falsità irrazionali.
– A. Fammi capire: che tipo di spiegazione avevi dato a Fedro?
– S. Gli dissi e lo sottolineo anche a te, che coloro che vogliono rendere verosimili i miti dandone solo una spiegazione razionale, quindi trascurandone la profondità dei loro aspetti mitici, con tutta la loro carica vitale di materialità ed erotismo, non riusciranno a ottenere alcun risultato positivo. Gli rimarcai che mi sembra che questi sofisti volessero cancellare con un colpo di spugna tutto quell’insieme di piccole grandi credenze che gli esseri umani utilizzano da sempre per dare un senso a un qualcosa per loro ignoto e per controllare così le proprie paure.
– A. Quindi, come superare questa impasse?
– S. Le vostre scienze hanno fatto oggi passi da gigante in tutti i campi, dalle neuroscienze alle matematiche. E soprattutto vi stanno dicendo con convinzione che tutti i saperi sono collegati e interconnessi tra loro.
– A. E tu che dici?
– S. Io posso affermare che quella che io ho chiamato, nella mia chiacchierata con Fedro “sapienza rustica”, e che oggi potresti denotare come una razionalità vecchia e di stampo positivista che semplifica e non tiene conto della complessità del reale, va decisamente abbandonata.
– A. E tu, nel tuo mondo sei riuscito a farlo?
– S. Io non ho mai amato le semplificazioni. Infatti mi definivo e mi definisco un atopos, un atipico, strano, stravagante. Ma non a tutti piaccio: Polo nel dialogo Gorgia di Platone utilizza atopos per definirmi al negativo come un inconcludente.
– A. Infine e tornando a Trump?
– S. Lui, come già detto, è diventato un mito, seppure dal mio e dal tuo punto di vista, un mito del tutto negativo, ma sempre un mito, così come lo è Putin per tante altre persone.
– A. E quindi?
– S. In primo luogo occorre capire a che esigenze rispondono questi miti e in parte lo abbiamo già detto. Ma non basta, occorre agire con progetti sulla carne e sangue, gioie, dolori e speranze, di chi li sostiene; cercando, però ed è importantissimo, di crearne altri di miti, ma questa volta virtuosi.
– A. Esempio?
– S. Martin Luther king lo era, Mandela lo era, Rosa Parks lo era: davano entrambi concretezza ai sogni di riscatto e di giustizia e facevano crescere le speranze.
– A. Nel Fedro di Platone, tu affermi che non hai tempo da perdere per rendere verosimili i miti.
– S. Da quello che abbiamo detto, non serve renderli verosimili perché questo non elimina il loro significato più profondo.
– A. Suggerisci almeno un modo per capire meglio la formazione dei nuovi e virtuosi miti.
– Conosci te stesso. Dovete tutti impegnarvi di più a conoscere voi stessi, ma questo è possibile solo se, come si è già detto, entrate nello spirito dell’altro e viceversa. Se vi meticciate tutti e sempre di più tramite il dialogo. Ed è questo il modo per formare anche tanti nuovi Mandela, Rosa Parks e Martin Luther King. Ricorda: il dialogo è contagioso ed è un atto profondamente politico: capendo gli altri, conosci te stesso e la città e i suoi problemi. Rammenta: ognuno di voi è plurale perché composto da miriadi di identità frutto del processo dei propri atti, che vivono, si nutrono e crescono nel dialogo con le altre pluralità viventi. E tutti siete intrisi di voglia d’amore, anche se non sembra. Il dialogo è la chiave per capirlo e produrne sempre di più, di amore.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/donald-trump-un-falso-mistero-di-roberto-paracchini/
by Redazione Scuola | 03/04/2025 20:43
Roma, 2 aprile 2025 – Sono oltre 1.200 le adesioni alla giornata di dibattito pubblico sulle Indicazioni Nazionali indetto presso l’Università Roma Tre dalle associazioni di insegnanti, genitori, studenti e del mondo sindacale.
In questo testo Caterina Gammaldi, già docente della scuola media e componente del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, propone in modo più articolato alcune delle riflessioni esposte durante l’iniziativa.
L’autrice auspica che possano essere utili per costruire un’alternativa al progetto di riforma complessivo che fa perno su Persona Scuola Famiglia.
Caterina Gammaldi “Indicazioni 2025. Alcune riflessioni”
Ringrazio Valentina Chinnici e il CIDI per questo spazio. Intervengo da ex insegnante di scuola media che ha attraversato, con compiti diversi, il periodo che va dal 1974 al 2012 e ringrazio tutti coloro che hanno attraversato la mia vita professionale e che mi hanno accompagnato.
“Perché tanta fretta” titolava il comunicato stampa delle associazioni professionali. Lo hanno detto in tanti: è una consultazione – farsa della scuola e delle sue rappresentanze, nel metodo e nel merito. Il consenso cercato, la propaganda corrisponde a una idea di scuola, di insegnamento – apprendimento di una parte politica, che abbiamo già visto. Penso al 2003 – 2004, ai provvedimenti di abrogazione del percorso fatto da Berlinguer – De Mauro, penso al percorso 2010 – 2011 in cui ha prevalso il contenimento della spesa pubblica e scelte quali un disegno complessivo di separare licei, tecnici e professionali. Le Indicazioni 2025 a cui seguiranno, presumo, come annunciato, gli adeguamenti delle Indicazioni nazionali dei licei e dei tecnici e professionali, già ipotizzati nei provvedimenti legislativi emanati, hanno uno scopo non dichiarato: modificare gli ordinamenti didattici privilegiando un modello organizzativo coerente con le istanze di modernizzazione che provengono dal mondo politico e economico – produttivo dell’Europa e non solo.
Ne è un esempio la ri-nazionalizzazione dei programmi di studio in luogo di Indicazioni per il curricolo.
Nel merito mi sembra di poter dire che l’attacco alla cultura della scuola, in particolare a quella democratica, è nei fatti l’aspetto su cui si basano le scelte politiche di chi oggi governa il Paese.
Al riguardo, alcune riflessioni partendo dalle parole, dai concetti che hanno attratto la mia attenzione, a cui già nella premessa culturale generale si dedica molto spazio e che tornano nei campi di esperienza e nelle discipline e nei suggerimenti metodologici – didattici , a partire dal titolo della premessa “Persona Scuola Famiglia”. Un attacco alla libertà di insegnamento e all’autonomia didattica e di ricerca della scuola.
Mi pongo l’obiettivo in questo intervento di svelare il non detto che ha orientato gli esperti coinvolti nella scrittura del testo, perché credo possa garantire qualche criterio di lettura per chi, presumibilmente, si troverà a scuola a fare i conti con un atto normativo che sarà emanato da dette Indicazioni e che orienterà la progettazione del curricolo nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione.
In continuità con la riforma della scuola dei precedenti governi di centro – destra, ci viene riproposta una idea di scuola finalizzata allo sviluppo “armonico e integrale della persona, delle sue potenzialità e dei talenti”, una finalità in capo a tutti i provvedimenti legislativi già emanati ( filiera tecnologico – professionale, educazione civica, orientamento, Made in Italy, 4 più 2, valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria e del comportamento, legge 22/25 che introduce le soft skills) emanati da questo governo e dal Parlamento. Un disegno complessivo in cui si inserisce la riscrittura delle Indicazioni 2025.
Dal concetto di persona – centrale nel documento – discende l’enfasi sulla personalizzazione dell’insegnamento e la personalizzazione dell’apprendimento, già praticata nei percorsi di istruzione destinati agli adulti come raccomandato in documenti europei, dell’OCSE, di pedagogisti d’oltre oceano.
L’enfasi sulla persona ha dichiarato, in un recente webinar la professoressa Perla, tacendo volutamente il richiamo alla stagione dei Piani di studio personalizzati, era già presente nelle indicazioni 2007 e 2012. Devo smentirla, non è la stessa persona a cui fanno riferimento le nuove indicazioni, che assumono, lo ha dichiarato la professoressa Perla, a riferimento le tesi del manifesto sul personalismo comunitario di Mounier, datato anni ‘30.
Una dichiarazione che inquieta chi va al contesto europeo degli anni ’30, che avevano portato l’Italia nel ‘23 alla riforma Gentile, al suo modello culturale e organizzativo sopravvissuto a tutti i cambiamenti proposti per l’istruzione superiore e alle scelte in materia educativa. Sottolineo in particolare un aspetto: in quelle scelte non c’era spazio per la cultura, né tanto meno per il dialogo fra la cultura umanistica e la cultura scientifica, l’istruzione superiore era riservata ai migliori, l’idea di identità nazionale, di esclusione dall’istruzione pubblica dei diversi attraversava tutti i provvedimenti emanati.
Si dirà che questo non è il contesto, che a quegli eventi è seguito un periodo di pace duraturo, che stiamo parlando della formazione culturale di base … . Se così fosse non dovremmo essere seriamente preoccupati del clima politico che respiriamo, in cui ritornano parole come riarmo, primato dell’Occidente, nazione, Famiglia e Patria con la maiuscola … .
La scuola della persona tout court non è la scuola – istituzione della persona umana secondo Costituzione (art. 3 comma 2), non è la scuola della centralità del soggetto che apprende; è, invece, la scuola che divide chi sa da chi non sa, che accentua le differenze. Risponde al principio “a ciascuno il suo”, non al “non uno di meno”, a cui abbiamo ritenuto importante, da insegnanti, dovesse essere ancorato il futuro della scuola, soprattutto quello dei nostri bambini e dei nostri adolescenti in tutto il percorso scolastico per dare risposte alla crisi di futuro.
La scuola dell’adattamento, della trasmissione delle conoscenze non è, per fare chiarezza, quella di De Mauro, Ceruti, Cerini, Fiorin, Lorenzoni, Pontecorvo, Vertecchi, Goussot, Canevaro … e di molti altri che ci hanno proposto il cambiamento segnato dalla prescrittività degli ambienti di apprendimento e dei traguardi per lo sviluppo della/e competenza/competenze e non dall’elenco di conoscenze.
Altre posture professionali, altri paradigmi quali la complessità nell’agire educativo e la cultura della competenza come un mix di conoscenze, abilità e atteggiamenti sono i nostri riferimenti culturali e professionali. Per intenderci le hard skills per le life skills.
La scuola descritta nelle Indicazioni 2025 privilegia una visione deterministica proponendo la diversificazione dei percorsi.
Certo è difficile fare scuola in classi plurali e multilingue, ma l’eterogeneità delle nostre classi è un valore; non c’è ragione alcuna di riproporre i gruppi omogenei di apprendimento in un mondo che cambia sotto i nostri occhi, in cui di altre lenti, di altri strumenti culturali hanno bisogno i nostri studenti non estranei ai saperi.
Una opzione culturale fin troppo chiara se letta in rapporto alla parola identità a cui si aggiunge l’aggettivo italiana.
Con lo sguardo all’indietro e al futuro segnalo che, già nel 1997, la commissione del Saggi voluta da Berlinguer, come ha scritto nella sintesi Maragliano, ha fatto della scelta identitaria una proposta plurale. Si ha l’impressione che questa commissione, questi esperti, questo governo non ami gli articoli, gli aggettivi, i nomi, i verbi al plurale ed evochi la “romanità” e quindi l’identità nazionale accentuando la dimensione individuale, quella dell’adattamento e dell’assimilazione, tratto distintivo di una scuola che finge di accogliere, ma che in realtà esclude. Come leggere l’inclusione è possibile se chi viene da un altro paese conosce il latino (“così impara meglio l’italiano”), se ascolta narrazioni (aneddotica) del mondo greco e romano e del Risorgimento.
Abbiamo un’altra idea: i cosiddetti barbarismi e ibridazioni sono un fattore storico – linguistico straordinario per non separare chi vive o vivrà con altri giovani e adulti provenienti da paesi di altre culture. A meno che non vogliamo tener conto dei processi di globalizzazione e delle crisi planetarie in cui sempre più spesso dovremo e dovranno vivere. Non si diventa cittadini del mondo rafforzando la dimensione nazionale. Segnalo che la parola identità è presente nei “programmi” di storia, di lingua, di arte e immagine, di scienza, di matematica … cara a chi difende l’italianità, quindi la nazione, come stanno facendo in molti paesi. Sono sotto i principi delle democrazie liberali.
Per chi lo avesse dimenticato, e noi non siamo fra quelli, la mobilità di bambini, adolescenti, adulti – uomini e donne – è fenomeno che ha sempre caratterizzato la vita degli umani, fin dalla preistoria, in cerca di situazioni migliori rispetto a quelle in cui vivevano. Le identità al plurale sono un tratto distintivo della storia del mondo, su cui interrogarsi per comprendere le ragioni del convivere. Non ci sono confini identitari né muri da innalzare per difendersi, se mai alla scuola spetta il compito di attrezzarsi culturalmente perché si possa vivere e convivere, comprendere e stare al mondo”.
In questa prospettiva abbiamo l’obbligo di guardare con preoccupazione a tutti i provvedimenti legislativi già emanati, a quelli annunciati, compreso quelli che seguiranno questa consultazione-farsa, che invece di fornire indicazioni su come vivere e far vivere nella complessità, propone itinerari e percorsi di semplificazione nel rapporto adulti – bambini e più avanti nelle età dell’adolescenza fino alla maggiore età e oltre.
Una prospettiva che, con accenti diversi, ritroviamo in tutti i progetti di riforma dei sistemi educativi europei, con correttivi e accentuazioni, ad esempio, proprio sulle soft skills che sollecitano nuove domande sul rapporto fra persona e personalizzazione contro l’individualizzazione che invece sceglie il diritto all’istruzione a salvaguardia del gruppo classe e dei singoli.
L’enfasi sulla personalizzazione corrisponde per gli esperti consultati a un modello educativo per l’inclusione che è necessario che la scuola democratica adotti, “un modello educativo centrato prevalentemente sulla valorizzazione delle potenzialità/risorse personali altamente intese, fra quelle cognitive a quelle sociali e creative”.Posizioni dell’OCSE, già sperimentate in altri paesi in cui si riscoprono i gruppi di apprendimento omogenei.
E gli insegnanti? Qual è il profilo culturale e professionale di chi guida le classi? È un coach, un mentore, un tutor. Sempre uno al singolare.
Perché proporre il team, il consiglio di classe, la negoziazione di significati, le scelte educative condivise se la tesi è che bisogna diversificare gli obiettivi per ognuno, applicare strategie didattiche per il potenziale personale, piegare le attività didattiche alle soft skills, alla dimensione emotiva a cui guarda con interesse il mondo produttivo che chiede empatia e capacità di adattamento.
Se in tale prospettiva si muoverà l’autovalutazione degli insegnanti attesa a breve che orienterà la formazione continua non possiamo che esprimere ulteriori preoccupazioni. Dobbiamo aspettarcelo, ma dovremo farlo capire bene a chi pensa possibile nel mondo della scuola la carriera e la premialità in luogo della “cura del sé professionale in ambienti cooperativi”. Lo abbiamo detto a chiare lettere con le altre associazioni e lo diremo ancora.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/indicazioni-2025-alcune-riflessioni-di-caterina-gammaldi-componente-del-consiglio-superiore-della-pubblica-istruzione/
by Redazione Scuola | 27/03/2025 20:23
Da oltre 20 anni l’OCSE, (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), conduce periodiche analisi e fornisce dati sull’educazione e cura della prima infanzia.
I primi anni sono importantissimi per l’apprendimento permanente.
Ridurre le diseguaglianze è l’obiettivo nel rapporto 2024.
Tutti gli ultimi studi dimostrano che le diseguaglianze nella prima infanzia possono essere determinanti in termini di inclusione, equità e successo.
Esiste un gap elevato pari al 32% di bambini che non accedono ai servizi della prima infanzia.
Il rapporto OCSE fornisce raccomandazioni ai paesi europei suggerendo una serie di azioni per l’educazione e la cura per la prima infanzia.
Giancarlo Cerini, già autorevole vice presidente nazionale del CIDI, maestro, direttore didattico, ispettore, presidente della commissione nazionale dello 0-6, scomparso mentre lavorava alle Linee guida, ribadisce nella sua opera postuma “Atlante delle riforme (im)possibili” (edito da Tecnodid nel 2021), che ”un precoce investimento sull’educazione è in grado di produrre effetti positivi nei risultati sugli apprendimenti, di contrastare l’insuccesso scolastico, di incidere sulle condizioni di povertà materiale ed educative dei bambini”.
L’Unesco definisce l’educazione e la cura della prima infanzia come “sviluppo olistico dei bisogni sociali, emotivi, cognitivi e fisici di un bambino al fine di costruire una base solida e ampia per l’apprendimento permanente”.
Il programma OCSE PISA per la valutazione internazionale dell’apprendimento degli adolescenti, dice che “gli allievi che non hanno ricevuto un’istruzione prescolare hanno invece il triplo di probabilità di produrre risultati insufficienti rispetto a quelli che l’hanno ricevuta per più di un anno”.
L’agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, sottoscritta all’ONU nel 2015 da 193 paesi, nell’Obiettivo 4 stabilisce che: “Bisogna fornire una scuola di qualità equa ed inclusiva per tutti”. Entro il 2030, dovremmo garantire lo sviluppo della prima infanzia e l’accesso a cure prescolastiche, costruire e potenziare le strutture educative per rispondere ai bisogni della prima infanzia.
La Raccomandazione del Consiglio Europeo del 2018 stabilisce, tra l’altro, che i bambini hanno diritto alla educazione e cura dalla prima infanzia a costi sostenibili e di buona qualità.
La Raccomandazione del 2022 suggerisce la revisione degli obiettivi di Barcellona in materia di cura ed educazione della prima infanzia.
Quale è il quadro normativo di riferimento del sistema integrato 0-6 oggi in Italia?
Per tracciare sommariamente l’evoluzione dei due segmenti, 0-3 anni e 3-6 anni, occorre fissare due momenti storici, dal punto di vista istituzionale e culturale, per il nostro paese:
· la pubblicazione della Legge n. 444, 18 marzo 1968, Ordinamento della scuola materna statale, e successivamente della
· Legge n. 1044, 6 dicembre 1971, “Piano quinquennale per l’istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato”.
Nel titolo delle due leggi è evidente la differenza di sistema: Scuola pubblica statale, Ministero della Pubblica Istruzione, Scuola pubblica municipale da un lato; Asili nido comunali afferenti al Ministero dell’Interno dall’altro. Tale organizzazione inciderà fortemente sull’impianto generale del sistema integrato 0-6 che attualmente muove i primi passi.
Sempre Cerini dice: “è una inedita alleanza tra nidi e scuola dell’infanzia che hanno una lunga storia e mira a creare un contesto coerente con lessico pedagogico in dialogo in cui i due tradizionali segmenti scambiano le loro migliori pratiche e i loro migliori approcci”.
Il documento degli Orientamenti per la Scuola dell’infanzia del 1991,ha dato un importante contributo pedagogico realizzando un impianto culturale fondato sugli studi internazionali, che in quel periodo erano intensi e una visione di ampie prospettive per l’Infanzia e la sua scuola.
Il sistema integrato 0-6 diventa parte dell’organizzazione complessiva del sistema di istruzione e formazione del nostro paese.
E’ stato introdotto con la legge 107/2015 (cosiddetta Buona scuola del Governo Renzi) e nella sua previsione attuativa col dlgs 65/2017.
Questa normativa introduce una nuova visione di educazione che parte dalla nascita ed accompagna le persone per tutta la vita.
La legge 107, in buona sostanza, delega il Governo ad emanare entro 18 mesi, decreti legislativi che provvedano al riordino e semplificazione della materia istruzione e ad istituire il sistema integrato 0-6.
Il comma 181, lett. e) dell’art. 1, istituisce il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai 6 anni, costituito dai servizi educativi per l’infanzia e dalle scuole dell’infanzia al fine di garantire ai bambini e alle bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando le disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali, nonché ai fini della conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori, della promozione della qualità dell’offerta educativa e della continuità tra i vari servizi educativi e scolastici.
Il decreto propone una rivoluzione istituzionale ed educativo sociale:
· Un Sistema con più soggetti responsabili, più centri di erogazione e diverse tipologie di servizio
· Il Diritto all’educazione in ogni fase della crescita
· Il Valore educativo dei servizi della prima infanzia.
Il sistema 0-6 è difficile da attuare, ma nel decreto sono indicati tutti i presupposti fondamentali:
Le Finalità definite (art. 1), le Indicazioni organizzative strutturate (art. 2), le Indicazioni per l’attuazione dei «Poli per l’Infanzia» (art.3), gli Obiettivi strategici individuati (art. 4),le Differenziazioni delle funzioni (artt. 5, 6, 7),il Piano nazionale di azione pluriennale (art. 8),la Partecipazione delle famiglie (art. 9),l’Istituzione della Commissione Nazionale (art. 10), la Relazione sullo stato di attuazione (art. 11), i Fondi e le norme transitorie (artt. 12, 13 e 14)
Prevede i SERVIZI EDUCATIVI (0-3 ANNI):
a) nidi e micro nidi, per bambini dai 3 ai 36 mesi in continuità con la scuola dell’infanzia;
b) sezioni primavera, per bambini dai 24 ai 36 mesi, favoriscono la continuità del percorso educativo da 0 a 6 anni;
c) servizi integrativi, che si distinguono in:
1. SPAZI GIOCO (12-36 mesi)
2. CENTRI PER BAMBINI E FAMIGLIE (primi mesi di vita)
3. SERVIZI EDUCATIVI IN CONTESTO DOMICILIARE (3-36 mesi) gestiti dagli Enti Locali in forma diretta o indiretta, da altri enti pubblici o da soggetti privati; le sezioni primavera possono essere gestite anche dallo Stato.
Il DLgs 65/17 prevede i cosiddetti Poli per l’infanzia che accolgono, in un unico plesso o in edifici vicini, più strutture di educazione e di istruzione per bambine e bambini fino a sei anni di età, nel quadro di uno stesso percorso educativo, in considerazione dell’età e nel rispetto dei tempi e degli stili di apprendimento di ciascuno.
Si caratterizzano quali laboratori permanenti di ricerca, innovazione, partecipazione e apertura al territorio, anche al fine di favorire la massima flessibilità e diversificazione per il miglior utilizzo delle risorse, condividendo servizi generali, spazi collettivi e risorse professionali.
I Poli per l’infanzia possono essere costituiti anche presso direzioni didattiche o istituti comprensivi.
Gli obiettivi strategici dei poli per l’infanzia sono il progressivo consolidamento, ampliamento, nonché l’accessibilità dei servizi educativi per l’infanzia, anche attraverso un loro riequilibrio territoriale, con l’obiettivo tendenziale di raggiungere almeno il 33 % di copertura della popolazione sotto i tre anni di età a livello nazionale; la graduale diffusione territoriale dei servizi educativi per l’infanzia con l’obiettivo tendenziale di raggiungere il 75 % di copertura dei Comuni, singoli o in forma associata.
Il decreto dettaglia le funzioni degli enti locali, prevede un Piano nazionale pluriennale per il sistema integrato 0-6, una cabina di regia di supporto, ed un tavolo paritetico regionale istituito dal Direttore dell’USR, di supporto all’attuazione del piano a livello regionale.
Successivamente, con la Legge di Bilancio 30 dicembre 2021, n. 234, si opera una svolta storica: per la prima volta si parla di Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) per i nidi d’infanzia.
Il testo, al comma 172 dell’art. 1, stabilisce di destinare alle Regioni a Statuto ordinario e, tra le regioni a Statuto speciale, alla Sicilia e alla Sardegna le risorse necessarie a incrementare il numero di posti disponibili nei servizi educativi per l’infanzia, fino a raggiungere nel 2027 il livello minimo garantito del 33% di posti, anche attraverso il servizio privato, per ciascun comune o bacino territoriale, in rapporto alla popolazione di età compresa tra i 3 e i 36 mesi.
Per dare forma al nuovo sistema integrato sono state emanate le “nuove linee pedagogiche dello 0-6” presentate al Ministero a marzo 2021, alla cui stesura aveva contribuito Giancarlo Cerini, che era Presidente della Commissione nazionale infanzia.
Ad esse sono seguiti gli Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia del dicembre 2021.
Sennonché le misure adottate dal Governo a proposito dei LEP (ribasso al 15% a livello regionale), con i tagli alle risorse per gli Enti locali (già dal 2025 i Comuni, le Province e le Regioni dovranno tagliare i propri servizi per circa 350 milioni di euro), dopo aver revisionato nel 2023 il PNRR con un taglio di 100.000 posti di nido e scuola dell’infanzia (si tratta di una diminuzione da 264.480 a 150.480 posti), hanno il significato di uno stop alle politiche a favore della costruzione del sistema formativo integrato confermando quella forbice che differenzia il rispetto dei diritti all’educazione dei bambini a seconda della loro residenza.
Stanno per essere emanate le Nuove Indicazioni Nazionali.
La bozza delle Nuove Indicazioni che gira in attesa di emanazione definitiva, la cui applicazione è prevista per l’anno scolastico 2026/27, appare fare un uso “fraudolento” delle parole.
Che cosa si intende con questa espressione?
Questo Governo ci ha abituato a questa prassi, pensa così di operare una egemonia culturale di destra in alternativa a quella di sinistra che avrebbe patito per anni. Assistiamo all’uso di parole, espressioni, concetti in modo deviato rispetto al significato acclarato.
Ad esempio, nella premessa culturale delle nuove Linee Guida, “Persona, scuola famiglia”, ricalcando in parte le Indicazioni nazionali del 2012 che però titolavano Cultura Scuola Persona, le parole sembrano le stesse (ma in verità Cultura è sostituita da Famiglia), ma sostengono che il termine Persona, citando inadeguatamente Giorgio La Pira, sia posto al centro della Costituzione. Questo è un falso interpretativo, in quanto costituzionalisti, pur sottolineando l’importanza del singolo e dei diritti della persona nella nostra carta fondamentale, pongono sempre in evidenza che il diritto individuale deve essere sempre analizzato in relazione ai diritti collettivi, al principio di solidarietà e allo sviluppo del singolo nelle formazioni sociali.
Questo è il senso della nostra Costituzione, che rappresenta il più alto compromesso tra libertà e giustizia.
Nella parte in cui le nuove Linee guida sostituiscono al termine Cultura il riferimento alla Famiglia, viene rappresentato un modello di scuola trasmissiva nella quale la corresponsabilità educativa con le famiglie si sostanzia in una sottolineatura della chiamata dei genitori a rispondere dei danni causati dai propri figli. L’enfasi posta nella citazione di massime latine, medievali o bibliche, serve a sottolineare il dovere degli studenti al rispetto cui corrisponde il diritto degli insegnanti al rispetto. Come se questo aspetto correttivo/punitivo fosse essenziale nel percorso pedagogico.
La prospettiva delle Nuove linee per la scuola dell’infanzia sembra essere quella di un percorso individualizzato.
Per quanto si sottolinei, come peraltro previsto dal Regolamento per l’autonomia scolastica, DPR 275/99, art. 8, che le Linee Guida debbano individuare gli obiettivi generali e gli obiettivi specifici di apprendimento, non si rinuncia a suggerire “conoscenze, indicazioni metodologiche, moduli di apprendimento interdisciplinari e ipotesi di ibridazioni tecnologiche per agevolare il lavoro di progettazione del curricolo verticale di istituto.”. Con un attacco esplicito alla libertà di insegnamento anche quando alla didattica laboratoriale si sostituisce la didattica “per narrazione”. Si torna alla lezione frontale dai primi anni.
Concludendo è vero che riforme di questo tipo hanno bisogno di tempo per essere attuate, ma esiste un ritardo evidente nella gestione del problema a livello generale, sia ministeriale che regionale. L’attuazione dei Lep richiederebbe un forte piano di assunzioni; esistono forti ritardi anche nella istituzione di una anagrafe dello 0/3, siamo di fronte ad un preoccupante taglio di spesa che inciderà sugli alti obiettivi fin qui delineati.
I supposti nuovi investimenti dichiarati in questi giorni da Valditara, sembrano voler riportare qualche investimento in più che non cancella i tagli del 2024.
Il tutto alla vigilia della definizione di queste Nuove Linee guida dal forte carattere regressivo, in totale spregio delle indicazioni internazionali e delle critiche provenienti dal mondo della scuola, che su questi temi lavora e studia da sempre.
In questo contesto politico mi sento di evidenziare, alla presenza dell’Assessora alla Pubblica Istruzione, che tutte le iniziative assunte in questo primo anno di amministrazione regionale, devono essere ricomprese in una legge di sistema come previsto dall’art. 117 della Costituzione, rispetto alla quale la Regione Sardegna è in grave ritardo. La Riforma del titolo V attende da oltre 20 anni di essere attuata nella nostra Regione. Con la conseguenza che tutte le buone pratiche introdotte in passato da amministrazioni illuminate, siano state spazzate vie con semplici provvedimenti amministrativi dalle Giunte meno illuminate.
È venuto il momento di riempire questo grave vuoto legislativo.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/premesse-culturali-e-pedagogiche-del-sistema-integrato-0-6-sguardo-internazionale-e-nazionale-di-rosamaria-maggio/
by Redazione Scuola | 31/01/2025 18:22
L’intervento del 18 gennaio di Andrea Pubusa dal titolo “Il caso Todde è il risultato di una pessima legge elettorale regionale” è stimolante per tutte le considerazioni che riporta e in particolare perché riguarda il lavoro che come Scuola di cultura politica Francesco Cocco stiamo portando avanti da tempo, quello della riscrittura della legge elettorale sarda.
Sul punto aggiungo che abbiamo preso molto sul serio quanto previsto nel programma elettorale della presidente in carica e di qualche gruppo politico presente in Consiglio e per questo ci abbiamo lavorato con molto impegno e convinzione.
Aggiungo inoltre che vi sono in Sardegna diversi movimenti, alcuni anche a seguito della recente raccolta delle 210.000 firme a sostegno della Pratobello24, e altri che lavorano da tempo attraverso metodi partecipativi, che stanno ponendo con forza l’esigenza di una rivisitazione sostanziale della legge elettorale in senso proporzionale.
Insomma, i tempi per un nuovo testo sembrano finalmente maturi e auspichiamo che questa volta il Consiglio, anche grazie alla spinta popolare in atto, proceda di conseguenza.
Gli aspetti più critici e deleteri della legge elettorale in vigore, come le soglie di accesso, l’equilibrio di genere, la rappresentanza territoriale e il bipolarismo forzato, evidenziati da tanti raggruppamenti politici, associazioni, aree di pensiero, intellettuali e attivisti a partire dal 2014, primo anno di applicazione della legge in vigore, sono tutti modificabili significativamente fino a rendere accettabile anche la legge attuale se si è a favore del presidenzialismo.
Però i due elementi che riguardano l’essenza stessa del presidenzialismo, per meglio dire che sono connaturati ad esso, ovvero il principio del “simul stabunt simul cadent” e il premio di maggioranza, sono invece quasi impossibili da modificare per eliminarne l’impatto o almeno per ridurlo sensibilmente. E questo non lo affermo tanto per la prassi oramai consolidata per l’elettorato che può sempre cambiare, quanto per l’accettazione obbligatoria delle sentenze della Corte costituzionale al riguardo.
Con riferimento alle sentenze della Corte é percorribile comunque la possibilità di rendere più difficoltoso il premio di maggioranza o poter diminuire il numero di seggi attribuibili allo schieramento del Presidente eletto, ma la maggioranza deve essere comunque in grado di garantire la “stabilità” (o governabilità?), per cui il premio non può essere annullato: una proposta senza il premio di maggioranza non è plausibile e sarebbe cassata dalla Corte!
Il premio di maggioranza, in ogni caso, ancorché pienamente accettato dalla Corte, confligge con il principio di uguaglianza del voto degli elettori. Infatti qualunque premio di maggioranza, ancorché ridotto, conduce ad un peso relativo del voto dell’elettore che vota per la maggioranza più alto di quello che vota per la minoranza e questo viola palesemente l’art. 48, secondo comma, della costituzione.
Il principio del “simul stabunt simul cadent”, invece, non può essere proprio messo in discussione, da qui anche il legame ben posto da Pubusa e da altri giuristi con le implicazioni sollevate dal caso Todde, ma direi che la problematica insita in tale principio esula dal caso in questione in quanto riguarda l’essenza stessa del presidenzialismo.
In realtà, l’unica soluzione per impedire che casi di decadenza imputabili al Presidente comportino automaticamente la decadenza del Consiglio è quella di superare il presidenzialismo e avere una legge elettorale proporzionale che elegge solo il Consiglio e in questo organo verranno indicati il Presidente e la Giunta.
Non ci sono altre vie e scorciatoie!
Il presidenzialismo va superato principalmente perché mette l’esecutivo al di sopra del legislativo. Che lo si voglia o no, con il presidenzialismo il consiglio è subordinato al presidente eletto, lo stesso vale per il consiglio comunale nei confronti del sindaco e per il parlamento nei confronti del governo da almeno 25 anni, indipendentemente dal premierato oggi in discussione.
Per la Regione, le stesse leggi sono in prevalenza originate dalla presidenza e siamo tutti testimoni oculari che sia il parlamento sia il consiglio sono ridotti alla ratifica di quanto dispone l’esecutivo.
Tutto questo ha portato ad una torsione evidente del sistema democratico in Italia e nelle regioni.
Riteniamo che l’equilibrio tra Presidente e Consiglio possa realizzarsi solo quando il presidente è “primus inter pares”, cioé quando viene eletto in Consiglio, e non quando è solo “primus” derivante dalla sua elezione diretta come succede con la legge elettorale attuale.
Con la legge proporzionale, a garanzia della stabilità, si propone l’istituto della “sfiducia costruttiva” che potrà essere utilizzato per una sola volta nel corso della legislatura.
Un’altra considerazione va fatta sulla “produttività” del consiglio, come già sottolineato da Andrea Pubusa, che è diminuita notevolmente da quando c’é l’elezione diretta del presidente della Regione. E la governabilità non è certo migliorata.
Al riguardo invito a vedere i provvedimenti legislativi a vario titolo approvati nel consiglio regionale a partire dal 1990 ad oggi, tenuto conto che nel nostro paese la legge per l’elezione diretta del presidente della Regione è del 1999 ed è entrata in vigore il 6 gennaio 2000. Si riscontrerà facilmente che tale produttività è andata diminuendo qualitativamente e quantitativamente nel corso degli anni.
E qui veniamo alla giusta esigenza di una buona legge elettorale che, come ricordato nel precedente mio intervento del 22/10/2023 qui pubblicato come su altri blog di area, deve essere basata sulla rappresentanza. In Sardegna come altrove, il tema della rappresentanza si declina con la rappresentanza politica, la rappresentanza territoriale e la rappresentanza di genere.
Come già ribadito in varie sedi, la legge elettorale non può essere scritta contro qualche partito e non può essere appannaggio di un solo schieramento, va scritta insieme: maggioranza e minoranza. Solo con questo metodo si può “far pace” con l’elettorato e aumentare la partecipazione democratica della cittadinanza.
Come Scuola di cultura politica abbiamo proceduto con le nostre interlocuzioni istituzionali fiduciosi di poter arrivare ad un testo di una nuova legge elettorale che possa essere discussa nel Consiglio.
Siamo giunti alla decisione di proporre due testi, uno di tipo presidenziale che parte dalla legge attuale rimuovendone tutti gli aspetti più critici ed un altro proporzionale per l’elezione del Consiglio.
Entrambi i testi garantiscono la rappresentanza politica, territoriale e di genere come auspicato da più parti.
Siamo consapevoli che le leggi le fa il Consiglio e ci auguriamo che le nostre proposte possano essere discusse, modificate, integrate e votate in quella sede.
Intanto apriamo una fase di discussione pubblica delle due proposte con iniziative a Cagliari e in altre città della Sardegna.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/superare-il-presidenzialismo-con-una-legge-proporzionale-o-almeno-eliminarne-le-criticita-piu-gravi-di-fernan-do-codonesu/
by Redazione Scuola | 15/12/2024 19:48
Il prossimo passo, secondo molti osservatori oramai imminente, dovrebbe essere l’attacco all’Iran.
Tutto lascia supporre che Israele sarà autorizzato a breve, e logisticamente aiutato, a completare quel suo lavoro sporco partito molti decenni prima del 7 ottobre 2023. Ma tant’è, sembra che l’unica data che conti sia proprio il 7 ottobre 2023, visto come spartiacque tra un prima (dimenticato) e un dopo, ricordato a piè sospinto tutti i giorni da tutti i media internazionali e nazionali, il cosiddetto mainstream. I morti sono tutti uguali? No, come ci ricorda la storia delle rappresaglie durante la resistenza italiana, dove in diversi casi i nazisti usavano un moltiplicatore per dieci per ognuno dei loro morti in danno dei partigiani o della popolazione civile, donne, vecchi e bambini che fossero poco importava. Così succede ora, ma nessuno dice veramente con parole forti (ma bastano le parole?): fermatevi!
Ci vorrebbero azioni concrete mirate alla pace da parte degli organismi internazionali, ad incominciare dall’Europa, ma non si intravedono proprio e non se ne profila nemmeno traccia all’orizzonte.
Negli attacchi mirati e nei bombardamenti generalizzati dell’esercito israeliano sono morte a Gaza e negli altri paesi del Medio Oriente sotto invasione di fatto da parte israeliana circa 60.000 persone: vi sembran poche? Si può parlare di risposta proporzionata in base al danno, come pare sia scritto da qualche parte del diritto internazionale di cui Israele e il suo datore di lavoro principale, gli Stati Uniti, si fanno comunque bellamente beffe?
E non si dica che ora sarà peggio perché c’è Trump!
Quando si tratta di politica estera sia i democratici sia i repubblicani hanno un solo comandamento: America First. La differenza tra i due schieramenti politici consiste solo nel fatto che tale comandamento (per loro è un principio!) va esercitato con ogni mezzo ad ogni latitudine del mondo. Per Trump e i Repubblicani va sbandierato e scritto a caratteri cubitali. Invece i Democratici non agiscono così, almeno apparentemente, ma tutti i presidenti democratici lo hanno comunque sempre esercitato con la forza militare ovunque, senza bisogno di doverlo affermare verbalmente.
Per cui prossimamente tutto ci fa intravedere un attacco definitivo all’Iran. In nome di cosa, della democrazia contro la teocrazia/autocrazia, del bene contro il male, dell’ebraismo contro l’islam, o meglio contro una parte di esso, lo sciismo?
Non mi pare che le religioni abbiano un ruolo in questa storia e nemmeno nella distruzione di massa decisa dalla guerra di annientamento di Israele contro i palestinesi di Gaza, in parte della Cisgiordania, del Libano e di tutta l’area mediorientale.
Più realisticamente, se si dà un colpo mortale all’economia del petrolio dell’Iran si raggiungeranno due risultati con un’unica operazione. In primo luogo si ridurrà alla fame tutto quel grande paese, circa 90 milioni di abitanti, e forse, ma non è detto, ci sarà un cambio di regime, di cui si ignora comunque la direzione: la Siria docet. Il secondo risultato tocca ancora una volta l’energia. Ad oggi gli USA sono il più grande esportatore di gas e petrolio nel mondo. Come stati europei, dopo il sabotaggio del NordStream 2, compriamo gas americano con un prezzo che oscilla tra il doppio e il triplo di quello che arrivava dalla Russia. Continua comunque ad arrivare anche gas russo, giacché i flussi fisici dell’esportazione e dell’import non sono cambiati, nel senso che non sono entrati in produzione altri impianti estrattivi negli ultimi due anni e mezzo, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Quello stesso gas russo che prima arrivava in Europa attraverso l’Ucraina oggi arriva via Turchia e Azerbaijan, ma tutti fanno finta di non sapere e non vedere: che ipocrisia!
Negli ultimi due anni, il ruolo dell’Opec è stato ridimensionato e messo in un angolo, ma pare non basti ancora. E veniamo quindi al secondo risultato che comporterebbe un attacco all’Iran.
Si renderebbe permanente almeno per un decennio, forse più, il dominio degli USA appena acquisito anche nell’esportazione del petrolio.
Si osserva che gli USA hanno raggiunto questi livelli di produzione con due tecnologie estrattive estremamente dannose per l’ambiente, conosciute come trivellazione orizzontale e fracking applicate allo “shale oil e shale gas”, quindi trivellazione orizzontale anziché verticale e fratturazione idraulica. Tali tecnologie, già note a fine ‘800 e brevettate a metà del secolo scorso, hanno ripreso piede vigorosamente nel 2011, in piena presidenza Obama, perché gli USA non volevano dipendere da importazioni dall’estero per il gas e il petrolio.
Ci si spiega allora perché gli USA non abbiano mai preso sul serio gli obiettivi e gli impegni delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite, note come COP che si sono susseguite negli anni. Ed ecco perché le ultime sono state gestite, senza alcun problema, dai paesi produttori ed esportatori di petrolio, come la COP 28 e la COP 29, tenutesi a Dubai e a Baku.
Per colmo e paradosso, in entrambe queste COP per ogni scienziato o ricercatore ambientale ed ecologico c’erano almeno tre/cinque lobbisti di aziende operanti nel settore dei combustibili fossili!
Come si fa a prendere sul serio i propositi di diminuzione delle emissioni in atmosfera di CO2?
Infatti, non solo non diminuiscono, ma continuano ad aumentare come ci conferma il grafico di Charles David Keeling, usato come bibbia laica dagli ambientalisti e dagli ecologisti del mondo, che ci ricorda come nel 2023 abbiamo superato 420 parti per milione di CO2 in atmosfera.
In tempi recenti, come inquilino della Casa Bianca, Trump si era ritirato in pompa magna dall’accordo di Parigi del 2015, il nuovo inquilino Biden vi era rientrato abbastanza sottovoce, come è costume della visione dei democratici, ma le due tecniche estrattive su citate hanno ripreso forza e vigore con i democratici e hanno continuato ad essere usate con tutte le amministrazioni, indipendentemente dal colore rosso o blu del partito di appartenenza!
Si diceva del probabile attacco israeliano contro l’Iran e del secondo risultato sul fronte dell’energia.
A quel punto i flussi di petrolio provenienti dal Golfo non saranno disponibili per alcuni anni, 10 o 20 chi lo sa, e gli USA diventeranno per lungo tempo il più grande esportatore di petrolio oltre che di gas nel mondo.
A me pare che questo sia l’obiettivo fondamentale degli USA e del governo israeliano.
E l’Europa che fa?
Pare proprio niente, con una politica estera inesistente e appaltata alla NATO, che torna indietro sul Green Deal, che si accontenta di scrivere volumoni di regole apparentemente per tutti ma che al momento attuale hanno comportato il tracollo del sistema manifatturiero legato all’automotive.
Insomma, si prospetta una notte lunga e buia, ma purtroppo siamo appena all’inizio della giornata.
La nuova Commissione a guida Von der Leyen è la più a destra da quando c’è l’Europa, si procede presi per mano dal padre/padrone d’oltre Atlantico quasi autocompiaciuti di essere vassalli servili di Trump … e di Musk.
Aveva ragione Eduardo ”Adda passà ‘a nuttata”, ma forse dovremmo fare tutti un po’ di più, a tutti i livelli, perché questa brutta notte non arrivi o che almeno possa passare nel più breve tempo possibile.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/israele-e-liran-perche-non-succeda-lirreparabile-di-fernando-codonesu/
by Redazione Scuola | 15/12/2024 19:10
Incontriamo Matteo Meloni, giornalista specializzato in ambito geopolitico, già addetto stampa al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Matteo, cosa sta accadendo nel mondo? Abbiamo avuto la tregua tra Israele ed Hezbollah libanese, ma subito dopo la Siria è stata colpita da un attacco jihadista che, in dieci giorni, ha portato alla caduta del regime di Bashar al-Assad. Senza dimenticare che, nello stesso periodo, la Corte costituzionale rumena ha annullato le elezioni (evento mai verificatosi in Europa) e in Corea del Sud si è tentato un colpo di Stato. Sono fatti scollegati tra loro, oppure possiamo cercare di individuare un filo comune?
Certamente esiste una connessione, almeno ideale, dietro queste tensioni. Possiamo dire che l’invasione della Russia in Ucraina ha in qualche modo incrinato quello status quo internazionale che ha garantito un certo grado di stabilità, principalmente nel mondo occidentale. Tuttavia, quello che è accaduto in Ucraina — ricordiamo che la crisi è antecedente ai fatti del febbraio 2022 — è stato preceduto da una serie di guerre, soprattutto in Nord Africa e in Asia Occidentale. Le cosiddette primavere arabe, che purtroppo si sono rivelate in gran parte fallimentari, hanno visto i moti popolari essere repressi dai nuovi governi. Ad esempio, in Egitto, la cacciata di Mubarak ha portato ad elezioni vinte regolarmente dai Fratelli Musulmani di Mohamed Morsi. Tuttavia, Morsi è stato successivamente deposto con un colpo di Stato, appoggiato da francesi e statunitensi, dall’attuale presidente al-Sisi, che, tra l’altro, è responsabile della morte di Giulio Regeni.
Prendendo spunto da quanto dici, possiamo dire che l’idea occidentale di esportare la democrazia presenta delle contraddizioni? Da una parte, la si incentiva, ma dall’altra si rimettono in discussione i risultati delle elezioni. Del resto, non è accaduto lo stesso con Hamas, che ha vinto le elezioni nel 2006?
Sì, purtroppo siamo ancora legati a una logica di orientalismo, come descritto da Edward Said, una logica coloniale che considera queste realtà come qualcosa di subordinato all’Occidente per ragioni storiche e ideologiche. Questo approccio cerca di governare altre regioni secondo i nostri modelli, un approccio che evidentemente si scontra con quanto si desidera in quelle realtà. Tra i tanti e più noti, il caso iraniano è emblematico: nel 1953, la CIA orchestrò un colpo di Stato contro Mossadeq, il quale stava cercando di democratizzare il paese e nazionalizzare le risorse petrolifere. Questo evento ha generato un malcontento popolare che ha spianato la strada alla rivoluzione del 1979 e il ritorno in patria di Khomeini.
In Siria, i cosiddetti ribelli sembrano avere il sopravvento. Anche Hamas ha espresso sostegno ai vincitori. Di fatto, oggi la parte perdente sembra essere l’asse della resistenza sciita, rappresentata da Hezbollah e dall’Iran. Questo potrebbe destabilizzare ulteriormente il fragile equilibrio iracheno?
Assolutamente sì. Tutto ciò che sta accadendo ha portato a un ridimensionamento della Russia, dell’Iran e di Hezbollah. Nel frattempo, Israele continua a essere attivo, con occupazioni illegali e bombardamenti all’interno del territorio siriano.
Ritorniamo ai problemi europei: cosa pensi dell’annullamento del voto in Romania?
Le interferenze russe sono state documentate in passato, come nel caso della Brexit, ma anche nel periodo del Covid-19, dove l’Italia è stata protagonista in negativo della propaganda di molteplici attori, cinesi compresi. Per quanto riguarda la Romania, il rischio è che nuove elezioni portino al medesimo risultato: in quel caso, sarebbe difficile parlare ancora di interferenze russe.
Non pensi che l’Europa stia rinunciando al proprio ruolo politico, concentrandosi esclusivamente sulla sicurezza e sull’incremento degli armamenti, come emerge dal documento Draghi o dal sostegno militare all’Ucraina approvato dal Parlamento Europeo? Non credi che questa crisi nel mondo arabo derivi anche dalla mancanza di una politica estera autonoma da parte dell’Europa?
Purtroppo sì. L’Ue si è appiattita su posizioni filostatunitensi, senza perseguire i propri interessi. Anziché distaccarci da una potenza come gli Stati Uniti, che opera principalmente per i propri fini, stiamo adottando un modello militarista che normalizza l’economia di guerra. Questo si scontra con il ruolo che l’Europa dovrebbe avere: promuovere i diritti in tutti i contesti, non solo nella propria “nicchia”. Nel 2022, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, Josep Borrell, parlando agli studenti del Collegio di Europa di Bruges, descrisse letteralmente l’ Europa come “un giardino” e il resto del mondo come una “giungla”. Dovremmo ricordare che l’Ue è campione dei diritti e dovrebbe farli rispettare in tutti i contesti, non soltanto alla nostra piccola nicchia di cittadini. I problemi con il resto del mondo derivano dal fatto che l’attuale architettura internazionale è nata alla fine della seconda guerra mondiale, e di fatto è stata sfruttata principalmente ad uso e consumo dei Paesi occidentali. Questo sistema non funziona più: sono numerosi gli attori che vogliono contribuire al funzionamento delle relazioni internazionali e chiedono giustamente un’equa distribuzione della ricchezza. Se una nazione come gli Stati Uniti o la stessa Europa sta molto meglio rispetto ai propri vicini di casa, allora si crea un problema di giustizia sociale, un problema che vede la ripartizione delle risorse del tutto sbagliata a scapito di realtà ancora oggi sfruttate. È normale poi che nascano le rivoluzioni, che sappiamo bene essere violente. Allora perché arrivare all’apice delle crisi se si può mediare prima capendo che il punto di rottura si sta raggiungendo? I BRICS del resto sono questo: si sono dotati di una banca per prestare dei fondi pur di non rivolgersi più a Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale e, in prospettiva, potrebbe utilizzare una moneta alternativa in contrapposizione al dollaro, creando di fatto una pericolosa contrapposizione.
Oggi manca un pensiero di sinistra che sia sensibile a queste tematiche? Un pensiero capace di riconoscere il multipolarismo e di cercare il dialogo reciproco? A proposito, non pensi che la posizione del PD sulla guerra sia contraddittoria?
Non mi sorprende che il gruppo dirigenziale nazionale del PD abbia questa impostazione. È un partito che fatica a comprendere il proprio elettorato: la maggior parte è contrario alla guerra. Il gruppo dirigente è strettamente legato a interessi atlantici, non riesce a parlare di pace nei termini che una sinistra moderna dovrebbe usare nel 2024. Se Bernie Sanders riesce a farlo negli Stati Uniti con grande seguito, possibile che il PD a guida Schelin non riesca a farlo? Si condannano i russi, ma non si esprimono critiche nei confronti di Netanyahu e del fascismo religioso israeliano, che opprime i palestinesi ogni giorno.
Cosa succederà ora in Siria?
La rapida caduta di Assad è arrivata con sorpresa di numerosi analisti, una caduta sospinta da una forza insorgente di jihadisti salafiti, riuniti nella sigla HTS, considerato gruppo terrorista. HTS è guidato da Ahmad Ḥusayn al-Sharʿa, conosciuto come al Jolani, con un passato tra al Qaeda e Isis, personaggio che nel corso del tempo ha lanciato segnali di apertura che, tuttavia, non possono cancellare la sua natura violenta. HTS è riuscito a colpire in maniera molto efficace alcuni baluardi della repubblica siriana, tanto da poter arrivare a Damasco. È preoccupante quanto sta succedendo? Assolutamente sì: con i necessari distinguo, non dimentichiamo il caso afgano, dove i talebani, in accordo con gli Stati Uniti, hanno ripreso il potere dopo tanti anni. Molti siriani oggi festeggiano per la caduta del regime di Assad: noi a Occidente non possiamo minimamente comprendere il significato di questo momento storico, non possiamo permetterci di criticare i cittadini di quel Paese. Quello di Assad è stato per molti un regime violento che nelle carceri ha torturato e ha causato innumerevoli sofferenze. Tuttavia, non sappiamo quello che accadrà nel prossimo futuro. È in atto una vera e propria spartizione della Siria: la Turchia di Erdogan, nostro alleato NATO, ha avuto un ruolo cruciale nella cacciata di Assad, sostenendo HTS. Al contempo, sono attive le monarchie del Golfo, con gli Emirati che hanno voltato le spalle ad Assad, e Israele, che ha occupato ulteriore territorio nelle Alture del Golan. Il quadro è nefasto, non solo nel cosiddetto Medio Oriente ma per l’intera comunità internazionale.
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by Redazione Scuola | 18/11/2024 19:38
Nini. “Ciò che caratterizza l’eterno ripetersi della storia è l’assenza di lungimiranza”
Autore. Non capisco, ma di chi stai parlando?
Nini. Di te ovviamente e nello stesso tempo di tutti gli altri perché anche tu fai parte di “tutti gli altri”, ovviamente…
Autore. Perdonami, ma ancora non capisco: ti stai per caso rivolgendo a tutto il mondo, non ti sembra di allargarti un po’ troppo?
Nini. Mi rivolgo a te e al tuo mondo relazionale perché senza relazioni tutti noi, come dire, esistiamo solo per finta, come nuotatori senz’acqua.
Autore. Forse occorre che ti spieghi un po’ meglio.
Nini. Te la faccio breve parlando di me. Come tu sai io sono un personaggio di fantasia…
Autore. Cioè?
Nini. Eddai! Faccio parte di un tuo scritto che stai, appunto, “componendo” in questo momento, quindi sai benissimo che io sono Nini, che ho 91 anni e che da 75 anni vivo col generale Henrik, uno dei due protagonisti del bellissimo romanzo di Sandor Marai, “Le braci”, di cui mi onoro di essere una coprotagonista: balia del generale, quasi una sorella e direi di più: quasi una madre visto che l’ho allattato; e confidente e sua autorevole consigliera. Poi…
Autore. Sì sì, d’accordo, ma anche se ti ho inserito io in questo scritto, le cose non sono mai lineari o consequenziali. Io, e lo ricordo anche a me stesso, devo parlare di un libro che non è certo una fiction, “Sardegna, per un nuovo Statuto speciale. Idee, progetti e possibili processi di autogoverno”, che rappresenta gli atti del convegno omonimo promossa dalla Scuola di cultura politica Francesco Cocco.
Nini. Quindi?
Autore. Devo parlare di un volume importante, che sviluppa l’argomento in modo approfondito, articolato e sfaccettato con 23 saggi, organizzati e mirabilmente curati da Fernando Codonesu e una introduzione di Andrea Pubusa. Interventi che spaziano dagli aspetti politici a quelli tecnico-scientifici, da quelli economici, occupazionali e imprenditoriali a quelli giuridico costituzionali, sino alle questioni economico finanziarie. Ed è quindi naturale che mi interroghi sul tuo ruolo, visto che sei un prodotto di fantasia.
Nini. Certamente ma attento: senza fantasia non c’è immaginazione e senza immaginazione non c’è capacità di elaborare progetti immaginando, appunto, futuri possibili.
Autore. Già…
Nini. Forse cerchi in me aiuto o ispirazione visto che Marai raccontando di me afferma che “a volte si aveva la sensazione che la casa e gli oggetti sarebbero caduti a pezzi, se la forza di Nini non avesse tenuto insieme tutto quanto…”. Insomma sei perfettamente consapevole che il tema che stai affrontando non è certo dei più semplici e cerchi un qualcosa, un motivo unificante se preferisci, che ti aiuti a tenere tutto insieme. E in qualche modo è questo il ruolo che mi assegni anche se, come noterai, il mio linguaggio sarà più quello attento e pignolo di una consigliera, che quello caldo di una balia perché il volo temporale che mi richiedi non è indolore neppure per me.
Autore. Certo e ti ringrazio per lo sforzo e la disponibilità. E dico subito che il tema del libro ha mille implicazioni, chissà se…
Nini. No, però ora non nasconderti dietro l’alibi della complessità.
Autore. In che senso?
Nini. Sai nella mia vita con Henrik ho capito che stava per diventare succube delle sue numerose vicissitudini; ed è allora che ho compreso che la mia autorevolezza poteva diventare anche la sua bussola e aiutarlo a diventare più responsabile di sé stesso, ad autogovernarsi insomma e a non essere più succube della complessità della sua storia. Ora a me sembra che anche nel libro di cui vuoi parlare ci sia una bussola ben chiara, riportata anche nel titolo, i “processi di autogoverno”. Ed è proprio da questo, dal concetto di autogoverno, che dovresti farti guidare.
Autore. Sì, ma anche in questo caso gli aspetti sono tantissimi.
Nini. Certo, ma rifletti: a che cosa porta l’autogoverno?
Autore. A governare sulle proprie scelte.
Nini. Ovvio, ma non essere banale!
Autore. ?
Nini. Governare le proprie scelte vuol dire innanzi tutto essere responsabili di quel che si fa, altrimenti si combinano solo pasticci; di più: vuol dire voler essere responsabili, il che significa che occorre essere motivati a diventare auto responsabili.
Autore. Non ti seguo…
Nini. Tutti voi fate ogni giorno scelte, da quella di mettersi a scrivere nelle prime ore del mattino, ad esempio dopo un’abbondante colazione, mentre un’altra persona prende solo un caffè e scrive, se lo deve fare, verso metà mattina o nel pomeriggio. Ma tutti voi siete accomunati da una qualche motivazione, a volte anche inconscia, che vi fa scegliere un percorso al posto di un altro. Il tutto per raggiungere lo scopo che vi siete prefissati.
Autore. Ancora non mi è chiaro: che cosa c’entra una questione di abitudine personale, metti pure di auto responsabilità con un discorso collettivo sull’autogoverno?
Nini. Le due questioni, singolare e plurale, non sono affatto scollegate. Tutt’altro. Io ed Hendrik, ad esempio, siamo due persone profondamente diverse e ovviamente distinte, eppure lui non sarebbe quello che è senza di me, né io senza di lui. Essendo un prodotto di fantasia posso viaggiare tra passato, presente e futuro e vedere come che tutti voi siete singolare plurale, come racconta il filosofo Jean-Luc Nancy; come dire: siete indissolubilmente legati l’uno all’altro.
Autore. Spiega meglio.
Nini. Un autogoverno pieno di sostanza è fatto di tante autocoscienze che si nutrono di infinite, piccole-grandi motivazioni: spinte emotive o se preferisci voglia di vivere meglio, più in armonia con sé stessi e quindi con gli altri.
Autore. Stai entrando in un terreno antropologico, non ti sembra di portare un po’ lontano il discorso?
Nini. Per niente. Questo volo temporale a cui mi costringi mi permette anche uno sguardo più ampio sul tuo mondo. Per questo di dico che un altro autorevole filosofo della tua contemporaneità, Edgar Morin, parlando di un bel libro, “Il tempo della complessità” di Mauro Ceruti, sottolinea come “raccogliere la sfida della complessità posta dal nostro tempo” significhi “delineare una prospettiva antropologica dalla quale l’identità umana emerge come identità evolutiva e irriducibilmente multipla”. Il turbinio delle storie ci porta in continuazione a vivere, ad essere contaminati e vissuti da vicende differenti che cambiano in continuazione quel che siamo o pensiamo di essere. Da cui la nostra identità multipla e in continua evoluzione.
Autore. Tutto questo conduce anche a una molteplicità di punti di vista. Giusto?
Nini. Fai un passo avanti: le diversità individuali e culturali non sono un ostacolo ma una ricchezza. All’interno di una prospettiva progettuale, come ad esempio quella dell’autogoverno, l’intreccio di molteplici storie, direbbe Morin, “mostra come il nostro tempo renda ineludibile pensare insieme”. Ed è questa la scommessa anche del ricco e interessante libro sull’autogoverno da cui prendi le mosse: l’integrazione della frammentazione dei saperi e delle diversità locali.
Autore. D’accordo, ma ho un dubbio: il tutto dovrebbe camminare anche con l’obiettivo dell’ecocompatibilità. Invece ambiente e sviluppo sembrano spesso in contraddizione.
Nini. Solo in apparenza. Facciamoci aiutare dal saggio “La transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile che servono alla Sardegna” della già presidente regionale di Legambiente Annalisa Colombu. In questo scritto si parla della necessità di creare i “distretti verdi”: aree dove “mettere a sistema le realtà economiche-produttive”. Proposta finalizzata al raggiungimento “della massa critica necessaria per poter essere competitive” in un quadro di inscindibile connubio tra sviluppo e tutela ambientale”.
Autore. Sì, ottimo in teoria, ma in un mondo così strattonato da crisi internazionali sia economiche che culturali – basti pensare solo ai nazionalismi populisti e ai fondamentalismi – e dilaniato da guerre vicine e lontane, la coesione sociale si fa sempre più slabbrata, mentre è proprio questa che sarebbe necessario rinforzare e coltivare per riuscire a fare scelte efficaci.
Nini. Direi che soprattutto nei momenti più burrascosi vanno precisate alcune linee di principio. Mi sembra che Colombu centri il problema quando afferma che “fare crescere la qualità culturale dei territori significa anche combattere lo spopolamento progressivo e l’isolamento delle piccole comunità”, proprio come base, condizione indispensabile “per costruire una nuova coesione sociale”.
Autore. Molti, però, affermano che le piccole comunità sono strutturalmente deboli e che conviene guardare altrove…
Nini. Chi lo afferma non riesce ad avere una visione complessiva del territorio. Nello stesso tempo, come afferma nel suo saggio “E se parlassimo di sviluppo armonico dei territori?” l’imprenditore Nicola Pirina (Project leader con esperienza pluriennale sulla gestione di progetti complessi di innovazione) occorre fare un ulteriore passo avanti.
Autore. Spiega meglio.
Nini. Secondo Pirina vi sono due concetti molto importanti da tenere presente: cooperazione e reti.
Autore. Ancora non mi è chiaro.
Nini. Quel che più conta è fare sistema. Pirina afferma che “attraverso la cooperazione fra attori e la creazione di reti proattive (in grado cioè di ipotizzare previsioni sul futuro Ndr) e stabili nel tempo si aumenta la capacità di visione e di azione”.
Autore. D’accordo, ma queste reti di collegamento tra i vari soggetti vanno create e gli attori-soggetti (piccole e medie imprese, associazioni di territorio pubbliche e non, volontariato ecc.) vanno responsabilizzati al fine di diventare attivi e partecipi. E questo non è certo facile.
Nini. Il mio creatore letterario Marai, parla di me “come se il suo corpo nascondesse qualche segreto… Un segreto che le parole non sono in grado di sostenere”. Ed è anche per questo mio alone di mistero che mi arrogo il diritto di sottolineare un aspetto che è difficile da razionalizzare e che rende il coinvolgimento dei territori locali più difficile e più facile contemporaneamente.
Autore. Beh, non ti ci mettere anche tu a complicare le cose. Sbroglia e spiegati meglio.
Nini. Direi che tutte le analisi sui problemi generali sono giuste, appropriate e importanti: rappresentano gli argini robusti che segnano e proteggono la strada, ma non bastano per attivare quello sviluppo locale di cui si è parlato. Le reti sono composte da singole unità territoriali, private e pubbliche, ed è proprio da queste che si deve partire e da cui proviene in genere il primo impulso, che costruisce poi le motivazioni dell’azione.
Autore. Forse capisco, mi vuoi dire in pratica che noi sapiens siamo fatti, come dire, di carne e sangue.
Nini. Ci sei vicino, dal segreto del mio corpo ti dico che, seguendo il discorso di Pirina, devi inserire il desiderio come elemento determinante delle possibilità di sviluppo locale. Infatti “non si convincerà mai nessuno a fare qualcosa se in autonomia non ha già deciso di farlo”, desiderato di farlo.
Autore. Ma qui si parla dei territori…
Nini. Appunto, sempre seguendo Pirina: “Si sviluppano i territori che si vogliono sviluppare perché lo desiderano”.
Autore. Mi sembra di intuire ma forse è meglio che chiarisca.
Nini. Guarda la vita di tutti i giorni, pensi forse che si vada a fare una passeggiata, o ci si prenda cura di una pianta di prossimità o si faccia una telefonata con una persona cara e ci si senta felici se più persone ci sorridono, per calcolo?, perché un ragionamento ci dice che così è meglio?, o non è più corretto pensare che siamo portati a fare le nostre piccole grandi azioni perché spinti anche e direi soprattutto dal desiderio e dalla nostra sensibilità emotiva? E non è forse tutto questo groviglio di sentimenti ed emozioni che alla fin fine rappresenta la forza del torrente che scorre e di cui gli argini rappresentano, sì, la razionalità che ci indica la strada e la via più corretta da percorrere, ma che senza il torrente sono privi di senso?
Autore. Insomma mi stai dicendo che per gli esseri umani i desideri e le emozioni sono determinanti e prioritari nel decidere di fare una scelta. E quindi mi stai anche dicendo che l’analisi razionale della situazione in cui ci muoviamo è, sì, importantissima, ma che viene sempre dopo e che, in ogni caso, è sempre impastata con la nostra emotività.
Nini. Esatto, vedi che ci arrivi anche tu!
Autore. Grazie… Beh, però sono io che ti ho “scritturato”.
Nini. Lascia perdere e concentrati su quello che afferma Pirina: che “si popolano i territori che si amano e che vogliono essere vissuti dalle persone che li scelgono per la vita (o porzioni della stessa)”.
Autore. D’accordo, ma c’è un’altra questione che mi lascia perplesso: perché alcuni territori, pur avendo condizioni che si assomigliano e lo stesso supporto pubblico, si sviluppano meno di altri?
Nini. Già: perché persone e territori reagiscono in modo diverso agli stessi stimoli e sollecitazioni?
Autore. Qui ti voglio.
Nini. Non essere impertinente. Come già detto le parole non sono sempre in grado di sostenere tutto in modo consequenziale. Ma ci provo. Come due gemelli omozigoti non sono mai identici, così avviene per le comunità e i territori locali. Direi anche e sulla base della mia esperienza con Hendrik, che esistono sempre infinite casualità che agiscono e interagiscono sui vari aspetti della personalità di una persona e, a maggior ragione, sulle quasi infinite diversità di una comunità, producendo differenti reazioni interne difficili da prevedere. Da cui l’affermazione di Pirina, che tutto questo produce “contorni imprecisi e definizioni non sempre univoche”, di cui bisogna tener presente per non dare mai niente per scontato.
Autore D’accordo, anche in una prospettiva di autogoverno è più facile parlare ed è pure doveroso dei tanti problemi generali che vanno affrontati: dalle scelte verso l’ecosostenibilità, alla questione trasporti e continuità territoriale, dalla gestione del paesaggio alle linee guida per i comparti produttivi, dalle politiche per arginare lo spopolamento dei piccoli centri a quelle per il recupero dei centri periferici nelle città più grandi ecc. ecc. Tutti problemi fortemente interconnessi e su cui si deve agire con una logica di sistema. E sin qui va bene. Ma come stimolare e coinvolgere le comunità locali e renderle partecipi, dato che sono proprio loro il motore principale? E…
Nini. (…) e lo dico io dato che tu sei titubante: come accendere la scintilla del desiderio, di cui si è accennato, vero motore della volontà di cambiamento? “Accensione” non certo lineare dati i “contorni imprecisi” e le “definizioni non sempre univoche” dei territori locali?
Autore. Garantendo al massimo “la partecipazione delle persone alla vita collettiva”?, come sottolinea Colombu, parlando delle periferie urbane e territoriali.
Nini. Potrebbe essere, se non si ponesse un altro problema, il fatto che la vita collettiva è oggi poco considerata e vista con molto pessimismo; non è un caso che, come accennato, vi sia il proliferare dei populismi e dei nazionalismi. Da qui la necessità, penso, di un lavoro più capillare e molecolare capace di stimolare il desiderio e la fiducia.
Autore. Già ma come?
Nini. Per quel che ho potuto vedere: innanzi tutto valorizzando quell’immenso patrimonio che mostra una miriade di iniziative che spesso sorgono spontanee e che sono in grado di produrre energie e stimoli produttivamente e culturalmente virtuosi. In pratica si tratta di individuare quelle migliaia di progetti già in atto, spia di un qualcosa che si muove in una prospettiva innovativa, come fa Mauro Tuzzolino nel saggio “La rinascita del margine. Casi di studio in Sardegna per un autogoverno della dimensione locale”, sottolineando come ci siano tante comunità operose e spesso sconosciute. Infatti, precisa, “parlare di sviluppo locale non è un esercizio tecnico relativo alla modalità di spendita di risorse che sono assegnate dai vari livelli istituzionali. Diventa piuttosto una prospettiva di sguardo sul mondo”; e di capacità di sguardo diverso e meno convenzionale, aggiungerei.
Autore. Anche in Sardegna si vive oggi all’interno di una trama sociale sfilacciata che interessa non solo le periferie territoriali, ma anche quello che un tempo veniva definito il centro. A maggior ragione penso sia importante individuare tutti quei momenti capaci di diventare motori di beni relazionali.
Nini. Sì, grazie anche alla mia esperienza posso dire che le relazioni sono il cuore di tutto. In questo quadro la vostra scuola può assumere un ruolo importante, anche con i cosiddetti patti educativi di comunità, che il mio tempo nemmeno si sognava e che “consentono alle istituzioni scolastiche di sottoscrivere accordi di collaborazione con enti locali, istituzioni e realtà del terzo settore presenti in un determinato territorio”, come spiega Tuzzolino.
Autore. Sì, Nini, le iniziative segno di un cambiamento e catalizzatrici di attenzioni virtuose, sono tante. Di seguito, per motivi di spazio, solo pochi esempi: le fattorie didattiche, capaci di coinvolgere migliaia di studenti e diverse centinaia di aziende agricole; l’interesse per i sistemi lagunari come punto di confine e di incontro tra terra e mare; il progetto che prevede la realizzazione di un nuraghe trilobato a grandezza naturale nell’agro di Gergei, promosso dall’associazione Perdas Novas e che permetterà di capire meglio l’alto livello scientifico-culturale della civiltà nuragica; l’iniziativa che ha portato alla realizzazione del villaggio neolitico Sa Ruda, l’arkeopark, in collegamento con attività didattiche, laboratori ed escursioni nell’agro di Cabras in stretto collegamento con piccole aziende agropastorali. Per poi spostarsi alle stimolanti performance dell’ex Lazzaretto di Cagliari, gestito dalla cooperativa Sant’Elia. Un centro raccontato da Tuzzolino, un esempio di come si possa partire dagli stimoli dei luoghi, pur inizialmente problematici, per costruire esperienze di impresa sociale aperte e inclusive dei differenti stimoli del quartiere e di come tutto questo si possa proiettare verso l’esterno creando un ulteriore circolo virtuoso.
Nini. Sempre sulla scia di idee che nascono dal basso e dall’intuizione prodotta da un desiderio di cambiamento, a volte intercettato da istituzioni locali, non dimenticherei il progetto di ricerca del Gal Marghine; un lavoro in atto che prende le mosse dal programma “Prati fioriti”, interno alla progettazione comunitaria 2007/13 e da una “profonda riflessione, nel 2016, durante il processo partecipativo che ha portato alla costruzione della strategia e del piano di azione del medesimo Gal” come informa nel saggio “Quale agricoltura e quali tipologie di allevamento per la Sardegna?” l’imprenditore agricolo Sergio Sulas.
Autore. Mi riprendo la parola: si tratta di un articolato disegno che coinvolge il dipartimento di scienze biologiche dell’università di Cagliari, l’agenzia regionale Agris e, soprattutto, 27 aziende pastorali del Marghine che operano nei Comuni di Birori, Bolotana, Borore, Bortigali, Dualchi, Lei, Macomer, Noragugume, Silanus e Sindia.
Nini. E io aggiungo che questo progetto mette in relazione “la qualità delle produzioni zootecniche, intesa come valore nutrizionale (…), con la qualità dell’ambiente di origine, la biodiversità dei pascoli e il sistema di conduzione estensivo basato sul pascolamento naturale”.
Autore. Nini, permettimi però prima di chiudere il nostro discorso, una metafora giocando sul tuo volto raccontato-dipinto dal grande Marai, come “roseo e grinzoso” e invecchiato come “i tessuti di gran pregio”. Tessuti che implicano abilità e conoscenza, e capacità di cogliere il momento più opportuno in cui “tracciare” il punto. Tessuti in grado di diventare un ponte che unisce passato presente e futuro perché, si potrebbe dire, intessuti di tutti i sogni possibili.
Nini. Ed è proprio qui, che penso sia opportuno, per spezzare una lancia a favore della realizzabilità dei sogni possibili, inserire un auspicio che traggo dalla fine di uno dei saggi (di Nicola Pirina) del libro: “Non possiamo essere felici se il nostro prossimo non lo è. Vale per le persone come per i territori. Vale per le aziende come per i professionisti. E’ passato il tempo dell’homo economicus. E’ importante essere generativi, circolari e sostenibili. La periferia dell’anima è il punto di non ritorno di una società che voglia definirsi tale.
Un sorriso”.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/la-fantasia-del-desiderio-ponte-tra-passato-presente-e-futuro-di-roberto-paracchini/
by Redazione Scuola | 26/10/2024 21:46
Il rapporto del luglio 2024, commentato dalla stampa ma anche dal Governo e dalla Presidenza della Repubblica, attira l’attenzione e la curiosità.
Possibile che il Consiglio d’Europa con una sua Commissione faccia un attacco all’Italia così maldestro?
L’ultimo rapporto è del 2016 e quindi era da tanto che la Commissione non si esprimeva su questo tema e molta acqua era passata sotto i ponti anche in termini di cambi di Governo.
Ma la Commissione non ha il compito di verificare i comportamenti dei singoli governi ma di esaminare alcune situazioni sociali per verificare l’osservanza dei diritti fondamentali, sottolineare gli elementi di forza, ma anche gli aspetti da migliorare.
Da una lettura del Rapporto non sembra che la Commissione abbia tradito il suo mandato.
Infatti dopo aver elencato i progressi italiani effettuati, quali: l’introduzione dell’educazione civica come materia (questione sulla quale noi insegnanti non siamo tutti d’accordo), l’adozione di un sistema per monitorare gli atti di bullismo, significativi passi avanti nel campo dell’uguaglianza LGBTI, sforzi importanti per mettere in guardia i giovani dai pericoli dell’incitamento all’odio online, in particolare con campagne di sensibilizzazione e attività condotte dalla Polizia, il contrasto all’antisemitismo, l’accesso per i migranti all’assistenza sanitaria, i progetti di transizione abitativa dei Rom, ecc, sottolinea che però ci sono ancora ambiti in cui sono necessari percorsi di miglioramento.
L’UNAR ad esempio, ufficio nazionale per l’antidiscriminazione razziale, deve essere riportato all’indipendenza.
I programmi scolastici non fanno ancora riferimento all’uguaglianza LGBTI e alla differenza di genere.
Le persone LGBTI continuano ad affrontare discriminazioni, (i fatti di questi gg ne sono prova).
Il discorso pubblico è diventato sempre più xenofobo.
La capacità di Carabinieri e Polizia di contrastare la violenza e l’odio è limitata a causa dell’assenza di segnalazioni e della scarsa fiducia che in esso ripongono i gruppi di interesse ECRI. In particolare sottolineano la pratica delle forze dell’ordine di profilazione razziale e le conseguenze di ciò di cui sembra non esserci consapevolezza.
I bambini sono esposti a bullismo. I Rom subiscono ancora sgomberi.
I migranti sperimentano problemi concreti a causa della narrazione caldeggiata dalla classe politica.
Le eccessive critiche rivolte alla magistratura nei casi in cui si occupano di migrazione, ne mettono a rischi l’indipendenza.
L’ECRI poi propone una serie di raccomandazioni invitando l’autorità statale ad intervenire.
Aver presentato questo rapporto come un attacco alle nostre Forze dell’ordine mi porta a chiedermi quale Report abbiano letto. Oppure mancano dei fondamenti della comprensione del testo. Oppure ancora, in modo fazioso, estrapolano ciò che è utile alla loro narrazione. Pratica di recente avviata anche con la mail del magistrato Patarnello.
Trattasi al contrario, a mio parere, di un Rapporto che dovrebbe essere conosciuto dai decisori politici e da tutti coloro che svolgono una funzione importante che impatta con i diritti umani. Dagli insegnanti alle forze dell’ordine, dai sanitari ai magistrati.
Bona spe!
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/la-difficile-capacita-di-comprendere-il-testo-rapporto-dellecri-per-litalia-adottato-dalla-commissione-i-ndipendente-del-consiglio-deuropa-in-materia-di-diritti-umani-2-lu/
by Redazione Scuola | 22/10/2024 08:30
Premessa
Da dieci anni, e non da soli, riteniamo l’attuale legge elettorale del tutto inadatta a rappresentare realmente e democraticamente la volontà dell’elettorato sardo, in quanto, principalmente a causa delle soglie del 5% per le singole liste e del 10% per le coalizioni, una larga parte dei sardi che hanno espresso il proprio voto non hanno avuto rappresentanti eletti nel Consiglio regionale.
Al riguardo ricordiamo i voti espressi a Michela Murgia nel 2014, quelli del trio Maninchedda, Pili e Murgia nel 2019 e quelli della Coalizione sarda guidata da Renato Soru e di Sardigna r-Esiste, guidata da Lucia Chessa, nelle elezioni del mese di febbraio dell’anno in corso.
Parliamo di oltre 130.000 voti validi nel 2014, 61.000 voti espressi nel 2019 e ben 67.200 relativi alla consultazione del 2024, voti che non hanno avuto alcun rappresentante in Consiglio regionale. Questo risultato è ormai riconosciuto come fortemente lesivo della democrazia da gran parte della società civile e, per fortuna, anche da diverse forze politiche presenti negli organi elettivi.
Di pari passo e gravità risulta l’andamento del “non voto” nelle tre tornate elettorali, rispettivamente pari al 47.66 % nel 2014, 46.26% nel 2019 e 47.60% nel 2024.
Un principio, un metodo
Le regole comuni vanno fatte insieme e per tutti. Così come accade con i giochi dove tutti i giocatori si riconoscono nelle loro specifiche definizioni e regole operative, a maggior ragione il principio che la legge elettorale va condivisa tra maggioranza e minoranza non deve mai vedere alcuna deroga, come dimostra il pessimo precedente del 2013.
Riconosciamo la legge elettorale, in particolare quella della nostra Regione, quale strumento principale per l’attuazione della democrazia rappresentativa in Sardegna. Per questo deve essere riconsiderata e riscritta.
Come responsabili della Scuola di cultura politica Francesco Cocco siamo impegnati a stimolare ed estendere la partecipazione popolare alla politica e a concorrere con le nostre migliori energie alla riscrittura della legge elettorale, quale contributo della società civile alle istituzioni rappresentative.
Quanto al metodo, intendiamo lavorare in una prima fase con la maggioranza e ad organizzare entro fine novembre, o prima decade di dicembre, un incontro pubblico a cui sarà invitata anche la minoranza presente in Consiglio Regionale. Tutti, maggioranza e minoranza, avranno a disposizione i documenti frutto delle discussioni, elaborazioni e proposte della nostra Scuola.
Alcune condizioni essenziali per una buona legge elettorale
A mio modo di vedere una buona legge elettorale deve soddisfare tre condizioni di base:
la prima riguarda la necessità che sia assicurata a tutte le compagini politiche che intendono partecipare alla competizione elettorale, anche a quelle minori, la possibilità di farlo, presentando le proprie liste senza dover andare incontro a soglie di sbarramento e obblighi, che oggi appaiono esattamente per quello che sono: pretestuosi motivi di esclusione dalla partecipazione al processo democratico elettorale di una gran parte di cittadini ed eletti potenziali.
La seconda riguarda la rappresentanza territoriale che trova compimento se le circoscrizioni sono abbastanza omogenee in termini di abitanti, storia, economia e cultura. Si tratta di ridurre le forti asimmetrie che vedono oggi le due circoscrizioni di Cagliari e Sassari eleggere 32 rappresentanti su 60, riperimetrando e ridefinendo le circoscrizioni attuali oppure accorpandone alcune, laddove possibile, tenendo però conto delle affinità generali su delineate, e dividendo comunque le due circoscrizioni maggiori per attribuire a ciascuna un numero più basso di abitanti e di comuni afferenti. Non si può eleggere un terzo dei seggi in una sola circoscrizione, peraltro così socialmente disomogenea e tanto vasta da risultare impercorribile per intero da un candidato durante i 30 giorni di campagna elettorale.
La terza condizione, che qui sottolineo con particolare forza e convinzione, riguarda la rappresentanza di genere che è di là da venire. La correzione apportata nel 2018 è troppo debole e, ne va preso atto, non garantisce alcuna seria rappresentanza che rifletta proporzionalmente la composizione dell’elettorato. Al riguardo basti pensare al fatto che su 60 consiglieri eletti solo 10 sono donne, compresa la Presidente!
Su questo aspetto, siamo coscienti che l’auspicata parità di genere nel Consiglio Regionale, o almeno il suo progressivo riequilibrio numerico non dipendono da un testo di legge, ma sono legate soprattutto alle condizioni storico politiche del tempo che stiamo vivendo. Siamo però altrettanto sicuri che una legge che preveda una presenza egualitaria delle candidature, quale è quella attuale, sia una condizione necessaria ma non sufficiente per garantire il risultato auspicato.
Poste le attuali regole di espressione delle preferenze, saranno comunque come sempre le scelte dell’elettorato a stabilire quale sarà la composizione in numero di eletti Consiglieri e Consigliere.
Come arriviamo alla proposta
Come Comitato di iniziativa costituzionale e statutaria (CoStat), nelle sue articolazioni di Cagliari e Sassari, in collaborazione con numerose associazioni e partiti non rappresentati in Consiglio, abbiamo a suo tempo analizzato e criticato la legge elettorale approvata nel 2013, ed elaborato proposte migliorative, arrivando a definire vere e proprie linee guida che potessero consentire al Consiglio di legiferare in maniera adeguata, migliorando la legge attuale, a partire proprio dalla più alta partecipazione popolare alle elezioni.
L’astensione, che io preferisco chiamare “il non voto”, è aumentata vertiginosamente e siamo ormai a livelli di guardia, al punto che diversi osservatori indipendenti rispetto agli schieramenti politici maggiori, parlano già di fenomeno irreversibile.
Personalmente continuo a credere che si possa ancora invertire la tendenza e giungere ad una legge elettorale di ispirazione proporzionale, che risulta essere una precondizione per una maggiore partecipazione dell’elettorato alla scelta dei propri rappresentanti, nelle condizioni politiche attuali.
Sull’aspetto della stabilità del governo regionale, tanto cara alla Corte costituzionale che pare garantirla quasi esclusivamente con il principio “simul stabunt simul cadent”, basti pensare alla Valle d’Aosta che, essendo l’unica regione con una legge elettorale proporzionale corretta con un premio di maggioranza, elegge il Consiglio (non il Presidente) e in quell’assemblea viene poi eletto il Presidente, soggetto a sfiducia costruttiva.
Per quanto riguarda la questione dell’elezione diretta del Presidente, sono convinto che oggi tale punto vada mantenuto. La motivazione è alquanto semplice: nessun partito o gruppo politico presente in Consiglio Regionale sosterrebbe la sola elezione del Consiglio e lo stesso elettorato è talmente abituato all’elezione congiunta del Presidente e del Consiglio che non recepirebbe favorevolmente un simile cambiamento.
Al riguardo, la storia recente delle evoluzioni dei sistemi elettorali nel nostro paese, dall’elezione del Sindaco, al Presidente di regione e alla proposta attuale di Premierato ci deve pur insegnare qualcosa sulle scelte da fare!
Fatta questa doverosa premessa ecco i punti che come Scuola di cultura politica Francesco Cocco intendiamo proporre a tutto il Consiglio regionale, maggioranza e opposizione, perché una legge elettorale si fa insieme e non contro qualcuno.
La nostra proposta nasce dalle specifiche competenze giuridiche interne alla nostra associazione, prime fra tutte quelle di Andrea Pubusa e di Antonio Dessì, e dall’appassionata militanza per la democrazia costituzionale e statutaria propria di ciascuno dei nostri soci, sempre manifestata in tutte le nostre attività pubbliche.
La proposta è corroborata anche da una lettura attenta e da un dibattito approfondito relativo alle leggi elettorali delle altre regioni italiane, a partire da quelle a statuto speciale, da un confronto con alcuni costituzionalisti, nonché dalla lettura e rivisitazione delle pochissime proposte reperibili nel sito web del Consiglio regionale.
Riteniamo che i tempi siano maturi per una nuova legge elettorale in senso proporzionale o almeno per una reimpostazione della legge attuale che ne incardini la struttura in tale direzione.
Al riguardo, si osserva che questo è un obiettivo dello stesso programma della coalizione che ha sostenuto Alessandra Todde come presidente e, in particolare, anche di qualche partito significativo di tale coalizione.
Per i motivi su esposti facciamo questo passo formale che vuole dare l’avvio ad un processo di scrittura, condiviso con tutte le forze politiche presenti nel Consiglio, di un nuovo testo della legge elettorale, a partire dallo schieramento di maggioranza.
La nostra proposta
La proposta è articolata nei nove punti seguenti:
1. Abbassamento delle soglie portandole al 2% per le singole liste e al 5% per le coalizioni.
2. Riperimetrazione (e/o ridenominazione) delle circoscrizioni che potranno essere:
a) proporzionali al numero di abitanti, costituite da sei circoscrizioni che eleggono otto seggi, una che ne elegge sei e l’ultima a cui ne spettano cinque; in questo modo si può ottenere un maggiore equilibrio nella rappresentanza territoriale. A partire dal numero di residenti al 31 dicembre dell’anno di avvio della nuova legge elettorale verranno riconfigurate le circoscrizioni sulla base dei seggi da attribuire, con una variabilità percentuale della popolazione contenuta entro 15% o tale da permettere l’eleggibilità di un consigliere. Superata tale percentuale (o numero per l’eleggibilità) si procederà con una rimodulazione delle circoscrizioni interessate.
b) a partire dalle circoscrizioni attuali si ottengono due o tre (preferibile) circoscrizioni da quella di Cagliari che attualmente elegge 20 consiglieri e due da quella di Sassari che attualmente elegge 12 consiglieri.
La riduzione per numero di abitanti e estensione geografica delle due circoscrizioni maggiori può favorire la capacità della rappresentanza territoriale di conoscere al meglio l’area di riferimento potendone rappresentare più efficacemente le esigenze, le specifiche caratteristiche, i problemi e le aspirazioni nella sede legislativa regionale.
3. Innalzamento della soglia dall’attuale 40% al 45% per avere il premio di maggioranza pari al 60%, ed eliminazione della soglia minima per ottenere il premio del 55%. Quest’ultima premialità viene soppressa. Il premio di maggioranza del 60% sarà attribuito con l’ulteriore condizione che il numero di voti espressi sia almeno pari alla maggioranza assoluta dell’elettorato.
4. Attribuzione dei 59 seggi in base alla cifra elettorale delle liste e delle coalizioni col metodo D’Hondt, utilizzato per i sistemi proporzionali.
5. Tutti i candidati Presidente delle liste e delle coalizioni possono entrare in Consiglio a condizione che abbiano conseguito una cifra elettorale superiore alle soglie di sbarramento, con seggio attribuito nella circoscrizione in cui viene conseguita la maggiore cifra elettorale.
6. Eliminazione del voto disgiunto in quanto il Presidente eletto deve essere politicamente omogeneo alla sua maggioranza.
7. Sottoscrizione delle nuove liste da presentare obbligatoria per tutti, con esclusione solo delle liste già presenti nel Consiglio regionale o facenti parte dei partiti nazionali. Si propone, in coerenza con la diminuzione delle soglie di sbarramento, che le liste dei candidati per ogni circoscrizione (N.B: i numeri indicati si riferiscono come esempio alle circoscrizioni attuali!), facenti parte di nuovi partiti o raggruppamenti non presenti nel Consiglio regionale, siano tutte tenute alla sottoscrizione di:
a) non meno di 200 elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni della circoscrizione per le circoscrizioni fino a 500.000 abitanti;
b) non meno di 400 elettori iscritti nelle liste elettorali della circoscrizione per le circoscrizioni oltre i 500.000 abitanti.
Ovviamente tutte le firme devono essere autenticate.
8. Sulla rappresentanza di genere, considerato che nel 2019 erano presenti in Consiglio 11 Consigliere e in questa legislatura ve ne sono solo 10 compresa la Presidente, è necessario un ulteriore approfondimento per arrivare alla piena parità di genere dei rappresentanti eletti e non fermarsi all’insufficiente equilibrio paritario delle presenze in lista. Questo punto è aperto al confronto pubblico a partire dalla attuale maggioranza presente in Consiglio.
9. Se mancano le condizioni relative al punto 3 (premio di maggioranza), al fine di garantire la stabilità di governo, il Presidente eletto è soggetto al voto di fiducia in Consiglio all’inizio del mandato e, per una sola volta durante la legislatura, all’istituto della sfiducia costruttiva da attuare compiutamente entro e non oltre un periodo di 20 giorni dalla sfiducia espressa, pena lo scioglimento del Consiglio e la convocazione di nuove elezioni.
Questi sono i punti sui quali intendiamo chiamare al confronto tutte le forze politiche presenti in Consiglio ad iniziare dai partiti di maggioranza, le organizzazioni della società civile nelle sue varie articolazioni, vale a dire i partiti non presenti nelle istituzioni elettive e le associazioni che con le loro attività si sono occupate e continuano ad occuparsi con passione di questo tema così importante per la democrazia sarda.
Su questi punti, in base al confronto che riusciremo a sviluppare con i vari interlocutori sopra elencati e che intendiamo coinvolgere attivamente, siamo pronti a dare il nostro contributo per la scrittura di un articolato di legge che sia la base per il lavoro che farà il Consiglio fino alla sua approvazione definitiva.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/per-una-nuova-legge-elettorale-sarda-avvio-di-un-confronto-politico-pubblico-e-di-unazione-legislativa-rapida-e-concreta-da-parte-del-consiglio-regionale-di-fernando-codonesu/
by Redazione Scuola | 07/10/2024 09:49
Dea Nidaba o Nisaba
–Voce. Davvero i tuoi bisbisbissavoli vivevano del tutto isolati in Sardegna?
–Autore. No, ma che dici?
–Voce. Veramente non lo dico io ma lo narrano in tanti affermando che la Sardegna, essendo un’isola, non poteva che essere isolata; e raccontano anche che voi tutti siete figli di una Sardegna arcaica.
–Autore. Allora capovolgiamo il paradigma.
–Voce. Paradigma?
–Autore. Sì, indica una visione d’insieme quando è dominante su tutti gli aspetti di interpretazione di una determinata realtà.
–Voce. Mi vuoi forse dire che è ininfluente che la Sardegna sia circondata dal mare?
–Autore. No, anzi, il contrario. Prova a metterti sul litorale e volgi lo sguardo non al tracciato terrestre ma a quello marino. Ti sembrerà di mandare lo sguardo all’infinito, tra viaggi e scoperte e non certo di essere in un luogo isolato.
–Voce. D’accordo, ma tutti i discorsi che voi sardi fate sulla mancata continuità territoriale?
–Autore. Non confondere i problemi attuali dei trasporti con quello che il Mediterraneo è stato nei secoli per la Sardegna.
–Voce. Una parte di voi sostiene, però, che la Sardegna sia stata per decenni molto arretrata anche perché più isolata per le difficoltà dei collegamenti.
–Autore. Non esattamente. Innanzi tutto tieni presente che i dibattiti sulla storia della Sardegna sono molto ampi…
–Voce. Quindi?
–Autore. Quindi nel leggere i fatti storici dobbiamo decifrare, colmare i vuoti, cercare di mettere assieme i frammenti, analizzare e studiare con l’aiuto dell’archeologia e anche, come vedremo, della mitologia e della genetica. E questo non è affatto facile e ci vogliono ricerche e tempo, non conclusioni affrettate.
–Voce. In un libro che mi è capitato di sfogliare ho letto che nei primi decenni del Novecento il linguista Max Leopold Wagner, autore anche del primo dizionario di lingua sarda, prese come paradigma di tutta l’isola la Sardegna più arcaica e la sua lingua, il nuorese; e anche lo storico Marc Bloch sottolineò l’isolamento e l’arcaicità della Sardegna…
–Autore. Vedo che sei molto curiosa ma, scusa, tu chi sei?
–Voce. Ma che domande fai?
–Autore. Beh, visto che lo scritto è mio…
–Voce. Facciamo allora che io sia una voce che, per qualche strana increspatura dello spazio-tempo, ha ridato vita a Nidaba, divinità della mitologia sumera della saggezza, della scrittura e della letteratura.
–Autore. Sì…, d’accordo, però vacci piano con queste cose, mi fai confondere.
–Nidaba. Ma sai bene, visto che questo testo lo stai scrivendo tu, che la mitologia entrerà nel tuo racconto, quindi abituati alla mia presenza. E spero, autore mio, che non ti infastidisca troppo se mi prenderò un po’ la scena.
–Autore. No, no, anzi così mi aiuti perché l’argomento è complesso.
–Nidaba. Certamente, allora preciso che vi sono alcuni concetti importanti su cui è bene soffermarsi e che vengono esposti e illustrati in un libro fondamentale proprio per raggiungere l’obiettivo che accennavi: cambiare il paradigma e passare da una visione statica e arretrata a un’immagine completamente diversa della Sardegna, ricca di un passato dinamico che può diventare propulsivo per il futuro.
–Autore. Sì, il libro è l’ultima pubblicazione di Silvano Tagliagambe, uno dei più autorevoli e originali epistemologi della scena filosofica nazionale e internazionale; si intitola Il Mediterraneo dentro. La Sardegna tra memoria e avvenire (Mimesis editore). In quest’opera densa e fascinosa, l’autore ripercorre e ridata nel passato la nascita delle origini della nostra civiltà culturale da cui è poi nata la filosofia.
–Nidaba. Ma quel che, almeno per me, è forse più intrigante è che questo percorso viene realizzato tramite un attento studio della mitologia.
–Autore. Anche in questo caso Tagliagambe si rifà a un gigante della cultura della prima metà del Novecento, il teologo, filosofo e matematico russo Pavel Florenskij, che in undici mirabili lezioni tenute nel 1909 a Mosca, sottolinea come sia necessario ampliare di circa tre millenni gli orizzonti storici della scienza. Per farlo lo studioso si avvale delle ultime scoperte dell’archeologia del suo tempo: da quelle di Schliemann a Troia negli anni 70-80 del XIX secolo, ai lavori di scavo a Delo, realizzati da Homolle e Holleaux nel terzo anno del XX secolo; passando per le ricerche di Evans a Creta, iniziate nel primo anno del XX secolo.
–Nidaba. Insomma come afferma l’autore del libro sulla scia di Florenskij, l’archeologia ha rivelato l’esistenza di più di venticinque secoli di cultura antica prima dell’inizio della filosofia a Mileto. E tutto questo mi entusiasma perché impregnato di mitologia: Florenskij infatti “concentra in particolare la sua attenzione sul mito della madre-terra” che è, come sottolinea lo studioso, “la morte, e insieme la vita. Genitrice e distruttrice. Dal suo ampio grembo partorisce tutto ciò che è vivente; e tutto raccoglie in esso”. Ma attenzione, e questo mi emoziona ancora di più, come giustamente si legge in Il Mediterraneo dentro, “questa madre generatrice, nutrice e di nuovo distruttrice in un’unica persona, poteva assumere, se personificata, una sola forma, quella della donna”.
–Autore. E questo significa che…
–Nidaba. Scusa ma in quanto dea, sono io più informata sui fatti. Quanto appena riportato vuol dire che Florenskij ha anticipato di circa 80 anni – come sottolinea Tagliagambe – “i risultati delle ricerche dell’archeologa lituana Marija Gimbutas, la quale attraverso un approccio interdisciplinare da lei denominato archeomitologia, ha rivoluzionato gli studi sulle origini della cultura europea”.
–Autore. Studi, aggiungerei, che hanno cambiato un altro vecchio paradigma, quello del patriarcato visto come sistema che sarebbe esistito da sempre, individuando invece una civiltà differente “che dominò l’Europa per tutto il paleolitico e il neolitico, e l’Europa mediterranea sino a gran parte dell’età del bronzo”.
–Nidaba. Non dimenticare di dire, però, che la archeomitologa Gimbutas, attraverso i suoi rigorosi lavori di scavo, ha individuato l’importante caratteristica di questa civiltà non patriarcale: l’essere “una cultura per millenni pacifica, con una struttura sociale egualitaria e matrilineare, legata ai cicli vitali della terra”.
–Autore. Infatti il tutto, come si sottolinea nel libro Il Mediterraneo dentro, presenta “un simbolismo religioso strettamente connesso al femminile”.
-Nidaba. E il patriarcato?
–Autore. Arrivò dopo le continue incursioni delle genti Kurgan che vivevano nel medio e alto bacino del Volga; e le cui peculiarità basilari erano, come ricorda anche Gimbutas nel libro Il linguaggio della Dea, patriarcato, patrilinearità, agricoltura su piccola scala e allevamento di animali”. Incursioni che misero fine alla cultura dell’Europa antica tra il 4300 e il 2800 a.C., trasformando così la cultura gilanica caratterizzata da modelli di mutua collaborazione nelle relazioni di genere, da una agricoltura altamente sviluppata e da grandi tradizioni architettoniche, scultoree e ceramistiche, in androcratica e da matrilineare in patrilineare aderente e una cultura bellicosa e patriarcale, sviluppatasi sino ai nostri giorni così come noi la conosciamo.
–Nidaba. Io, come dea della saggezza, non posso che intristirmi per l’avvento del patriarcato e rallegrarmi per gli stimoli di Florenskij e le ricerche di Gimbutas. Per voi sardi mi sembra poi di particolare interesse che secondo l’archeomitologa questo processo di involuzione nel patriarcato, sia avvenuto con un ritardo di 1000-1500 anni nelle isole di Thera, Malta, Creta e Sardegna rispetto all’Europa centrale. Un fatto che avrebbe quindi permesso anche all’isola nuragica di restare pacifica e creativa più o meno sino al 1500 a.C.
–Autore. Lo spazio a nostra disposizione stringe e quindi, cara Nidaba dobbiamo sintetizzare. Prima di passare ai rapporti della Sardegna con Creta, mi permetto però una zoomata temporale più vicina al nostro tempo e indispensabile per mutare il nostro sguardo: siamo nel 1974 quando due contadini scoprirono accidentalmente nella penisola del Sinis, in zona di Cabras, alcuni strani sassi che dopo due campagne di scavo archeologico si trasformarono nei 27 Giganti di Mont’e Prama, dal nome della località dove sono stati trovati. Ma l’aspetto ancora più interessante è la perfezione di queste statue, soprattutto se rapportate al periodo in cui sono state realizzate, quello nuragico, di oltre tremila anni fa: statue alte dai 2 a 2,60 metri, scolpite in posizione eretta e che si reggevano “unicamente sulle loro caviglie, in grado quindi di autosostenersi”. Insomma si resta abbagliati dall’estrema “precisione dei dettagli geometrici, con occhi resi con centri concentrici perfetti e l’accurata realizzazione delle linee parallele”. Si tratta di elementi che evidenziano “l’impiego di strumenti tecnici avanzati, senza paragone nelle culture coeve”, come rimarcato da Tagliagambe.
–Nidaba. E adesso, un po’ inorgoglita per la rivalutazione del valore dei nostri tempi lontani, pongo io un problema sul periodo nuragico che prende le mosse dalla mia grande meraviglia piena di ammirazione: com’è stato possibile realizzare in Sardegna oltre 10.000 nuraghi (di cui circa settemila ancora in piedi), alti anche 25 metri con sassi enormi situati in equilibrio, senza collante e che per essere trasportati avrebbero dovuto movimentare decine di migliaia di viaggi in carri trainati dai buoi? Nel mio sguardo sulla Sardegna ho notato poi che vi sono diversi tipi di nuraghi, alcuni con un volume dei vuoti superiore a quello dei pieni; fatto che comporta, come raccontano le vostre conoscenze scientifiche precise competenze di ingegneria strutturale. Quindi: come è stato possibile?
–Autore. La domanda, come tu sai, è evidentemente retorica perché c’è una sola spiegazione razionale: grazie a conoscenze scientifiche molto raffinate. “E quale prodigioso insieme di svariate conoscenze e competenze – completa Tagliagambe – può dare adeguatamente conto della meraviglia del pozzo di Santa Cristina, massima espressione architettonica della civiltà nuragica, risalente a circa 3000 anni fa, che sembra costruito oggi, con i suoi massi squadrati, perfettamente incastrati con una geometria perfetta, in cui ogni 18,6 anni, in periodo di lunistizio maggiore, la luce della luna raggiunge lo specchio d’acqua riflettendosi perpendicolarmente attraverso il foro del diametro di circa 30 centimetri della camere di tholos?”.
–Nidaba. Tutto questo vuol dire che certamente la Sardegna non era affatto isolata, e tutt’altro che arcaica ma fortemente interconnessa col mondo e con le punte più avanzate della cultura del Mediterraneo.
–Autore. Perfetto, ma fammi dire che in questo quadro e grazie anche agli studi citati di Gimbutas e alle argomentazioni di Tagliagambe viene sempre più corroborata l’ipotesi che la nascita della filosofia greca a Mileto sia stato il prodotto del convergere di tanti sviluppi precedenti. Tesi che da ragione a Florenskij quando afferma che quel periodo non va più considerato come il terminus a quo, l’epoca storica da cui far partire lo sviluppo della civiltà e della filosofia occidentale, ma il terminus ad quem, cioè quello spazio del tempo storico entro il quale si sono sviluppati rilevantissimi eventi culturali e che proprio per questo rappresenta un importante punto d’arrivo: un confine che dilata di molti secoli le origini della nostra civiltà; e che è anche una soglia che, fertilizzata da un così ricco passato, ha dato grande impulso al procedere filosofico-scientifico successivo.
–Nidaba. Prima hai accennato al rapporto tra Creta e la Sardegna, chiarisci.
–Autore. Questa grande civiltà ebbe il suo massimo splendore tra il 19° e il 15° secolo a.C. e, spiega Tagliagambe, permette di dilatare non solo il tempo, ma anche lo spazio “perché la civiltà cretese, misteriosa, plurivoca, densa di significati, culla della cultura greca e di molteplici culti greci, è l’espressione di un pensiero che appartiene all’intero bacino del Mediterraneo”. Affermazione quest’ultima che “non è confermata soltanto dall’antichità e dall’intensità dei rapporti tra Creta e la Sardegna, documentati dalla presenza, a partire dal XIV secolo a.C. in varie parti di quest’isola, di ceramica micenea, in parte di produzione nuragica, e di ceramica nuragica del XIII secolo a.C. a Creta, presso il porto di Kommos; ma c’è ben altro”.
–Nidaba. Qui mi riprendo la parola. L’intensità di questi rapporti all’interno del bacino del Mediterraneo sono oggi avvalorati anche dalla paleogenetica. “Di particolare rilievo – si legge nel libro di Tagliagambe – è lo studio di un team di ricercatori guidati da Francesco Cucca, professore di genetica medica dell’Università di Sassari”(che ha coinvolto anche il Max Planck Institute di Jena e la Chicago University) dal titolo Genetic history from the middle Neolithic to present on the Mediterranean island of Sardinia, Storia genetica dal neolitico medio ad oggi nell’isola mediterranea di Sardegna, pubblicato nel febbraio del 2020 da Nature Communications.
–Autore. Questo studio, basato sui risultati delle analisi effettuate “a livello dell’intero genoma sul DNA estratto da resti ossei preistorici di 70 persone, provenienti da più di 20 siti archeologici sardi, su un periodo che parte dal Neolitico medio e arriva sino al Medioevo”, racconta di importantissime relazioni. In un passo della sintesi dei risultati fatta fa Cucca, si legge ad esempio che “comparando i risultati ottenuti dal DNA antico con quelli di migliaia di sardi contemporanei si osservano, a partire da individui dei siti fenicio-punici (I millennio a.C.), segnali di flusso genetico da altre popolazioni, provenienti principalmente dal Mediterraneo orientale e settentrionale”.
–Nidaba. Mi sembra però che Tagliagambe vada ancora oltre.
–Autore. Spiega tu.
–Nidaba. Beh, questo libro aiuta a capire come tutti noi, e mi ci metto anch’io come mito, si sia come immersi in Chronos, il tempo cronologico e sequenziale, legato alla storia; e contemporaneamente in Aion, il tempo lungo, la durata, l’eternità. Detta in altri termini: di avere la consapevolezza di vivere in un tempo finito, il qui ed ora e contemporaneamente di aspirare a una infinità, a un tempo lungo che in parte continua anche dentro ognuno di voi con le tracce nel vostro DNA dei rapporti e delle storie di relazione che avete vissuto nel passato, come dimostrano anche gli studi di Cucca.
–Autore. Ma Tagliagambe suggestiona ulteriormente il lettore allargando lo spettro delle possibilità: dall’ipotesi della trasmissione culturale per imitazione dei memi, concetto sviluppato dal biologo Richard Dawkins nel libro Il gene egoista, testo da alcuni considerato un po’ controverso ma che ha avuto grande influenza e dove si immagina una analogia con i geni: “Proprio come i geni si propagano nel pool genetico saltando di corpo in corpo tramite spermatozoi o cellule uovo, così i memi si propagano nel pool memico saltando di cervello in cervello tramite un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione”.
–Nidaba. Certamente gli esempi citati nell’intrigante excursus culturale contenuto in Il Mediterraneo dentro sono tanti e spesso relativi a ipotesi concettuali che in qualche modo “bucano” il tempo: dagli archetipi di Jung, complessi di esperienze a carattere universale sedimentate nella psiche dell’uomo e considerate strutture basilari eternamente ereditate; alla teoria del tempo grande del critico letterario Michail Bachtin, che nelle potenzialmente infinite interpretazioni di un testo letterario vede un tempo virtuale che arricchisce e rinnova in continuazione la stessa opera letteraria, impedendogli così di restare impigliato nel qui ed ora del contesto di origine, pur importante; sino alla filosofa Simone Weil che vede nella tendenza alla bellezza, l’aspirazione all’infinito.
–Autore. Un viaggio denso e intrigante quello proposto da Tagliagambe, che immerge il lettore nella contemporaneità: da Immanuel Kant sino alla meccanica quantistica, dalle ultime innovazioni delle neuroscienze al metaverso dei gemelli digitali. Un libro che ha anche l’obiettivo di annodare e riannodare i fili del passato col presente e col futuro (possibile) sino a mostrarne l’indissolubile intreccio: “La capacità di mantenere compresenti il presente e l’eternità, il divenire cronologico e il tempo lungo dalle origini a oggi, Chronos e Aion, ha un enorme valore culturale, in quanto sollecita a pensare insieme, senza alcuna gerarchia, passato presente e futuro (non determinato ma possibile).
–Nidaba. Al di là dei nostalgici richiami al passato, Tagliagambe ritorna “al formidabile aforisma del grande compositore Gustav Mahler: la tradizione è la salvaguardia del fuoco, non l’adorazione delle ceneri”. Un monito che nella vostra epoca in molti dovrebbero tenere presente.
–Autore. Certo e per essere ancora più chiaro il nostro filosofo prende l’aforisma di Mahler come cornice indispensabile del suo discorso in cui “memoria, vissuto e progetto o, se si preferisce, tradizione, condizione attuale e innovazione” possano incontrarsi.
Un quadro che rivitalizza la cultura classica che ha reso il Mediterraneo, anche con la forte presenza della civiltà nuragica, protagonista degli albori della civiltà occidentale proprio perché “mare del meticciato”, la cui vocazione, come ebbe a dire già nel 1950 l’allora mitico sindaco di Firenze e intellettuale cosmopolita Giorgio la Pira, “è quella di essere culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione”.
–Nidaba. Un quadro, quindi, in cui gli abitanti della Sardegna, con e grazie all’autorevolezza culturale del loro passato, evidenziato da numerosi studi multidisciplinari, possono disporre – conclude Tagliagambe – “di tutti i mezzi per assumere una consapevolezza ancora maggiore del ruolo che possono svolgere oggi e in futuro nell’area cruciale del Mediterraneo per contribuire a orientare in senso positivo l’avvenire”.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/tra-mediterraneo-e-sardegna-il-rilancio-del-presente-di-roberto-paracchini/
by Redazione Scuola | 19/09/2024 15:28
Un incubo annuale perseguita gli insegnanti italiani: le sempre “Nuove linee guida” per l’insegnamento dell’educazione civica.
Da anni i governi hanno bisogno di mettere mano all’insegnamento dell’educazione civica. Il che è già motivo di preoccupazione.
Ormai diventata nuova materia, appare trattata più che come una scienza di cui non possiede alcun carattere, come un catechismo morale, nelle mani dei governanti di turno.
La libertà di insegnamento, come previsto dal secondo comma dell’art. 33 della Costituzione, che è principio a tutela del diritto degli studenti ad un apprendimento ad ampio spettro, viene mortificato dall’introduzione di tematiche ideologiche.
Dopo aver insegnato per oltre 30 anni discipline giuridiche ed economiche, sento un dovere professionale e civico di intervenire sulle Nuove Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Quando nel 1958 il Ministro della P.I. Aldo Moro istituì, con DPR 585, l’insegnamento della educazione civica, per 2 ore, all’interno dell’insegnamento della storia, senza obbligo di valutazione, fu una vera rivoluzione.
Leggere l’allegato al DPR è ancora oggi illuminante in considerazione del fatto che sono passati 66 anni.
L’impostazione rimane di estrema attualità se confrontata alla regressione di questi ultimi decenni, a partire da quanto fatto dalla Ministra Moratti per proseguire con la Ministra Gelmini fino ad ora.
L’allegato al decreto andrebbe letto tutto, ma alla luce delle nuove Linee guida, mi colpisce un passaggio:
“Ma l’impegno educativo non può essere assolto con retorica
moralistica, che si diffonda in ammonizione, divieti, censure: la lucidità dell’educatore rischiari le eclissi del giudizio morale dell’alunno, e si adoperi a mutare segno a impulsi asociali, nei quali è pur sempre un potenziale di energia. Conviene al fine dell’educazione civica mostrare all’allievo il
libero confluire di volontà individuali nell’operare collettivo.”
Che cosa non torna delle Nuove Linee Guida
A fondamento di tale insegnamento è posta la Costituzione che però per il Ministro ha carattere “personalistico”.
Ora è veramente curioso che della Costituzione venga sottolineato il carattere “personalistico”.
La centralità della persona così come declinato nell’art. 2, attiene al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali. Anche nella parte seconda in cui si parla di diritti e doveri dei cittadini, essi sono visti sempre in relazione agli altri ed il diritto del singolo degrada quando interferisce con gli interessi generali. Quindi definire la Costituzione un testo a carattere “personalistico”, essendo peraltro la legge fondamentale istitutiva del nostro sistema democratico, mi sembrerebbe una definizione gravemente riduttiva e che denota una idea di insegnamento personalizzato.
La parte introduttiva appare superficiale e contradditoria in relazione allo sviluppo successivo delle Linee guida. Si sottolinea la necessità di insegnare i doveri, enfatizzati rispetto ai diritti, ove invece lo studente è spesso incapace di far valere i propri.
Si sottolinea la trasversalità dell’insegnamento come peraltro è stato nella impostazione originaria di Aldo Moro fino alle penultime Linee guida; si cita l’art 2 della Costituzione all’interno di un passaggio volto ad avvalorare il tema identitario, mentre si omette che è l’art. 2 che sancisce il principio di solidarietà.
Sembra un potpourri scritto con un mero intento retorico.
Trasversalità dell’insegnamento
Così come era in origine si ribadisce la trasversalità dell’insegnamento della disciplina, trasversalità rispetto a tutte le discipline curricolari. Questo principio, che di per sé potrebbe essere condiviso a livello didattico, si scontra col tema della valutazione che ne fa una disciplina a se, che deve essere insegnata per 33 ore o dai docenti di discipline giuridiche o, in mancanza, da qualunque altro docente del Consiglio di classe.
Tale decisione è fortemente contradditoria perché se è trasversale alle discipline non può avere un monte ore definito ed una valutazione autonoma. Ciò la trasforma in una disciplina a sé che però manca di un codice epistemologico. Si tratta di una vera invenzione disciplinare, i cui contenuti sono affastellati dal Ministero, attingendo di qua e di là senza alcuna scientificità.
Anche l’assegnazione dell’insegnamento della disciplina a chiunque, la sottrae al campo degli studi economico-giuridici, facendo sì che chiunque possa insegnarla. Sembra che il Ministero dell’Istruzione e del Merito abbia fatto sua la regola diffusa sui social della “tuttologia”.
I contenuti (la manomissione delle parole)
“L’educazione civica può proficuamente contribuire a formare gli studenti al significato e al valore dell’appartenenza alla comunità nazionale che è comunemente definita Patria, concetto che è espressamente richiamato e valorizzato dalla Costituzione”. Partiamo da questa affermazione delle Linee guida
Le parole del testo costituzionale non sono scelte a caso.
In due articoli la Costituzione parla di Patria: nell’art. 52, sancendo il dovere di ogni cittadino di difendere la Patria e nell’art. 59 in cui si fa riferimento al potere del P.d.R. di nominare i Senatori a vita, scegliendoli fra cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico, letterario. L’utilizzo in questi giorni, a proposito di un processo in corso nei confronti di un Ministro per il suo operato durante il salvataggio di migranti in mare, rimanda ad un uso distorto ed enfatico del termine “Patria”, con riferimento alle dichiarazioni del Ministro che sostiene di aver difeso i confini della Patria. Il prof. Zagrebelsky ci ricorda che ormai i confini nazionali vanno oltre, per ragioni culturali e di tutela dei diritti umani. Questa visione è ormai anacronistica e non può essere avvallata dalla scuola.
Sarebbe stato sufficiente prevedere lo studio della Costituzione fra i contenuti curricolari dell’educazione civica senza bisogno di sottolineare “l’Inno e la Bandiera nazionale, come forme di appartenenza ad una Nazione”, o l’educazione stradale, il riferimento alla criminalità organizzata, il bullismo, l’educazione finanziaria ed assicurativa. Ormai la scuola è chiamata ad insegnare tutto, ignorando che alcune tematiche sono già all’interno delle discipline. Per il resto la scuola non può essere considerata una sezione staccata di un’Autoscuola o un presidio per la pubblicità di prodotti bancari e assicurativi.
Altro termine abusato è quello di “Nazione”. Questo non è solo abusato, ma usato impropriamente, ignorando la nostra storia. Sarebbe sempre più corretto usare il termine Paese dato che l’Italia unita nasce da una miscellanea di Stati, popoli, tradizioni e lingue. E questo non finisce nel 1861, ne’ con l’Italia repubblicana, fondata sulle autonomie regionali e locali e neanche con la storia più recente. Anzi direi che una Nazione italiana non esiste e non esisterà mai. Esiste un Paese Italia, uno Stato italiano, plurale. Penso alla storia di città come Trieste che si conclude con una decisione della Cassazione a seguito del Memorandum di Londra del 1953 e della successiva legge Costituzionale del 1963 che chiude le rivendicazioni indipendentiste della città, assegnandola al Friuli Venezia Giulia, dove però esiste un popolo triestino che parla italiano, sloveno, friulano e tedesco.
Stesso dicasi per il Trentino dove si parla italiano, tedesco e ladino e di questi popoli si portano avanti le tradizioni. Ma potrei parlare della Sardegna, ove parte della popolazione rivendica la nazionalità sarda.
Quindi di quale nazione Italia si parla?
La scuola ha il compito di rappresentare la storia del paese tutta intera e di esplicitare i diversi significati di nazionalità e cittadinanza.
Si mettono assieme tematiche generali con questioni specifiche che nulla hanno a che fare con scelte pedagogiche e didattiche di competenza della scuola.
Sembra che gli insegnanti siano diventati uno strumento per far entrare nel mondo dei ragazzi questioni che riguardano il mondo degli adulti.
Si riprende una impostazione che piace a questo Governo, di tipo securitario ed economicistico.
Curioso poi il rimando alla “Cittadinanza digitale”, mentre si discute di divieti di uso smartphone fino a 14 anni. Forse la scuola dovrebbe avere il compito di insegnare l’uso proficuo della tecnologia e non di perseguirne e sanzionarne l’uso.
Traguardi per lo sviluppo delle competenze e obiettivi di apprendimento
C’è poi un aspetto che riguarda i traguardi e gli obiettivi per i vari ordini e gradi di scuola.
Mi hanno sempre inquietato le individuazioni di questi, già dalle vecchie Linee guida, per l’eccessiva difficoltà degli stessi, così come si evince dalle schede esplicative contenute nelle nuove Linee .
A titolo di esemplificazione, nella Scuola Primaria, il Traguardo per lo sviluppo delle competenze n.1, è:
“Conoscere i principi fondamentali della Costituzione e saperne individuare le implicazioni nella vita quotidiana e nelle relazioni con gli altri. Individuare i diritti e i doveri che interessano la vita quotidiana di tutti i cittadini, anche dei più piccoli.
Condividere regole comunemente accettate.
Sviluppare la consapevolezza dell’appartenenza ad una comunità locale, nazionale ed europea.”
Sembrano davvero traguardi elevati per bambini di 5a primaria, soprattutto se pensiamo che questi traguardi sono all’interno di una nuova disciplina sottoposta a valutazione.
E potremo continuare.
Spero che gli insegnanti vorranno leggere le nuove Linee guida, scegliendo di utilizzarle in modo non prescrittivo.
Spero che nei primi cicli gli insegnanti sappiano suddividersi il compito inerente queste tematiche (storia, scienze).
Spero che nelle scuole superiori tali insegnamenti siano lasciati agli insegnanti disciplinari e specificatamente agli insegnanti di discipline giuridiche ed economiche.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/linsegnamento-delleducazione-civica-alle-prese-con-le-nuove-linee-guida-2024-di-rosamaria-maggio/
by Redazione Scuola | 09/09/2024 10:38
A Guspini, suo paese natale, venerdì scorso è stato ricordato Francesco Cocco. L’iniziativa è stata presa dall’Ass. minatori, e questo già ci dice molto del legame che i lavoratori avevano con Francesco, che era anche iscritto all’Associazione. Francesco era un gramsciano convinto, uno studioso profondo del fondatore del partito comunista, e dunque era un intellettuale organico, si considerava parte della classe operaia in mezzo alla quale era nato e vissuto da ragazzo. E di questo legame hanno dato testimonianza i minatori presenti, i quali hanno ricordato come Francesco seguisse costantemente le loro vicende non solo quando fu consigliere regionale. E non è un caso se in un bell’articolo sugli studi di Gramsci al Dettori di Cagliari, Francesco dà rilievo alla visita scolastica di Nino a Montevecchio, il suo interesse per la condizione dei lavoratori, per le loro lotte. Gramsci conobbe gli operai in Sardegna, anche se poi fece quel che fece a contatto coi lavoratori di Torino.
Francesco invitava minatori di Guspini a casa sua per parlare con loro della miniera, della sua crisi e nel 2010 a Montevecchio tenne una relazione magistrale sulla storia e le vicende del bacino, dando risalto alla combattività, alle battaglie in difesa della salute minata dalla silicosi. In scritti appassionati Francesco ha ricordato il medico Cesare Loi e il farmacista Pio Piras, socialisti di Guspini a cavallo dei due secoli, animatori della lotta per la salute in miniera, il primo fece una minuziosa relazione alla Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita in quegli anni. E Francesco quel documento prezioso lo ha ripescato e fatto conoscere in appendice a vari suoi scritti sulla condizione operaia a Montevecchio.
Francesco è stato anche il promotore della legge per la tutela e la valorizzazione dell’archeologia industriale. Ricordo, perchè, al seguito di Francesco, ne fui firmatario anch’io in Consiglio regionale, il tema era così nuovo da essere quasi irriso da molti consiglieri tant’è che la prima volta fu battuto in aula e solo nella legislatura successiva, all’inizio degli anni ‘90, fu ripresentato e approvato.
Questa sua intensa azione culturale in politica ha indotto i fondatori della Scuola di cultura politica di Cagliari a intestarla a Francesco Cocco; è stata un scelta naturale, unanime, senza discussione. Francesco, dopo il suo ritiro dalla politica partitica, ha continuato con l’ANPI, il CIDI e con i comitati a fare relazioni nelle scuole, si è battuto contro la legge statutaria di Soru, facendo valere la sua competenza costituzionale per riaffermare una visione democratica e partecipata delle istituzioni, è stato protagonista contro la schiforma costituzionale di Renzi, e il suo prestigio presso il popolo della sinistra ha contribuito a farci raggiungere in Sardegna la più alta percentuale dei NO in Italia.
Francesco ha scritto molto ma non ha pubblicato libri. Per questo la Scuola di cultura politica si è proposta di raccogliere i suoi preziosi scritti in un volume. E la proposta di Andrea Pubusa a Guspini ha raccolto l’adesione di Tore Cherchi, presidente dell’Ass. Berlinguer.
A Guspini si è poi ricordata la grande generosità di Francesco, che ha lasciato all’ERSU una somma consistente da devolvere in borse di studio a studenti meritevoli, il finanziamento per anni di una importante rivista culturale regionale e la costituzione di un’associazione d’impegno culturale e politico “Nuovo impegno”‘, sull’esempio di Ichnusa, la rivista di Antonio Pigliaru di cui fu allievo e collaboratore.
Anna Maria Pisano, la sua amata compagna, ha emozionato i presenti ricordando gli aspetti umani dell’uomo, confermando una unanime convinzione: chi ha conosciuto Francesco, non poteva non volergli bene.
Source URL: https://www.scuoladiculturapoliticafrancescococco.it/francesco-cocco-ricordato-a-guspini-proposta-la-raccolta-dei-suoi-scritti-di-andrea-pubusa/
by Redazione Scuola | 05/09/2024 11:53
Quando si parla di ecologia e sostenibilità ambientale, economica e sociale, tra gli altri, giova ricordare le grandi scuole di pensiero di Herman Daly, Georgescu Roengen, John Maynard Keynes e Barry Commoner che hanno contribuito a creare le basi dei ragionamenti e delle azioni attuali.
Quanto segue va letto come Appunti dal sottosuolo (la mutuata citazione è evidente) grazie al tempo dedicato alle letture di quei maestri.
No al nucleare da fissione
Cinquanta anni fa nei corsi di laurea di Fisica e di Ingegneria nucleare molti docenti erano sicuri che nel giro di 50 anni avremmo avuto la fusione nucleare e i giovani studenti di allora erano affascinati da questa prospettiva.
In effetti, quelli erano gli anni in cui la scuola italiana di Fisica nucleare era forte e stimata nel mondo anche grazie al lascito scientifico e tecnologico dei famosi “ragazzi di Via Panisperna” guidati a suo tempo da Enrico Fermi, una scuola e una ricerca che, complice soprattutto il referendum del 1987 che portò in Italia alla chiusura delle quattro centrali italiane, sono via via decadute come è avvenuto in parallelo nel mondo a causa dei costi di realizzazione delle centrali nucleari diventati via via insostenibili.
Ad oggi sul nucleare si fanno gli stessi auspici di allora: tra 50 anni avremo sicuramente le centrali a fusione!
Di 50 anni in 50 anni sono intanto diventato abbastanza vecchio da rientrare nella categoria dei “fragili” … e in quanto tale sono diventato meno tollerante sulle affermazioni parascientifiche basate più sui desideri che sulla realtà.
Infatti oggi si propone, con tanto di grancassa e battimani, un nucleare di cosiddetta IV generazione che non esiste nemmeno all’orizzonte: c’è un solo prototipo in Cina e un altro è in via di progettazione in Russia.
Siccome il principio è sempre lo stesso, ovvero la fissione nucleare, dal mio punto di vista, quando la si propone come novità, si tratta di aria fritta. Le realizzabilità a tempi brevi di tali centrali è tutta da dimostrare dal punto di vista della fattibilità tecnico-economica e rimane irrisolto il problema delle scorie del processo industriale.
Nella mia esperienza professionale e imprenditoriale ho avuto modo di visitare una centrale nucleare in Svizzera e i discorsi della società proprietaria sul pericolo o meno della centrale riguardavano il problema irrisolto delle scorie: anche in quel paese ci sono solo depositi temporanei e nessuna possibilità di costruzione di un deposito definitivo! E la Sogin … mi sa che sta ancora pensando alla Sardegna.
Avevamo già avuto Chernobyl nel 1986 e poi è venuto il disastro di Fukushima nel 2011, ma sembra che non abbiamo ancora imparato nulla. Infatti, dal gennaio 2023 nella tassonomia dell’Unione Europea il nucleare e il gas sono sullo stesso piano delle energie rinnovabili.
Hai voglia di parlare di transizione ecologica ed energetica!
Come esseri umani impariamo veramente poco dai nostri errori e sembra esistere una insopprimibile coazione a ripeterli anche in peggio, quantitativamente e qualitativamente parlando, se posso usare quest’ultimo avverbio.
Transizione ecologica
Quando parliamo di transizione ecologica, da un punto di vista ambientale si cerca di fare un ragionamento che ha come riferimento l’intera biosfera, non una singola regione o l’uscio e il giardino delle case di ciascuno di noi.
La biosfera riguarda tutto lo spazio costituito da suolo, acqua e aria dove sono presenti gli esseri viventi, tutti, nessuno escluso, con la consapevolezza che l’equilibrio tra questi è stato alterato e compromesso dagli esseri umani soprattutto negli ultimi tre secoli.
Sono questi i ragionamenti di base che hanno condotto nel quadro delle Nazioni Unite alla Convenzione di Rio de Janeiro nel giugno del 1992 e poi alla COP del 1997, quando a Kyoto ci fu il primo protocollo internazionale tra i vari paesi del mondo industrializzato. In quel consesso vennero assunti una serie di impegni (purtroppo non cogenti e senza poteri sanzionatori da parte di nessuno) volti alla riduzione dei gas ad effetto serra, responsabili del riscaldamento del pianeta. Come cronaca, voglio qui osservare che gli USA hanno firmato ma non hanno mai ratificato l’accordo, il Canada è stato il primo paese ad uscirne e chi ha avuto un ruolo fondamentale nella sua entrata in vigore è stata la Russia!
Da allora ogni anno c’è stata una COP. Qui ricordo come particolarmente importante e vicina a noi la COP 21 del 2015 svoltasi a Parigi, da cui è scaturito l’ulteriore accordo su un piano di azione per limitare il riscaldamento significativamente al di sotto dei +2°C (si voleva un +1,5°C), e ricordo anche le posizioni di Trump al riguardo assunte nel 2020, su cui invito a leggere le cronache di quel periodo.
Parlare di transizione ecologica vuol dire fare un ragionamento tecnico, scientifico, giuridico, economico e politico su base planetaria, almeno questo è il compito intanto degli Stati, degli organismi internazionali e degli ambientalisti ed ecologisti che da diverse competenze professionali si occupano di questo punto di vista globale.
Parlare di transizione ecologica significa affrontare globalmente tutti i settori produttivi in cui le società umane si sono organizzate nel tempo, a qualunque latitudine del pianeta.
Il dato di base è il riconoscimento che all’inizio della civilizzazione del pianeta vi erano circa 275 ppm (parti per milione) di CO2 nell’atmosfera, si riconosce come punto di possibile equilibrio il valore di 350 ppm, ma oggi siamo purtroppo a 420 ppm che, per alcuni ecologisti, è oramai un dato impossibile da riportare indietro.
Al riguardo, qui ricordo la proposta del Prof. Stefano Mancuso di piantare 1000 miliardi di alberi sulla terra, considerata come una risposta del tutto naturale per la cattura di una parte significativa della CO2 presente in atmosfera.
Le posizioni di molti scienziati sul che fare per contenere l’effetto dei cambiamenti climatici ormai evidenti a tutti, nonostante i negazionisti abbondino anche a casa nostra, sono variegate: dalla cattura e stoccaggio in siti di idrocarburi esauriti (vedi ENI e Snam in Italia), così come allo sfruttamento delle miniere dismesse in Sardegna e non solo (non si parla di società straniere, ma di sardi, che lo hanno proposto).
Al riguardo ho una posizione molto radicale tanto è vero che ritengo che la CO2 non vada proprio generata e questo implica proporre un altro modello di sviluppo, tema questo che esula da questi appunti sotterranei.
Per il colmo e la beffa dell’ambientalismo, l’ultima COP si è svolta niente di meno che a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, 7° produttore al mondo di petrolio e gas, dove nell’ultimo giorno utile si è preso atto che l’impegno di contenere l’innalzamento della temperatura entro +1,5°C è oramai quasi impossibile da raggiungere.
Eppure non bisogna demordere ed è sempre più necessaria una attività e mobilitazione continua delle cittadinanze per supportare le azioni positive degli Stati, quando ci sono, orientarne e condizionarne le posizioni e puntare comunque, almeno a tendere, al ristabilimento del valore di di equilibrio di 350 ppm di CO2.
Transizione energetica
La transizione energetica fa parte della transizione ecologica. Se vogliamo usare un riferimento matematico diciamo che può essere vista con un piccolo insieme contenuto nel più vasto insieme della transizione ecologica.
Siccome è un “insieme” più piccolo, si fa per dire, dovrebbe essere relativamente più semplice intervenire con programmi mirati ed organizzati territorialmente a livello comunale, provinciale, regionale e statale.
E qui entrano in gioco i piani energetici e ambientali nazionali e regionali, e a cascata quelli provinciali e comunali.
Anche la cittadinanza in questo campo può avere un ruolo molto attivo e propositivo.
Gli strumenti non mancano di certo, però le attività vanno fatte, non ci si può limitare a parlarne, o peggio al lamento continuo e a dire solo NO.
Bisognerebbe diventare parte attiva costruendo dei SI per l’uso delle energie rinnovabili, diventandone proponenti, progettisti e realizzatori!
Che fare a casa nostra
Se partiamo dai dati relativi alle emissioni di CO2 in atmosfera, la presenza delle due centrali a carbone fa della Sardegna una delle regioni più inquinanti dell’Europa. Per questo se ne prevede la chiusura nel 2025, tra un anno appena.
Come sostituire l’energia prodotta dalle due centrali a carbone che saranno dismesse tra pochi anni?
Con nuove centrali a gas, con centrali nucleari di cosiddetta IV generazione?
Preferisco di gran lunga lo sviluppo delle rinnovabili perché si tratta di tecnologie disponibili, convenienti e mature, con la popolazione sarda direttamente protagonista della transizione.
In poche parole, basta lamentarsi delle multinazionali o gruppi nazionali del settore che vorrebbero realizzare i propri impianti in Sardegna. Loro fanno i loro interessi e noi vogliamo imparare una buona volta, come popolo, a fare i nostri interessi?
E tanto più ritengo ridicolo e assurdo ritenere Alessandra Todde responsabile del famigerato decreto Draghi perché quello era un governo in cui erano presenti tutti i partiti, con l’unica esclusione dei nipoti e pronipoti del ventennio fascista, che non intendo prendere in nessuna considerazione in questo contesto.
Per l’autogoverno dell’energia
Per lo sviluppo delle rinnovabili in Sardegna e non solo
Nell’ambito della transizione ecologica una Sardegna totalmente verde è possibile.
Il Prof. Fabrizio Pilo che insegna sistemi energetici all’Università di Cagliari ed è riconosciuto come uno dei maggiori esperti in campo nazionale, in un recente convegno organizzato Cagliari dalla Scuola di cultura politica Francesco Cocco dal titolo “Sardegna, per un nuovo Statuto speciale. Idee, progetti e possibili processi di autogoverno”, ha osservato che per sostenere con produzione locale rinnovabile il pieno raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050 è necessario complessivamente avere una capacità produttiva di 10 GW .
In queste condizioni il taglio nell’uso dei combustibili fossili sarebbe pari al 25% nel 2030 e al 79% al 2050 (ipotizzando uso di idrogeno ed ammoniaca) con il conseguente abbattimento delle emissioni di anidride carbonica.
Ci si riferisce all’intero bisogno energetico per una Sardegna verde, non solo al bisogno di energia elettrica.
Il territorio dedicato alla produzione di energia per raggiungere questi risultati risulta pari allo 0,3%-1% della superficie della Sardegna. Una quantità non insignificante, ma che può largamente insistere su coperture esistenti, aree degradate e territori non destinati ad uso agricolo e, aggiungo convintamente, in parte dei 35.000 ettari che continuano a costituire le servitù militari presenti in Sardegna.
“La trasformazione della Sardegna in un’isola verde non richiede la cannibalizzazione del territorio che, insieme a sole e vento, costituisce una delle principali risorse economiche della regione. Al contrario una tale prospettiva di sviluppo porterebbe notevoli incrementi della forza lavoro impiegata (si pensano saldi netti di decine di migliaia di posizioni di lavoro di alta qualità come sono tipicamente i green job), migliore qualità della vita e perfino una riduzione dei costi per la spesa sanitaria (Pilo)”.
Se pensiamo ad una Sardegna “green” siamo già all’interno della vasta tematica della transizione ecologica e questo ci permetterà di mettere mano anche agli altri processi produttivi che riguardano l’industria, l’agricoltura, l’allevamento, la mobilità e i servizi di vario genere di cui disponiamo.
Se teniamo conto che di tutti gli impianti di energia rinnovabile presenti nell’isola, se si eccettua l’impianto eolico di Sardaeolica (gruppo Saras) che per diversi osservatori non rientra tra le aziende sarde, non vi sono realizzazioni da parte di imprese sarde nei cosiddetti impianti di larga taglia. Bisogna prendere atto che come sardi non abbiamo fatto un utilizzo adeguato dei meccanismi di incentivazione che abbiamo avuto fino al 2013. Si trattava di incentivi molto generosi che a fronte di un costo del denaro pari al 5% gli impianti eolici e fotovoltaici costruiti garantivano un tasso di ritorno di circa il 12-15%. In termini imprenditoriali una vera e propria manna dal cielo perché l’investimento veniva ammortizzato in un massimo di 7/10 anni a seconda della tipologia di impianto!
Per questo motivo c’è stata la seconda calata dei Lanzichenecchi in Italia che ha avuto termine quando sono finiti i meccanismi statali di incentivazione.
Ora per la cittadinanza sarda si rischia lo stesso risultato con le comunità energetiche e gli altri impianti di autoproduzione che presentano valori analoghi in termini di costi-benefici, oltre a quelli ambientali su cui non ritorno.
Sulla Società energetica sarda
Una soluzione al problema energetico va trovata tenendo conto che non si possono proporre soluzioni di stampo “autarchico” giacché viviamo in un mercato liberalizzato.
Al riguardo, una proposta di società o agenzia elettrica sarda dovrebbe vedere la luce a seguito di una valutazione attenta delle condizioni del mercato in cui dovrebbe operare per far sì che possa avere un futuro e non si configuri come un inutile “poltronificio”.
Una società che, dal mio punto di vista, dovrà produrre energia, dare altri servizi e dispiegare tutte le attività previste dallo Statuto e dalle condizioni di mercato.
Vedo la costituzione di una società elettrica sarda, già prevista nel programma del centrosinistra guidato da Alessandra Todde, come un primo passo verso la possibilità di attuare un processo di autogoverno dell’energia nella nostra isola, purché si prendano i necessari accorgimenti e decisioni strategiche e operative.
Più efficacemente e correttamente, per come la vedo io, dovrebbe essere chiamata “Società energetica sarda”, non solo “elettrica” perché non di sola energia elettrica dovrebbe occuparsi.
Una Società energetica sarda, allora, deve essere pensata e organizzata con il concorso del pubblico e del privato, con una compagine azionaria di tipo consortile e con una forte presenza di un “azionariato popolare diffuso” a cui possano partecipare i cittadini sardi.
Per esempio, e lo dico soprattutto per esperienza personale, sarebbe auspicabile un modello di “multiutility” perché avrebbe più possibilità di successo in quanto operativa su più segmenti di mercato come l’energia elettrica, l’acqua, il gas, il ciclo dei rifiuti e altro, alla stregua di altre società analoghe operative nel territorio nazionale (A2A, ACEA, IREN, …).
E soprattutto, ancorché non richiesto, mi permetto di dare un consiglio alla presidente Todde: che trovi in Sardegna le competenze tecnico-professionali adeguate alla realizzazione, sviluppo e gestione di tale società nell’attuale mercato dell’energia. Le garantisco che tali competenze ci sono e sono più che concorrenziali rispetto ai migliori gruppi nazionali!
E ci risparmi, per carità, l’arrivo di rombi e rumori molesti di vario genere da Roma e dintorni giacché per noi di rombi continua ad essercene solo uno, quello conosciuto in tutta l’isola come Rombo di tuono.
Non solo, posto che il principio dell’autoproduzione per i propri bisogni è fondamentale, guai a rinchiudersi solo in una prospettiva limitata al nostro territorio. L’autoproduzione vale come principio strategico rispetto ai nostri bisogni, ma non basta. Da un punto di vista produttivo e dell’attività di trading dell’energia, una società energetica come quella appena delineata non può essere finalizzata ad una visione autarchica, che sarebbe inutile e controproducente. Bisogna invece abbracciare una prospettiva di sviluppo in cui si produca energia per noi e per gli altri, fermando certamente la speculazione a fini privati, ma ponendoci contemporaneamente in una sana ottica di soddisfacimento dei nostri bisogni e vendita ed esportazione dell’energia in eccesso.
Ci sono tutte le condizioni perché in Sardegna si intraprenda tale strada.
Una ulteriore precisazione che ritengo necessaria
L’autogoverno si realizza all’interno del quadro giuridico costituzionale vigente, in altre parole si tratta di una messa a punto ed estensione della nostra autonomia speciale, per cui non va visto come una pratica o teoria separatista rispetto allo Stato o una rivoluzione in sé.
Al riguardo, per fare un esempio, forse che il diritto di legnatico previsto negli usi civici dei tempi andati non potrebbe essere oggi sostituito, con le stesse finalità, per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile da destinare alle singole comunità locali, magari nella prospettiva della realizzazione di una unica comunità energetica regionale, costituita da una rete di comunità energetiche realizzate in ciascuno dei 377 Comuni della Sardegna?
E forse che non possono essere realizzate direttamente dai cittadini comunità energetiche su scala condominiale, strada, quartiere e così via da vedere come un unico sistema che fa capo all’intera regione?
Chi osteggia le comunità energetiche rinnovabili favorisce il guadagno degli attuali operatori del mercato elettrico, operatori che vedrebbero diminuire sensibilmente le loro quote di mercato con la diffusione di tali modalità organizzative della produzione.
Rinnovabili e proposte in campo: sono componibili tra loro
Da un lato c’è la Giunta che è impegnata nell’individuazione delle aree idonee e che giustamente ha coinvolto tutti i Comuni della Sardegna, giacchè il governo del Territorio e l’Urbanistica sono specifiche competenze locali che meglio sono conosciute dall’istituzione più vicina alla cittadinanza. Così come ha fatto bene ad intervenire tempestivamente sul recente decreto governativo che mira a centralizzare l’estrazione delle terre rare attaccando le nostre prerogative costituzionali sulle cave e miniere.
Sulle rinnovabili ci sono poi la proposta Soru (che l’ha messa a disposizione di tutti i gruppi politici presenti in Consiglio regionale e quella portata avanti dal partito del gruppo Unione Sarda (si, è un partito politico ancorché non formalizzato e come tale va considerato), nata come legge di iniziativa popolare, che vede anche la convergenza di tanti comitati del NO.
Ho letto attentamente le due proposte. Ritengo quella di Soru ben scritta da un punto di vista giuridico. Ma solo la giurisprudenza non basta perché anche in quel testo non si è tenuto conto che proprio sull’energia alcune delle competenze specifiche di tipo primario previste nello statuto di autonomia speciale sono state superate già a partire dalla legge n. 10 del 1991 relativo all’implementazione del piano energetico nazionale e successive nuove norme di stampo comunitario e nazionale.
In effetti, da quell’anno diverse competenze sono state riassorbite dallo Stato nel silenzio e nell’assenza della nostra Regione.
D’altro canto, la proposta del nuovo partito politico di fatto rappresentato dall’imprenditore-editore Sergio Zuncheddu e dal suo giornalista di punta Mauro Pili presenta diversi lati deboli, ma ha il pregio di porre con forza la necessità dello sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili. L’aspetto positivo è che dà forza alla contestazione e ribellione che viene espressa con forza dai Comitati, però nel contempo il quotidiano cagliaritano si presenta di fatto come “capo popolo” dei tanti comitati, fagocitandone le aspirazioni e facendoli alla fine apparire come contrari alle energie rinnovabili in assoluto. Questo non va bene e va stigmatizzato con forza.
Comunque, da un lato si dice che no, non si è contrari all’energia rinnovabile, ma che lo si voglia o no, per come viene condotta la campagna dell’Unione Sarda quel che è evidente è che si tratta di un’opposizione di fatto alle rinnovabili e a questo punto il gasdotto che dovrebbe attraversare la Sardegna si avvicina velocemente e magari anche le nuove centrali che andranno a sostituire le centrali a carbone: si vuole il gas o il “nuovo” nucleare?
Lo ripeto, sono sicuro che i Comitati sono contrarissimi a questa prospettiva, ma dubito che il partito dell’Unione Sarda sia dello stesso avviso. Attendo più che una smentita al riguardo, che lascia il tempo che trova, una campagna di informazione altrettanto forte e risoluta contro questa prospettiva. Almeno tanto forte tanto quanto l’obiettivo palese di incanalare la protesta popolare contro la Giunta Todde eletta sei mesi fa auspicandone una caduta anzitempo e non alla fine della legislatura nel 2029: purtroppo questa è la politica manifesta dell’Unione sarda.
E una proposta di legge, ancorchè ben scritta come testo (vale per entrambe), non può essere legata alla competenza esclusiva della Regione sull’Urbanistica perché dal mio punto di vista questo è un elemento di debolezza strutturale. Infatti, si dimentica che la ricentralizzazione delle competenze da parte dello Stato in questi ultimi 30 anni ha visto la compressione del diritto regionale, sia delle regioni a statuto ordinario che di quelle a statuto speciale come la nostra, a vantaggio dello Stato.
Vantaggio sempre ribadito dalla Corte costituzionale che nelle varie impugnazioni di leggi regionali da parte dei governi che si sono succeduti nel tempo ha sempre declinato e interpretato il principio di “leale collaborazione” con il principio di fatto della “Supremazia dello Stato”, contraddicendo anche quella parte della Costituzione ispirata alla piena realizzazione e sviluppo delle comunità locali.
Insomma, il tema è veramente complesso e risulta ora più che mai necessaria l’unità di tutti per vincere questa battaglia se non si vuole compromettere lo sviluppo e il futuro della Sardegna: Presidenza e Giunta regionale, forze politiche, sindacati, società civile, corpi intermedi e comitati territoriali.
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by Redazione Scuola | 23/07/2024 17:54
Oggi, sentendosi chiamato in causa da un post su FB di Alessandra Todde, il proprietario del Gruppo editoriale interviene nuovamente di persona per difendere la linea seguita dai suoi organi di informazione.
È un fatto anomalo, ma è un’anomalia cui siamo abituati fin dalle origini del berlusconismo.
Comunque, sulla correttezza deontologica e professionale di questo fatto, lascio a chi si occupa del mondo dell’informazione ogni opportuna valutazione.
Meglio tutto sommato che sia chiaro chi parla e per conto di chi, specie se si tratta di interessi politici e imprenditoriali.
Che la campagna di Sergio Zuncheddu abbia a che fare in forma complessa con questi interessi era già chiaro dal suo precedente intervento-manifesto, sul quale ho già avuto modo di soffermarmi (https://www.facebook.com/share/p/ecixVQxef6fWBYAU/?mibextid=K35XfP).
Il fatto resta tuttavia che le contestazioni sono pretestuose e informano assai meno correttamente di quanto dovrebbero.
Nella foto della pagina odierna che pubblico ho evidenziato, cerchiandoli a penna, quattro punti critici.
1) Zuncheddu ricorda la nostra legge salvacoste del 2004, sulla cui matrice anch’io mi sono soffermato altre volte. Cita, un po’ cannando, un po’ voce straziata di immobiliarista dal sen fuggita, l’articolo 4, che riguardava il blocco delle lottizzazioni (gli brucia ancora, quella norma con cui “molti diritti soggettivi furono lesi e calpestati”), però la norma pertinente è in realtà il comma 3 dell’articolo 8, che recitava: “3. Fino all’approvazione del Piano Paesaggistico Regionale, nell’intero territorio regionale, e’ fatto divieto di realizzare impianti di produzione di energia da fonte eolica, salvo quelli precedentemente autorizzati, per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge i relativi lavori abbiano avuto inizio e realizzato una modificazione irreversibile dello stato dei luoghi. Per gli impianti precedentemente autorizzati in difetto di valutazione di impatto ambientale, la realizzazione o la prosecuzione dei lavori, ancorche’ avviati alla data di entrata in vigore della
presente legge e che, comunque, non abbiano ancora realizzato una modificazione irreversibile dello stato dei luoghi, e’ subordinata alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui all’Art. 31 della legge regionale n. 1 del 1999 e successive modifiche ed integrazioni.”. Io ricordo il motivo di quella disposizione (e della nostra precedente deliberazione dell’agosto 2004) e ricordo perfettamente che il Presidente della Giunta della precedente legislatura, On. Mauro Pili e gli orientamenti programmatici, pianificatori e amministrativi delle Giunte berlusconiane sarde di allora erano stati motivo di una situazione analoga a quella attuale (https://www.facebook.com/share/6N9fDLRLMQFZqtPV/?mibextid=WC7FNe).
2) Zuncheddu si chiede perchè la formula “mutamento consistente e irreversibile dello stato dei luoghi” non sia stata riprodotta nella recente legge regionale n. 5 approvata dal Consiglio nello scorso luglio. Io una risposta ce l’avrei. La Giunta e la maggioranza consigliare hanno condiviso una forte pressione esterna di tipo massimalista, utilizzando all’articolo 3 comma 1 una formula che è sembrata loro garantire il massimo della tutela: “per un periodo non superiore a diciotto mesi dall’entrata in vigore della presente legge, i seguenti ambiti territoriali sono sottoposti a misure di salvaguardia comportanti il divieto di realizzare nuovi impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili:…”. Certamente lo hanno fatto nella più completa inconsapevolezza della sua incongruità e questo spiega anche perché la Presidente più volte si sia improvvisata anche lei in affermazioni incongrue. La verità è probabilmente venuta fuori via via quando anche gli uffici debbono essersi accorti che per giurisprudenza costante i lavori autorizzati che abbiano già comportato una trasformazione irreversibile dello stato dei luoghi non possono essere più oggetto di sospensione nè di revoca delle autorizzazioni salvo che, emergendo un concreto e legittimo interesse pubblico prevalente, si debba inibire la prosecuzione dell’opera, ovviamente dietro congruo risarcimento da parte pubblica di tutti i conseguenti danni economici (danno emergente e lucro cessante). Ma se il concreto e preminente interesse pubblico legittimamente sopravvenuto non c’è, ogni atto inibitorio è persino penalmente rilevante. Fino a qualche settimana fa, almeno per abuso d’ufficio. Oggi sotto qualche altra residua fattispecie. Perchè? Perchè qui pesa come un macigno l’articolo 20 del dlgs 199/2021 con tutti i suoi annessi e connessi.
3. Zuncheddu evoca la possibilità con legge regionale di disporre in materia analogamente a come avrebbe di recente fatto lo Stato disponendo la “nullità di tutti i progetti già approvati e ricadenti nell’areale relativo all’Einstein Telescope”. Questa è una cazzata. La Regione non può fare quello che può fare solo il Parlamento. E anche il Parlamento solo a determinate condizioni.
4. Torna la solfa dell’applicazione della competenza regionale primaria in materia urbanistica di cui all’articolo 3, primo comma, lettera f), dello Statuto speciale. In termini giuridici questa argomentazione è i-n-e-s-i-s-t-e-n-t-e: caspita, sembra talvolta di parlare ai sordi. Ma il peggio è che stavolta la si invoca non per realizzare la previsione del dlgs n.199/2021, che rimette alle Regioni l’identificazione con legge delle aree idonee, bensì per tutelare le aree già dichiarate “non idonee secondo la mappa dettagliata in possesso della Regione pubblicata da questo giornale e che farebbe salvo il 98,8 per cento del territorio già oggetto di vincoli vari”. Ci vuole una certa faccia tosta, diciamocela tutta, a scrivere queste cose. Intanto la legge regionale, sia pure nella sua formulazione piuttosto pericolosamente estesa di cui abbiamo dato conto, sottopone alle misure provvisorie di salvaguardia un elenco di categorie di aree sicuramente tale da esaudire questa necessità. Ma il punto è che il dlgs n. 199/2021 chiede ben altro adempimento, ossia quello di individuare le aree idonee e che ogni tentativo di eludere quell’obbligo è già stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale.
Insomma, si ciurla strumentalmente nel manico per creare un polverone e continuare a confondere l’opinione pubblica.
E questa non è affatto informazione, qui sta il problema centrale.
Infine, io non sono un esperto di sociologia della comunicazione.
Istituzionalmente trovo deficitaria e difettosa quella della Presidente Todde, l’ho già scritto.
Ma se devo guardare al numero di likes sul profilo FB di Alessandra Todde e di Desirè Manca, ho l’impressione che in termini di consenso battano ampiamente un giornale che ogni giorno ricopre pagine d’inchiostro con un bel niente.
Tocca farsene una ragione.
Così vanno le cose, a prescindere”.
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