Una finestra sulla Russia. Racconto di un viaggio a Mosca per seguire la rielezione di Putin (intervista di Roberto Mirasola a Matteo Meloni)

by Redazione Scuola | 27/03/2024 17:53

Intervista di Roberto Mirasola a Matteo Meloni, giornalista freelance specializzato in ambito geopolitico, già addetto stampa al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Matteo, cosa ti ha spinto ad andare a Mosca per le elezioni Presidenziali?

Sicuramente un forte spirito critico di comprensione della realtà. O, per lo meno, una piccola parte della realtà che avrei carpito in questo breve viaggio, finalizzato all’analisi dello sviluppo di queste elezioni dall’esito che, evidentemente, era scontato. Sapevamo benissimo cosa sarebbe successo, ma non avremmo potuto conoscere in anticipo i numeri, né sapere quali sarebbero state le impressioni che avremmo avuto andando sul campo.

Tutte le diplomazie europee sconsigliano di andare in Russia, tu invece che clima hai trovato? Ti sei mai sentito in pericolo?

È necessario sottolineare che ho visto solo uno spaccato di Russia, un pezzo molto piccolo dello svolgimento delle elezioni nella capitale, quindi, non posso parlare in termini generali del Paese. Posso solo affermare che Mosca non dà l’idea di una nazione in guerra, la città svolge le proprie attività regolarmente: sfatiamo il mito dei negozi vuoti e privi di beni di prima necessità. Fa una certa impressione notare pochi riferimenti a quanto sta accadendo in Ucraina, mi aspettavo di trovare molta più propaganda anche a livello di cartellonistica.

Come si è vissuta la giornata dello spoglio delle elezioni Presidenziali?

Molta tranquillità, lo spoglio è stato svolto rapidamente, nell’arco di poche ore già si sapevano alcuni dei dati che poi abbiamo ricevuto. Come analisti, in termini oggettivi, prendiamo, questi dati per quello che sono, ovvero una stragrande maggioranza di voti e una grande affluenza al voto. Tuttavia, secondo Novaya Gazeta, sono avvenute falsificazioni importanti ma non tanto da ribaltare l’impressione che noi, in Occidente, fatichiamo ad accettare, ovvero che Putin ha davvero una larga maggioranza dei russi dalla sua parte. Per il quotidiano russo, infatti, i dati reali darebbero al Presidente il 57% dei consensi, un dato comunque significato a prescindere da come si sono svolte le elezioni.

Queste alte percentuali denotano una sempre maggiore autorevolezza da parte di Putin all’interno della Russia oppure tu credi esista all’interno di questo grande Paese un movimento che può sbocciare e far configurare anche scenari differenti?

Dubito che le percentuali ufficiali siano reali in questa entità. Ciò non di meno, dopo aver intervistato diverse persone fuori dai seggi, ho riscontrato plausibile che la maggioranza dei russi sia effettivamente dalla parte di Putin. Quello che è avvenuto con l’invasione in Ucraina e le conseguenti sanzioni subite ha portato le persone a stringersi sempre più verso la forte figura del Presidente anche perché, non essendo mai stata la Russia un Paese democratico, il sentimento di contrasto contro le autorità non è certamente largamente diffuso.

Possiamo pertanto affermare che la democrazia non si può improvvisare, che la Russia proprio per la sua storia non ha mai conosciuto la democrazia e che lo stesso discorso vale anche per l’Ucraina? Non è forse mera utopia l’idea di esportare la democrazia non solo con le armi ma anche imponendola dall’oggi per il domani?

Non solo è utopico, ma è sbagliato anche in termini pratici. L’abbiamo visto in tante occasioni, in primis l’illegalissima invasione statunitense dell’Iraq con George W. Bush. Secondo numerosi analisti ed esperti di diritto internazionale, ci sarebbero i presupposti per un’incarcerazione dell’ex Presidente Usa, così come avvenuto per numerosi altri capi di Stato africani o leader balcanici. Questo va detto perché altre realtà hanno subito la giurisdizione di tribunali internazionali con la conseguente condanna e incarcerazione dei loro Presidenti per crimini di guerra o contro l’umanità. Le nazioni africane, ad esempio, lamentano da tempo la disuguaglianza di trattamento: nessun leader occidentale è mai stato accusato o incriminato di nulla, e sul punto hanno pienamente ragione.

In Europa siamo abituati ad avere dei sospetti per le elezioni in Russia mentre non abbiamo niente da ridire su altrettante elezioni contestabili in altri Paesi, ad esempio l’Azerbaijan

Prendendo in considerazione le valutazioni di Freedom House, uno dei principali organi per l’analisi dei processi democratici nei vari Paesi, considerato che in Europa tendenzialmente tutti gli Stati dell’UE sono democratici, l’Azerbaijan ha 1/100 e stranamente risulta poi essere anche uno dei principali alleati di Bruxelles.

Azerbaijan che, non dimentichiamo, è in guerra con l’Armenia

Esattamente! L’Azerbaijan recentemente ha occupato del tutto la ragione chiamata Nagorno Karabakh dove storicamente è presente una comunità armena millenaria che è stata cacciata via. C’è da dire che da cittadini dell’Ue, da pacifisti che pensavamo di spingere per un dialogo tra i popoli con una valutazione coerente tra quello che dovevano essere i rapporti tra Bruxelles e gli altri Paesi, ci ritroviamo invece con governanti che praticano i famosi doppi standard. Se una nazione, in un dato momento storico, non ci va bene, a prescindere dal grado di democraticità, chiudiamo i rapporti; se invece ci fa comodo li estendiamo e il caso dell’Azerbaijan è eloquente in senso negativo. Charles Michel, ad esempio, così come il Ministro della Difesa Guido Crosetto, si è congratulato con il Presidente azero İlham Aliyev per la sua alquanto imbarazzante vittoria, altrettanto vergognosa in cifre bulgare. Ciò per la Russia non è invece accaduto.

Quando ci sono le elezioni Presidenziali in Russia si tende ad evidenziare la scarsa democraticità delle stesse, lo stesso Charles Michel dichiara che, “se vogliamo la pace dobbiamo preparare la guerra”; tu pensi sia possibile in un prossimo futuro trovarci la Russia ai confini con l’Ue?

Penso che gli scenari siano da tempo complicati, da entrambi i lati. Parlando del conflitto in Ucraina, non possiamo partire dall’invasione della Russia del 24 febbraio 2022 perché sarebbe come parlare della situazione israelo-palestinese limitandoci a raccontare ciò che è accaduto dal 7 ottobre 2023 in poi. E’ necessario un serio sforzo analitico della realtà e ricordarsi che in Ucraina esiste un territorio chiamato Donbass nel quale è presente una minoranza russofona che avrebbe dovuto ricevere le medesime tutele di qualsiasi altro cittadino ucraino. Ciò in realtà non è avvenuto: l’Ucraina, dimenticandosi del fatto che quella comunità era in realtà all’interno dei propri confini, nel corso degli anni ha messo in atto una guerriglia verso quei territori che, per gioco forza, dal canto suo, la Russia ha voluto in qualche modo difendere. È però chiaro che, una volta che si è occupato in quel modo il Donbass parlando di liberazione, andando oltre quel territorio qualcosa chiaramente stona.

Cosa poteva e cosa doveva fare l’Europa dagli accordi di Minsk al 2022 per evitare che si arrivasse escalation del febbraio 2022

C’è da dire che gli accordi di Minsk son sempre stati svolti sotto il cappello dell’OCSE, organizzazione senza personalità giuridica. Tutto ciò che può essere deciso all’interno di quell’organizzazione non è vincolante sino in fondo se non dal punto di vista politico. Gli accordi falliti di Minsk sono stati un cuscinetto per provare a trovare una soluzione fra le potenze che hanno partecipato alle trattative. Con l’uscita di scena della Cancelliera tedesca Angela Merkel, che aveva rapporti stretti e diretti con Putin e che in qualche modo tutelava gli interessi europei, le relazioni est-ovest sono del tutto collassate.

Forse è stata lungimirante perché come leader europea ha sempre tenuto aperto un dialogo con la Russia

Io credo che come democrazie dovremmo decidere cosa vogliamo fare da grandi, nel senso che se vogliamo essere sino in fondo responsabili e seguire la linea di avere relazioni solo nell’ambito democratico, ok, allora togliamo tutti i rapporti con l’Arabia Saudita, con il Qatar, con l’Egitto responsabile della morte di Giulio Regeni e della carcerazione di Patrick Zaki. Se vogliamo essere pragmatici e sviluppare quella Real Politik che Angela Merkel ha sempre portato avanti, ovvero l’idea che con gli accordi economici si potesse poi arrivare a una democrazia — cosa che poi è fallita su tutti i fronti — dobbiamo assumerci un altro tipo di responsabilità.

Sull’attentato a Mosca rivendicato dall’Isis, Putin sostiene che gli attentatori tagiki nello scappare si dirigevano verso l’Ucraina. A parer tuo è un puntar il dito verso l’Ucraina senza avere le prove oppure c’è qualcosa di vero?

Bisogna verificare tutte le ipotesi, ma è anche vero in Ucraina son da tempo presenti numerosi combattenti del mondo del jihad che combattono nelle file ucraine contro i russi, proprio perché nel Caucaso del Nord c’è una situazione complicata per il governo moscovita. Per questo è plausibile che in Ucraina vi siano soggetti che, pur di combattere la Russia, entrano nel territorio ucraino e combattono insieme all’esercito di Kiev. Un ulteriore motivo di preoccupazione l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue: lo stesso Zelensky aveva promesso di consegnare la cittadinanza a tutti coloro i quali avessero combattuto tra le fila ucraine. Tra questi, dunque, anche i combattenti del jihad. Ciò significa che costoro avrebbero un domani la cittadinanza ucraina e, consequenzialmente, potrebbero andare in giro per l’Europa a commettere crimini. Al riguardo, bisognerebbe riconoscere che l’attentato a Mosca ci ricorda che la Russia sta combattendo il terrorismo islamico dalla nostra stessa parte. L’Ucraina nell’Ue abbasserebbe la democraticità all’interno della stessa Unione Europea, sia a causa dell’ elevatissimo tasso di corruzione — lontanissimo dall’essere debellato — sia perché Zelensky è responsabile, secondo diversi analisti, di omicidi politici.

Forse oggi Putin rappresenta una figura che riesce tutto sommato a tenere un equilibrio che noi diamo per scontato ma che così non è

Attualmente Putin sta gestendo una fase delicata con tanti potentati che fanno pressioni tra chi è favorevole all’utilizzo del nucleare, chi vuole un determinato intervento e chi, invece, vuole scendere a compromessi. Non dimentichiamoci che i russi sono terrorizzati dall’idea di ritornare al recente passato della Federazione, per intenderci quello post URSS, con alti tassi di criminalità e l’ingresso di diversi gruppi economici stranieri che hanno giovato in quella fase di caos e tratto vantaggio, mentre oggi tutto sommato si sentono maggiormente tutelati

Cosa ne pensi dei toni che in Europa si stanno alzando? Macron è passato dal chiedere di non umiliare Putin a prospettare in un prossimo futuro un invio di truppe e cosa pensi delle già citate dichiarazioni di Michel?

Non bisognerebbe mai dimenticare che la Russia è una potenza nucleare con la quale dovremmo interfacciarci riconoscendole un ruolo che oggi non riconosciamo più. Importante tenere presente che la Russia non è soltanto Mosca ma un Paese complesso con confini che vanno dall’Ue alla Corea del Nord, passando per la Cina, con etnie e religioni diverse, sarebbe pertanto opportuno caldeggiare una Russia unita anziché uno scioglimento di questa realtà. Ci immaginiamo con quali difficoltà si dovrebbe gestire una separazione dei territori russi, con tante nazioni ognuna con i propri capi di Stato, di Governo, ministri degli esteri e con propri eserciti, magari con tanto di testate nucleari? Le dichiarazioni rilasciate da numerosi leader europei fanno pensare che più che essere governanti siano degli attori pagati che non rispondono più ai principi democratici. Ho come l’impressione che all’indomani della pandemia Covid 19 sia avvenuto uno stravolgimento economico così tanto importante da avere la necessità di guadagnare il terreno perduto con la più semplice delle economie: quella di guerra. La Nato si sta avvicinando come non lo era dai tempi della guerra fredda ad una guerra totale con la Russia e questo non per volontà dell’apparato militare dell’organizzazione ma per desiderio della politica che la gestisce. Non dimentichiamoci che chi governa la Nato ed ha l’ultima parola è la parte politica. Tanto è vero che il Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg, è un politico ed economista: possiamo definirlo il peggior Segretario della storia della Nato visto che ha portato l’alleanza sull’orlo di una guerra totale

Ma, secondo te, se a Putin venisse riconosciuto il Donbass lui si fermerebbe?

Non ho la sfera di cristallo e non mi permetterei mai di offrire certezze in tal senso. Tuttavia, secondo il mio personale pensiero, se a Putin venisse riconosciuto il Donbass si ritirerebbe. La parte di territorio ucraino invaso oltre la regione filorussa sarà leva di scambio nel momento in cui si arriverà alla definitiva trattativa, cioè quando ci sarà quel necessario punto di caduta al quale saremmo già dovuti arrivare da tempo.

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Elogio della mitezza (di Roberto Paracchini)

by Redazione Scuola | 25/03/2024 12:39

Elogio della mitezza

…, già e come si fa? Come si fa a parlare del futuro…?

– Si cerca di immaginarlo partendo da elementi del presente.

Così però si rischia di pensare un futuro cupo, troppo cupo.

– E chi lo dice?

Beh, il presente non è certo bello: guerre, distruzioni e cattiverie gratuite, violenza, razzismo, discriminazioni, povertà, crisi climatica e tanto tanto altro ancora. Greta Thunberg e i tantissimi giovani che vedono in lei un punto di riferimento, hanno perfettamente ragione a protestare.

– Sì: sembra proprio che stiate facendo di tutto per preparare loro un bruttissimo futuro.

Ma chi parla, chi entra nei miei pensieri?

– Calma, stai solo riflettendo.

Già con una voce che non sono io e che risponde a quello che penso…

– Innanzi tutto io non sono una voce ma Qfwfq. Quindi tranquillizzati.

O, cielo!, chi parla!

– Te lo detto, sono Qfwfq.

Chi?

– Potrei offendermi, sono il prodotto della fantasia di un grande scrittore, Italo Calvino.

Ah…, davvero?

– Sì, “Le cosmicomiche”.

– Ma che faccio, dialogo con Qfwfq?

– E che c’è di strano, secondo il mio autore esisto da tempo immemorabile.

Ma sei un prodotto della fantasia!

– Appunto ed è di questo che hai bisogno, ti trovi di fronte a un’impasse…

?

– Col terrore del foglio bianco.

Beh, forse la questione è complessa.

– Ovvio, è difficile orientarsi in questo mondo, tanto meno scriverne. Ne so qualcosa io, prodotto dalla fantasia e dalle ossessioni di chi mi ha dato i natali.

Va beh, finalmente un sogno letterario. Peccato che poi finisca.

– E chi l’ha detto, deciderai tu.

Forse forse resterei nel sogno…

– D’accordo, la consapevolezza delle brutture del vostro presente fa male, ma le avete prodotte voi.

Lo so…, lo so ma non ti ci mettere anche tu; credimi, c’è da impazzire.

– E per che cosa credi che sia qui. Però non incolpare altri della tua incapacità di capire.

Vedi tu?Ormai tutto è fuori registro, abnorme e sempre più incomprensibile e tu pure, cara/o Qfwfq, forse fuggita/o da un libro e che ora dialoghi con me.

– Io non fuggo, semmai tu, che vigliaccamente rinunci a capire.

Non offendere, ho solo un momento di sconforto.

– “Sapere aude!”, scriveva un vostro grande filosofo, l’illuminista Immanuel Kant : sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Ma tu questo coraggio non sembri averlo.

Già, la fai facile tu che vivi in un mondo di fantasia…

– Ma è proprio questa che ti manca. La fantasia.

Sarebbe?

– Che cosa credi che sia l’intelligenza? Se non quel qualcosa che ti permette di immaginare mondi altri, forse inusitati ma non per questo meno possibili?

Quindi?

– Non devi scoraggiarti.

Però, se ci si guarda attorno…

– Non farti ingabbiare dal qui ed ora. Te lo ridico: abbi il coraggio di usare la tua intelligenza, quindi di immaginare altro non rifiutando la potenza della fantasia. E ricorda: la realtà è fatta da tutte le determinazioni del possibile, anche da quelle che ora non ci sono ma che potrebbero esserci.

Semplice da dirsi, per te che vivi in un racconto.

– Non è esatto, io vivo in tutti coloro che mi leggono, o mi hanno letto, o mi leggeranno. Io non sono di nessuno ma per tutti.

Ovvero?

– La fantasia è patrimonio comune.

Allora spiegami, come si fa ad affrontare questo mondo fatto di guerre, distruzioni e cattiverie impensabili?… Come si fa a viverci? Come si fa a non venire schiacciati dalla sua pesantezza? Come si fa a costruire o inventare un pur piccolo granello di sabbia che contribuisca a renderlo almeno un po’ meno ingiusto?

– Mi ripeto: sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Lo scrittore che mi ha dato i natali, Italo Calvino, pur parlando di letteratura, ha insegnato anche a me, suo prodotto di penna, molte cose.

Allora, Qfwfq, visto che ormai, meticciando realtà e fantasia, mi hai avviluppato nel tuo mondo, sii generoso e spiega pure a me.

– Il mio Calvino nel libro Sei lezioni americane, alla voce leggerezza, racconta che la pesantezza del mondo si supera non con fughe nel sogno o nell’irrazionale, ma cambiando approccio, quindi avendo più fantasia e guardando il mondo “con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza”.

Bene, e come fare?

– Forse cominciando a riflettere sul fatto che siete tutti imprigionati da un’idea fissa: che in ogni momento della vostra vita c’è chi vince e chi perde, chi arriva primo e chi no, e chi irrimediabilmente si smarrisce per strada. E che siete tutti ingabbiati in questa bizzarra e crudele gara, tanto che sembra normale, se non scontato, anche l‘uso della forza, della furbizia e della spregiudicatezza…

Seppure malinconicamente, mi vien da dire che questa logica del vincere o del perdere sembra proprio la più diffusa nella realtà in cui viviamo.

– Già, vincere… Sai l’etimologia di questo verbo richiama la radice weik che implica un combattere continuo e infine, appunto, un vincitore, da cui la configurazione di uno spazio di dominio in cui uno soggioga l’altro e dove c’è chi lega e chi viene legato. E’ questo il mondo a cui aspiri?

Certo che no! E non sono il solo a non volerlo. Ma sempre più persone stanno perdendo la fiducia e la speranza in un possibile cambiamento.

– Allora muovetevi, seguite l’esempio dei giovani.

Facile a dirsi, però…

– Niente è fattibile se non si inizia. Un primo passo è cambiare linguaggio: non più vincere, né convincere, ma persuadere. La più timida persuasione che nella sua etimologia indica, sì, anche un’azione, ma verso un qualcosa di dolce e delicato supportato, direi io, da argomentazioni non apodittiche.

Scusa Qfwfq ma per battere e sconfiggere la sfiducia e l’indifferenza non pensi occorra invece usare un linguaggio che “buchi” l’attenzione: forte e deciso?

– No, penso sarebbe un atteggiamento sbagliato. Sai, basta accendere la tv o collegarsi a un qualsiasi social per essere subito investiti e travolti da tanti linguaggi barricadieri che bucano, sì, l’attenzione come dici tu, ma che quasi subito svaniscono lasciando ben poco, se non un sapore amaro e un bel po’ di fastidio quando va bene; confusione, rabbia e astio più spesso.

E tu che proponi?

Festina lente, affrettati lentamente: agisci, sì, ma dopo aver riflettuto. Nessun assalto all’arma bianca, sia pure solo verbale.

Quindi?

– Come afferma il mio Calvino, occorre “guardare il mondo con un’altra ottica”. In pratica bisogna cambiare paradigma, abbandonare il linguaggio bellicoso e avere il coraggio di guardare altrove. E potete farlo prendendo esempio da un altro gigante della cultura italiana e mondiale, il filosofo Norberto Bobbio; e scommettere con lui sulla mitezza.

Caspita, Qfwfq, la mitezza? È come se proponessi una rivoluzione copernicana.

– Esatto.

Spiega.

– In un mondo di sopraffazioni continue va precisato che “la mitezza è il contrario dell’arroganza, intesa come opinione esagerata dei propri meriti, che giustifica la sopraffazione”, come sottolinea Bobbio nel saggio Elogio della mitezza.

D’accordo, la mitezza, però sembra un qualcosa di molto, direi troppo lontano dal mondo dell’oggi.

– Non credo, le cose che sembrano più inaccessibili, sono spesso quelle con cui viviamo nella nostra quotidianità, pur non vedendole.

Non capisco, ogni tanto mi perdo…

– Se vai a prendere un caffè gradisci che chi te lo serve, faccia un sorriso, che tu ricambi perché un sorriso è contagioso come una piccola coccola. Oppure ti viene spontaneo aiutare il tuo vicino di casa se lo vedi in difficoltà con la spesa o aiutare una persona incerta ad attraversare la strada e tante altre piccole grandi cose. Uso volutamente “piccole grandi” perché sono le (apparentemente) piccole cose che ci fanno grandi. Ed è proprio in queste che si forgia la mitezza, una postura del comportamento meno aggressiva e più riflessiva. Sai, come specifica Bobbio, la mitezza è “una disposizione d’animo che rifulge solo alla presenza dell’altro: il mite è l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé”. In altre parole: il mite aiuta a limitare l’arroganza dell’altro, in quanto esempio vivente che i rapporti interpersonali possono essere meno spigolosi e trasformarci in persone che ascoltano.

E pensi che questo possa aiutare a superare la sfiducia e a formare un ambiente meno indifferente?

– Molto probabile. Sai l’indifferenza ha spesso come base la difficoltà nei rapporti interpersonali. Quando affermo che dovremmo usare il termine persuadere e non con-vincere, penso che si debba iniziare dalla nostra quotidianità dove in continuazione facciamo scelte che ci relazionano agli altri…

Non ti seguo.

– Non ti capita mai di avere qualche problema e di sentirti come adirato col mondo?

Beh, sì.

– In genere questo vuol dire che dentro di te c’è qualche “nodo” irrisolto, forse un eco di quell’inquietante “zona grigia” di cui parla Primo Levi.

Non capisco che vuoi dire.

– Quel che forse sai anche tu: se riesci a relazionarti con qualcuno senza aggressività, quel “nodo” diventa più leggero, non che lo risolvi, ma ti si attenua, soprattutto se nella relazione con l’altro non entri in un quadro competitivo in cui ognuno vuole convincere l’altro di qualcosa. In altre parole, il mite è colei o colui che non vuole convincere nessuno, semmai persuadere.

Mi stai dicendo che la persuasione si sposa con la mitezza e non con la vittoria…

– Certo. Sai, grazie al mio Calvino sono un testimone senza tempo dell’evoluzione dell’universo e di vittorie e catastrofi ne ho visto tante, dai buchi neri alla formazione di nuove stelle. Ma ho anche osservato che per quella strana “cosa”, che chiamate homo sapiens, più che i grandi eventi che hanno creato l’universo, contano le carezze.

Che è, Qfwfq, mi stai diventando sentimentale…

– La fantasia è anche sentimento, parola che va accostata al verbo sentire, che significa avere consapevolezza di sé e dell’altro; e che è spesso anche il prodotto di una carezza. Gesto che, a sua volta, richiama una postura mite verso l’altro, che deriva da caro, amato. Tutti significati ben lontani dal vincere-soggiogare-fare prigioniero.

Perdonami, Qfwfq, ma se vuoi cambiare qualcosa, così facendo non rischi di assumere un atteggiamento, sì, carezzevole, ma poco efficace?

– Per niente, semmai il contrario: la vittoria sottomettendo, blocca, ferma e cristallizza la realtà, soggiogando chi non la pensa come te e bloccandone le possibili scelte; e inibendo così la realizzazione di nuovi percorsi. Non credi invece che le nostre azioni, come spiega il fisico e filosofo Heinz von Foester, dovrebbero sempre essere volte ad agire “in modo di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta”?

Ammettiamo che sia d’accordo, ma come agire in questo senso?

– Con la mitezza, su cui punta Bobbio. Usando le parole di Carlo Mazzantini, un suo amico filosofo, Bobbio sottolinea che “la mitezza è l’unica suprema potenza (…) che consiste nel lasciare l’altro quello che è”. Quindi con tutta la sua libertà di scelta.

Perdonami, Qfwfq, però per Norberto Bobbio “la mitezza non è una virtù politica”.

– Ed è per questo che è molto importante. Per lui, “la politica non è tutto. L’idea che tutto sia politica è semplicemente mostruosa”. Ma proprio qui sta per Bobbio la potenza della mitezza che, appunto, non è una virtù politica.

Forse mi sono perso qualcosa, ho difficoltà a seguirti. Ti rigiro il moto Festina lente…

– Giusto, diamo un po’ di contesto. In Elogio della mitezza, quando Bobbio parla di politica, pensa soprattutto al Principe di Macchiavelli in cui gli “animali simbolo dell’uomo politico sono (…) il leone e la volpe”; e pensa a Hobbes e al suo homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’altro l’uomo), che“nello stato di natura è l’inizio della politica”. Tutti esempi in cui “non c’è posto tra loro per i miti”.

Perdonami l’ingenuità e la banalità, ma come fa il mite a competere con questa “muscolosa” politica, soprattutto se vuole cambiarla? Non verrebbe spazzato via come un fuscello?

– Il problema è mal posto. Il mite, spiega Bobbio, “non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di sconfiggere, e alla fine, di vincere. È completamente al di fuori dello spirito della gara, della concorrenza, della rivalità e quindi anche della vittoria”.

Continuo a non capire.

– Bobbio non nasconde affatto la prosaicità della storia e, quindi, della politica, piena di arroganza, protervia e prepotenza. Così come non nasconde, citando il filosofo Friedrich Hegel, che ai “fondatori di stati”, agli “eroi”, è stato permesso tutto, “anche l’uso della violenza”.

Quindi?

– Bobbio cerca una via d’uscita coerente, una via d’uscita per il nuovo millennio direi, e la trova nella mitezza…

Una virtù, però, che considera “non politica”.

– Sì, ed è proprio in questo suo (della mitezza) essere fuori dalla politica intesa come lotta e competizione, che sta la sua forza e la sua potenza. Come già accennato, la vita per Bobbio non si riduce alla politica ed è in questo spazio non politico, in cui i rapporti interpersonali non puntano a prevaricare e dominare l’altro, che può fiorire la mitezza in tutta la sua potenza.

E che cos’è questo “spazio non politico”?

– In Elogio della mitezza, l’autore non lo precisa in modo esplicito, ma afferma di considerare molto importante “quello che c’è al di là della politica” dove si trova, appunto, la virtù della mitezza. Direi che per Bobbio si tratta di uno spazio che non è della politica tradizionale e nemmeno del privato dato che la mitezza “rifulge solo alla presenza dell’altro”; e che, quindi, può essere considerato uno luogo intermedio tra i due. Uno spazio determinante nella vita delle persone perché in esso vivono i rapporti interpersonali, di cui la mitezza si nutre per definizione. Direi che questo spazio assomiglia a quello infra teorizzato dalla filosofa Hanna Arendt e per lei indispensabile per lo sviluppo democratico. E quale humus migliore della mitezza per stimolare la riflessione e la crescita delle persone?

Oggi, però, sembra che più della riflessione domini la velocità e che tutto il resto (basta dare un’occhiata ai social) diventi subito obsolescente.

– Certo, ma quel che più conta credo sia riuscire a innescare cambiamenti virtuosi e contagiosi. A noi tutti e mi ci metto anch’io con l’illuminismo del mio Calvino, oggi non serve un qualcosa che faccia rumore e che appaia e scompaia come la voglia di immediatezza prodotta dai clic reiterati. Occorre invece un qualcosa che abbia potenza potente nel senso etimologico di capace di effetti, di autorità, ricco e nobile, autorevole insomma.

Rieccoci, spiega meglio: potenza e mitezza a me sembrano due concetti agli antipodi.

– Per spiegarlo Bobbio si rifà alle parole del suo amico filosofo Mazzantini che come abbiamo già visto diceva che la mitezza “è l’unica suprema ‘potenza’ (…) che consiste nel lasciare l’altro quello che è”. E in più aggiungeva: “Il violento non ha impero perchè toglie a coloro ai quali fa violenza il potere di donarsi”. Chiaro?

Non proprio.

– Allora seguimi ancora un attimo: chi comanda e domina fa fare agli altri solo quello che lui vuole, come se il dominato fosse diventato un suo terminale. In questo modo, però, la forza del suo comando resta, appunto, solo forza che piega con la violenza colui che viene dominato. Così il violento conquista, soggioga e trasforma il corpo del dominato ma, si potrebbe dire con un linguaggio forse improprio, non la sua anima: la sua vera volontà e la sua personalità restano inviolate.

Prima hai accennato al tema del” donarsi”, chiarisci per cortesia.

– Dietro questa affermazione penso ci sia il discorso sul dono e sulla gratuità. In sintesi il donare, in questo caso, implica il fare qualcosa senza avere alcuna contropartita: un’azione svincolata da un qualsiasi vantaggio. A ben guardare si tratta di un comportamento che noi facciamo molto più spesso di quel che sembri durante la nostra quotidianità, come atto di attenzione verso gli altri con una telefonata affettuosa o un messaggio delicato che mandiamo o che ci arriva inaspettato, o una gentilezza inusuale o mille altre piccole cose. Ed è proprio la gratuità di questi gesti che li rende doni e, direi, doni contagiosi nel senso che spingono i destinatari a comportarsi nello stesso modo…

Ma hai appena detto che non c’è contropartita.

– Infatti, perché i destinatari della contagiosità del dono non sono coloro che hanno fatto il dono, ma altri. Se poi lo diventano anche loro, è perché pure loro fanno parte del mondo “altri”.

E un atteggiamento mite li stimola, i doni?

– Sì, ne è un propulsore: per Bobbio la mitezza “è una donazione”, e si tratta “di una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata”.

Bene, torniamo un attimo sulla potenza della mitezza.

– Chi fa violenza toglie al dominato il potere di donarsi dimostrando così di non avere impero, nel senso di autorità e autorevolezza, su colui che soggioga; e questo perchè non controlla la sua libertà più grande, quella di potersi donare, appunto.

Insomma, in questo quadro concettuale, è il mite il vero potente?

– Esatto, ma si tratta di una potenza fatta di autorevolezza, senza dominio e soprattutto, come spiega Bobbio, che sviluppa socialità. “Dunque – continua il filosofo riprendendo le parole di Mazzantini – ‘lasciare essere l’altro quello che è’ è virtù sociale nel senso proprio, originario, della parola”, che crea alleanza, base e trampolino per una nuova politica.

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Preoccupanti prospettive di guerra in Europa (di Roberto Mirasola)

by Redazione Scuola | 20/03/2024 11:50

Domenica il quotidiano La Repubblica è uscito con un titolo a dir poco preoccupante: “Paura per l’Ucraina”. Insomma si da sponda alle dichiarazioni di alcuni leader Europei. Macron è passato dal non umiliare Putin alla possibilità di mandare in futuro delle truppe a combattere in Ucraina, mentre il presidente del consiglio Europeo Michel sostiene che se si vuole la pace bisogna prepararsi alla guerra. Come interpretare questa pericolosa alzata dei toni che non fa prefigurare niente di buono nei prossimi mesi? Vi è il timore che con l’avvicinarsi dei mesi caldi la Russia possa sferzare un’offensiva pesante verso l’Ucraina e che le prossime elezioni statunitensi con la paventata vittoria di Trump possano ridurre l’attenzione del governo statunitense verso l’Europa.

Tutto questo evidenzia un’inopportuna corsa volta all’affermazione delle leadership europee che attualmente denotano una mancanza di visione sul ruolo che il vecchio continente debba avere, o ancora peggio si percepisce una mal celata prospettiva di guerra nei confronti della Russia.

Le prossime elezioni europee ci consentiranno di comprendere meglio gli umori dei cittadini, ed è molto probabile che vi sia una esplicita richiesta di pace che possa provenire da quella parte di Europa che a suo tempo definimmo “Carolingia”. Possiamo affermare a due anni dall’inizio del conflitto Russo-Ucraino che la scelta politica del continuo invio di armi si è rivelata fallimentare. Gli Ucraini non hanno recuperato il terreno perso e il prezzo di vite umane è stato elevato. La parte centrale dell’Europa invece, ha una visione diversa del conflitto, dettata dai trascorsi storici con la Russia e dal forte timore di iniziative belliche, paura che non ha fatto altro che rafforzare la corsa agli armamenti. Con questo scenario non possiamo che rilevare una visione politica incapace di comprendere ancora una volta, le difficoltà derivanti dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, con una parte delle ex repubbliche socialiste impegnate in conflitti regionali dimenticati dall’opinione pubblica vedasi Georgia, Armenia e Azerbaigian. La strada della diplomazia e della politica devono essere le linee guida per trovare una via d’uscita ed evitare che i fronti di guerra aperti possano sfociare in pericolosi conflitti.

Al termine della guerra fredda vinta dagli U.S.A. nel 1989 non si è costruita una pace duratura poiché è mancata la costruzione di un giusto equilibrio che potesse riconoscere le rivendicazioni di tutti. La Russia è stata data in mano a Eltsin che l’ha poi consegnata a Putin e ora ci si sorprende di quanto accade. Ecco è opportuno comprendere la storia e capire che i nazionalismi che hanno interessato le ex repubbliche sovietiche, Ucraina compresa, non sempre corrispondono poi a democrazie cosi come le conosciamo noi.

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Nel segno di Lussu Per una carta costituzionale dei Sardi (recensione di Fernando Codonesu)

by Redazione Scuola | 20/03/2024 11:10

Andrea Pubusa

Nel segno di Lussu

Per una carta costituzionale dei Sardi.

recensione di Fernando Codonesu

Nel suo nuovo libro dedicato alla storia e alle vicende politiche dei protagonisti della Sardegna e dei Sardi negli ultimi due secoli, da Angioy ad oggi, passando per Tuveri, Asproni, Gramsci, Bellieni, Lussu, Simon Mossa, Soddu e altri, Andrea Pubusa compie un percorso lungo, denso di fatti significativi, individuando un filo conduttore che attraversa l’intero periodo e che gli permette di formulare una proposta politica compiuta, con una valenza progettuale precisa.

La proposta, evidente già dal titolo, Nel segno di Lussu, per una Carta costituzionale dei Sardi, è dirimente: oggi più che mai è il tempo dell’autogoverno dell’isola e per questo obiettivo non più rinunciabile si deve andare ad una revisione, anzi ad una riscrittura dello statuto di autonomia speciale dandogli la connotazione di una Carta costituzionale del popolo sardo.

In effetti, questo è il quarto libro che Pubusa dedica agli ultimi due secoli di storia e ne rappresenta il giusto approdo.

Per comprendere questo epilogo, è corretto fare una lettura organica dei quattro libri. Per questo motivo ritengo utile riportarne almeno i titoli in questa sede, in ordine cronologico di edizione, giacché anche i titoli indicano un percorso e una direzione precisa. In quattro anni sono stati pubblicati: 1) Palabanda. La rivolta del 1812. Fatti e protagonisti di un movimento che ha scosso la Sardegna, 2019; 2) Giovanni Maria Angioy e la nazione mancata. I cento giorni che sconvolsero la Sardegna, 2020; 3) Da Angioy a Lussu. Un sentimento che in Sardegna attraversa il tempo: l’autogoverno, 2022; 4) Nel segno di Lussu. Per una carta costituzionale dei Sardi, 2023.

E’ evidente anche la progressione della politicizzazione dei titoli che rispecchiano il modo di analizzare la storia e gli accadimenti con un approccio politico sempre più marcato da parte dell’autore.

Anche la scrittura e la cifra stilistica personale diventano più efficaci, asciutti e diretti in quanto mirano all’essenza dei fatti più significativi, e qui si rivede il giurista che si basa sulla lettura attenta dei documenti, mentre viene meno la parte dubitativa del discorso, e il politico che fa una lettura più generale e mirata delle idee e dei fatti riportati.

I 29 capitoli del volume che si dipanano in appena 138 pagine, bibliografia essenziale compresa, sono leggibili ciascuno per conto loro. Si tratta di capitoli brevi, il più lungo è di 11 pagine, netti ed essenziali, che affrontano argomenti e temi fondamentali nello spazio di poche pagine. Da un lato c’è la storia e dall’altro, ma strettamente connaturata alla prima, possiamo vedere la politica, intesa in senso lato, naturalmente dal punto di vista dell’autore.

I primi 17 capitoli sono volti alla sistematizzazione dei punti più significativi affrontati nei precedenti tre volumi con lo scopo evidente di puntualizzare e approfondire i fondamenti dell’analisi politica. Nelle ultime 35 pagine viene sviluppata una proposta compiuta di riscrittura dello statuto in una prospettiva di autogoverno nell’unità della Repubblica che viene vista come uno stato federale, riprendendo in tal modo le idee di Lussu e degli altri esponenti della linea federalista sarda.

Le domande che l’autore si pone, ovvero la sostanza dei problemi di fondo da affrontare, sono in prima istanza le seguenti: pensiamo alla Sardegna come una Repubblica o come una Regione?, in un nuovo statuto, posto che le materie cosiddette concorrenti producono solo confusione, sovrapposizione di competenze e contenziosi, quali saranno le materie di stretta competenza regionale e quali quelle dello Stato?, il nuovo assetto costituzionale non assegna alla Sardegna funzioni sul fronte esterno essendo limitate esclusivamente allo Stato centrale, ma questo è accettabile dal punto di vista della collocazione geografica della nostra isola e del suo potenziale ruolo geopolitico?, sui trasporti e sull’energia decide lo Stato o la Regione come rappresentante della sovranità popolare sarda? E sulla lingua sarda e sull’energia?

Tutte domande, come si vede, centrali già nell’esperienza degli ultimi decenni della nostra storia politica e culturale ed oggi più vive che mai perché si tratta di domande ancora prive di risposta e di programmi di governo regionale adeguati almeno per l’individuazione di possibili percorsi di autogoverno da avviare.

Per quel che attiene alla seconda metà del ‘900, l’attenzione è posta sull’indipendentista integrale Antonio Simon Mossa, su Pietrino Soddu protagonista della Rinascita, sulla costante resistenziale di Giovanni Lilliu e sull’esperienza soriana vista come prassi di impostazione autocratica in contrapposizione con l’autonomismo democratico.

Infine sulla questione delle questioni, lo statuto di autonomia speciale.

La ripresa di una intervista rilasciata recentemente da Soddu in cui tra i tanti punti presi in considerazione si legge “Il futuro non è tutto nelle nostre mani. Ma se non tutto una parte significativa dipende da ciò che noi faremo … da come riusciremo a essere ancora padroni dei beni comuni, terra, aria, acqua, mare e cielo; dal tasso di libertà e di autogoverno di cui disporremo per difendere e valorizzare anche, e forse soprattutto, l’universo dei beni immateriali che costituiscono il nostro patrimonio identitario senza il quale saremo inevitabilmente travolti dalla forza degli elementi presenti nella seconda modernizzazione …”.

Nell’intervista ampiamente citata da Pubusa, Soddu insiste con autorevolezza sulla necessità dell’autogoverno.

Riprendendo le riflessioni di questi tre grandi pensatori moderni e pensando alla necessità di rivedere lo Statuto, l’autore propone la sua idea radicale già nel sottotitolo. Lo scopo è evidente: c’è bisogno di un nuovo statuto più orientato all’autogoverno per tanti motivi storico-politici, etno-culturali, economici e sociali, ma in primis perché lo statuto di autonomia speciale del 1948 non è sardo e l’autore ne propone con forza e convintamente non la semplice revisione ma la sua riscrittura. E a proposito di riscrittura la proposta è ancora più forte perché propone una Carta costituzionale dei Sardi. E’ qui, proprio in questo titolo, che si ritrova sia il filo conduttore di quella che è riconosciuta come la linea federalista sarda in cui Andrea Pubusa si riconosce, sia il lievito fecondo dell’esperienza della presidenza di Mario Melis del PSdAz degli anni ’80, l’elaborazione di Antonio Simon Mossa accanto alla riflessione profonda di Pietrino Soddu e si intravedono chiaramente alcune idee dell’area politica sarda identificata generalmente come “forze e movimenti dell’autodeterminazione”.

I concetti, le idealità più profonde di quel sottotitolo rimandano al concetto di popolo sardo, di cultura sarda, di autogoverno, di nazione e sovranità sintetizzati con il riferimento alla parola “Sardi”: tutte parole, queste, di cui non c’è minimamente traccia nel nostro statuto di autonomia speciale in vigore dal 1948, dove i rapporti tra la Regione e lo Stato vengono descritti, elencati, regolamentati e sostanziati esclusivamente in un rapporto tra “entità formali”.

In definitiva per me si tratta di un libro che, insieme agli altri tre dell’autore, ben descrive un contesto e uno scenario storico-politico di riferimento e può assumere la connotazione di una bussola nella prospettiva di un processo di autogoverno della Sardegna.

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La necessità di un pensiero di pace (di Roberto Mirasola)

by Redazione Scuola | 13/03/2024 11:31

A due anni dall’invasione russa in Ucraina il mondo non si può certo dire un posto migliore, anzi. I conflitti sono aumentati, riaccendendo il Medio Oriente sino ad arrivare al mar Rosso con gli attacchi degli houthi, non dimenticando poi la minaccia cinese a Taiwan. Naturalmente riportiamo solo i conflitti più conosciuti non citando, perché non raggiungono le cronache, tutti gli altri dal Sudan e dalla complicata situazione Africana.

Le armi hanno contribuito forse a raggiungere un equilibrio geopolitico che consenta ai popoli di vivere in pace? No tutt’altro. Possiamo, dunque, affermare che le armi hanno fallito e con esse l’idea, ormai, diventata prevalente che la guerra sia qualcosa di irreversibile. Il movimento pacifista si è diviso in Italia tra chi comprendeva le ragioni di Putin e chi invece quelle di Kiev. Non siamo riusciti a superare queste divisioni nell’interesse maggiore della pace e il risultato è un’Europa in riarmo con divisioni al suo interno sempre più accentuate con i paesi baltici e Polonia sempre più vicini a Washington piuttosto che a Bruxelles. Dobbiamo riportare al centro la politica come soluzione alle crisi sempre più ricorrenti in un mondo sempre più diviso. L’ONU non è più la soluzione ai problemi e lo dimostra sempre più la sua impotenza nelle risoluzioni adottate negli anni contro Israele che ha invece disatteso le direttive per continuare nella sua politica coloniale di occupazione dei territori palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Non illuda il ritiro da Gaza nel 2005. La decisione di Sharon era motivata dalla difficoltà tutta Israeliana di dare protezione ai pochi coloni presenti nella striscia. Cosa invece ben diversa in Cisgiordania dove gli insediamenti sionisti hanno creato in alcuni casi vere e proprie città con l’occupazione dell’esercito a difesa dei soli coloni. Eppure nonostante ciò, Hamira Hass, giornalista israeliana che vive a Ramallah (Cisgiordania) scrive “La vera essenza della resistenza emerge nei villaggi che si oppongono ai coloni e nelle persone che protestano pacificamente contro gli insediamenti illegali israeliani. È fondamentale evitare di idealizzare l’uso delle armi come principale strumento di resistenza” tutto questo nonostante le ingiustizie e i soprusi perpetrati nei confronti dei civili palestinesi. Dovremmo chiederci il perché di questa continua espansione sionista, ma la risposta è semplice. In realtà nessun governo Israeliano ha mai ostacolato la crescita degli insediamenti non dovuti, si badi bene, a una “crescita naturale della popolazione”, ma alla politica di incentivazione nei confronti di immigrati Israeliani con relativi generosi sussidi. Gli Stati Uniti a loro volta si dichiarano contrari, ma nei fatti nessun Presidente Statunitense ha mai ostacolato Israele. Non ci dobbiamo poi sorprendere per le difficoltà di dialogo con il mondo arabo più volte umiliato. Tutto questo ha un senso per gli interessi Italiani ed Europei? No. Abbiamo gettato via anni di diplomazia che vedeva un dialogo aperto con il mondo arabo che si affaccia come noi nel Mediterraneo.

Come se ne viene fuori? Per quanto riguarda Ucraina e Russia, le armi devono tacere da entrambe le parti, e questa è una condizione imprescindibile. Solo così i negoziati possono seriamente riprendere. E’ ormai chiaro che nessuna delle due parti è in grado di vincere il conflitto.

A Gaza invece Israele deve fermare l’invasione da terra, che al momento ha l’unico obiettivo di cacciare i Palestinesi dalla striscia. Le armi non porranno fine all’odio, foriero di nuovi combattenti. Non si può non ripartire dal riconoscimento dello Stato Palestinese con nuovi negoziati capaci di dare stabilità al Medio Oriente.

Non dobbiamo arrenderci alla logica della guerra ma dobbiamo batterci per creare un pensiero di pace che possa contrastare gli interessi economici di chi lucra con le guerre.

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La polizia deve garantire le manifestazioni, non reprimerle (di Andrea Pubusa)

by Redazione Scuola | 02/03/2024 21:34

C’è un clima liberticida, nell’intervento della polizia e nel dibattito seguente. Al fondo emerge l’idea che la polizia abbia come finalità di controllare le manifestazioni e, se del caso, reprimerle. Insomma, le manifestazioni di piazza sarebbero una rottura, un fatto negativo. Tutto il contrario di quanto dice la Carta che le annovera fra le libertà fondamentali, fra i diritti inviolabili. Cosa vuol dire questo? Significa che riunirsi per manifestare la propria opinione è un elemento essenziale del nostro ordinamento democratico. Un bene da incoraggiare e tutelare. E l’art. 17 Cost. detta una disciplina coerente con la natura fondamentale del diritto.
La libertà di riunione può esercitarsi senza alcun preavviso in luogo privato o aperto al pubblico (una sala, un cinema ecc.). Perchè in questi casi non occorre alcuna comunicazione alle autorità? Perchè la riunione non interferisce con altre libertà, es. la circolazione. Non così nelle manifestazioni in luogo pubblico, una strada, una piazza, dove circola o staziona una massa estranea alla manifestazione. Qui è richiesto il preavviso all’autorità perchè appresti le misure per garantire lo svolgimento della manifestazione, senza intralci e contemperando le diverse libertà, ad es. corteo e traffico automobilistico. A questo è finalizzato il preavviso, che – si badi – non è una richiesta di autorizzazione, è una semplice comunicazione; una libertà non è e non può mai essere autorizzata, ossia soggetta al potere, pena la perdita della qualità di libertà, talchè non si può parlare di manifestazione non autorizzata, come spesso fanno questori o giornalisti, perchè’ questa non è mai soggetta ad autorizzazione o permesso.
E se la manifestazione si svolge senza preavviso? Può essere sciolta? La risposta è negativa se si svolge “pacificamente e senza armi“. Questo è l’elemento rilevante. Del resto è intuitivo che un intervento della polizia in una manifestazione pacifica è di per sè fonte di disordine. La legge prevede semplicemente una sanzione per gli organizzatori e per chi prende la parola.
Infine la manifestazione non può essere vietata se non per “comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica“, dove il termine “comprovati” sta a significare che devono essere accaduti fatti che creano il pericolo. Non può essere una sensazione o una convinzione dell’autorità, sfornite di riferimenti reali. A maggior ragione non si può vietare la manifestazione nelle ricorrenze. Per cui è stata vietato incostituzionalmente di manifestare pro palestinesi nel giorno della memoria.
Dalla condotta delle forze di polizia, dalle prese di posizione del ministro e dei questori si desume che costoro non conoscono gli elementi essenziali del diritto costituzionale. Eppure hanno giurato sulla Costituzione. Dovrebbero prendersi un buon manuale e studiare prima di parlare e di agire.

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Riflessioni dell’imbrunire (di Roberto Mirasola)

by Redazione Scuola | 01/03/2024 16:23

Finalmente siamo riusciti a costruire una coalizione credibile che è stata compresa da buona parte dei votanti. L’astensionismo è alto e dovremmo interrogarci sino in fondo per ridare credibilità alla politica. Questa volta non si può sbagliare: sobrietà, serietà e competenza dovranno essere le parole d’ordine. Ho fatto riferimento ad una parte degli elettori, perché le liste della dx sono andate meglio delle nostre, ciò vuol dire che la candidata è stata una scelta azzeccata e di questo va dato merito a chi non solo l’ha scelta, ma anche a chi l’ha difesa nei momenti difficili.

La vittoria genera entusiasmo ma questo non deve sostituirsi alla lucidità che ora è più che mai necessaria, le amministrative nelle due maggiori città della Sardegna sono dietro l’angolo. A mio parere la strada da percorrere è la stessa, ci vuole una candidatura che porti una ventata di novità, con le dovute competenze e capace di fare sintesi.

Cagliari, posso parlare per la mia città, dovrà avere la sua funzione all’interno del sistema Regione. Siamo una città del Mediterraneo dove i Fenici erano di casa, quindi sappiamo coniugare e comprendere le culture del Mediterraneo. Dobbiamo ritornare ad essere accoglienti ed avere un ruolo nel Mare Nostrum, con uno sguardo verso il futuro che non potrà che essere l’Unione Europea dei popoli e non degli egoismi nazionali. Al contempo dobbiamo parlare ai nostri territori interni. I nostri uffici Istituzionali presenti in città non devono essere visti come un peso ma devono diventare un approdo per tutti i sardi.

Infine, ma non ultimo per importanza, dobbiamo dare la possibilità ai nostri giovani di poter studiare senza dovergli far pagare affitti troppo onerosi per le loro famiglie. Il nostro sviluppo parte dall’importanza che daremo alla formazione dei ragazzi.
Possiamo farcela se di nuovo ci metteremo al servizio della nostra terra.

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Ricordando Luca Attanasio la sua scorta e tutte le vittime rimaste senza giustizia nel paese degli ignavi. (di Rosamaria Maggio)

by Redazione Scuola | 19/02/2024 19:26

Avvicinandosi il terzo anniversario dell’assassinio dell’Ambasciatore Luca Attanasio, del Carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, non posso non rilevare che in questo paese di Patrioti si applicano due pesi e due misure.

La storia dell’ambasciatore straordinario e della sua scorta e che verrà ricordato su Ray Play sound dal 20 febbraio, torna spesso nei miei pensieri.

Luca Attanasio era un giovane Ambasciatore facente parte di una nuova generazione di diplomatici che hanno a cuore i paesi dove vengono inviati e che hanno abbandonato quel vecchio approccio neocolonialista (quando operano in paesi sottosviluppati o in via di sviluppo) o di sudditanza (quando inviati nel mondo occidentale).

Attanasio si occupava di appoggiare progetti di sviluppo in Congo e con il suo fedele carabiniere Vittorio Iacovacci, addetto alla sua difesa personale, e l’autista Milambo; quel giorno partiva per una nuova missione in zone del Congo pericolose, ma che conosceva, anche con la protezione del Pam, agenzia Onu.

Che cosa aveva scoperto Attanasio per essere stato cosi brutalmente ucciso assieme alla sua scorta?

Perché i funzionari Pam, tra cui un italiano, non hanno rinunciato alla immunità diplomatica se sicuri del fatto loro?

Perché’ il Governo italiano, a mezzo del suo Ministro degli esteri, nella memoria inviata al GIP del Tribunale di Roma ha sostenuto che i funzionari Pam godono per consuetudine di immunità diplomatica e non ha avuto il coraggio, dato che di consuetudine si tratta e non di norma giuridica, di modificare coraggiosamente questa prassi? Questa relazione è stata posta a fondamento della decisione del GIP che ha rigettato la richiesta di rinvio a giudizio e disposto il non luogo a procede per immunità diplomatica dei funzionari Pam. La procura ha impugnato la decisione e le famiglie delle vittime hanno accolto la decisione del PM con speranza.

Rimane l’amarezza per questo diverso atteggiamento, sia governativo che in termini di opinione pubblica, riservato invece al caso dei Marò.

Per i due fucilieri imbarcati su una petroliera, una nave mercantile battente bandiera italiana che solcava l’oceano indiano, zona a rischio pirateria, i due fucilieri erano imbarcati in virtu‘ di accordi internazionali con funzioni di protezione di natura privatistica. Ma la difesa dei marò sostenne che in questo caso si applicava la Convenzione di Montego Bay che disciplina la lotta internazionale alla pirateria. I due militari uccisero due pescatori indiani scambiandoli per pirati. L’opinione pubblica si schierò senza se e senza ma dalla parte dei Marò. Il Ministero degli esteri ne avvallò la posizione sostenendo che, fra le altre cose, i due militari dovevano essere considerati come tali, mentre la capo della diplomazia UE, Catherine Ashton, parlò di guardie private a bordo di un mercantile, dichiarazione che successivamente la Ashton modificò parlando di distaccamenti militari a bordo di navi mercantili.

I Marò, dopo varie vicende, ritorni in patria ed in India, vennero trattenuti agli arresti domiciliari presso l’Ambasciata italiana e la lunga vertenza si definì con un arbitrato in cui l’Italia pagò 1,1 milioni di euro a titolo di risarcimento per le famiglie dei pescatori e allo stato indiano e si dice una somma cospicua anche agli stessi Marò.

Un fatto è certo: i Marò uccisero per errore due pescatori indiani.

Ora mi domando: poiché’ vi sono evidenti differenze fra i due casi, Attanasio e la sua scorta vittime, i Marò sicuramente colpevoli di omicidio in virtu’ di un errore, che cosa porta un paese a schierarsi come fu allora in favore dei Marò con un tifo quasi da stadio, (un motivo giuridico ed umano poteva essere quello di impedire la pena capitale in vigore in India) ed invece a dimenticare in appena 3 anni Attanasio e la sua scorta, dove peraltro vi era anche un carabiniere?

Sicuramente questa tragedia che attanaglia gli animi dei parenti, è passata nel dimenticatoio fra i più. Giusto un ricordo nell’anniversario mentre si procede ad affossare il tutto.

Non possiamo poi dimenticare il caso di Giulio Regeni, anche lui una vittima, in questo caso dei servizi segreti egiziani per processare i quali è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della norma che non consente il processo di persone cui non sia notificata l’accusa. Senza la collaborazione egiziana infatti non si è potuta notificare agli imputati la chiamata in giudizio. La sentenza della Corte Costituzionale consentirà di svolgere il processo accertando una verità giudiziaria senza poter di fatto perseguire i colpevoli. In questo caso l’opinione pubblica è coinvolta fortemente grazie alla famiglia ed alla società’ civile.

E giungo all’ultima analogia: il caso di Ilaria Salis che è vero non è un militare, forse una insegnante, ma gli insegnanti contano ben poco come funzionari dello Stato, non svolgeva un servizio per lo stato, ma anche i Marò è dubbio che svolgessero quelle funzioni, e sicuramente questi ultimi sono rei di un reato certo, per quanto per colpa.

Ilaria Salis, semmai dovesse essere riconosciuta colpevole, potrebbe essere condannata per lesioni guaribili in 5 gg, reato che in Italia è punibile a querela di parte.

Domanda ovvia quindi: perché gli italiani difendono i Marò rei di omicidio colposo, per il quale abbiamo pagato un profumato risarcimento all’India (e si dice una somma cospicua pure ai Marò), e non ci si impegna per favorire il rientro in Italia ancorché ai domiciliari in attesa di giudizio per Ilaria o comunque presso l’Ambasciata, a Budapest,che è solitamente il perimetro di territorio nazionale ove è prevista la custodia e protezione di cittadini all’estero?

I casi in cui italiani in varie circostanze hanno ottenuto protezione in ambasciate italiane sono innumerevoli, per sottrarre i cittadini a norme locali non condivise dal nostro ordinamento democratico.

Diversi i Governi che in varie fasi hanno gestito questi drammatici fatti. Un denominatore comune: l’incapacità di rappresentare con autorevolezza il proprio Paese, privilegiando di volta in volta interessi economici o di consenso.

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No al deposito delle scorie nucleari in Sardegna Una partita che si gioca domenica 25 febbraio, da vincere con una mobilitazione di popolo (di Fernando Codonesu)

by Redazione Scuola | 19/02/2024 19:25

Siamo all’ultimo giro della campagna elettorale. Il 25 febbraio si gioca una partita che può segnare l’inizio di un difficile percorso di nuovo sviluppo o dire l’ultima parola sulla catastrofe più che annunciata e certa della nostra regione.

Se vince Truzzu, lo champagne che la destra promette sarà solo gazzosa e vino annacquato. Di certo, il governo Meloni ci rifilerà subito il deposito delle scorie nucleari con l’acquiescenza totale della destra isolana.

Su L’Unione del 16 febbraio è riportata l’affermazione del tutto falsa del ministro Pichetto Fratin in missione elettorale per sostenere il loro candidato Truzzu: “Sull’eolico l’ultima parola spetta alla Sardegna”, come a dire Sull’eolico decidono i Sardi. E’ falso perché tutto l’iter autorizzativo è centralizzato esclusivamente sul suo ministero dell’ambiente e le competenze della Regione sono state totalmente bypassate a partire dal governo Draghi. Ad oggi nulla è cambiato, anzi la strategia del governo Meloni è quella di concentrare quanti più impianti possibili di energia rinnovabile da parte delle multinazionali in Sardegna e nel suo mare.

Tra tante falsità, un’affermazione del ministro è comunque vera: si farà la dorsale del metano!

Un ulteriore scempio ambientale antistorico e inutile, in sfregio al buon senso, ai reali bisogni energetici della Sardegna e a quella che pomposamente continua ad essere chiamato il processo di defossilizzazione energetica.

Pichetto Fratin ha fatto un giro in avanscoperta, una sorta di inviato speciale per valutare le reazioni dell’elettorato sardo dopo i cinque anni di giunta del leghista-sardo Solinas.

Mercoledì arriva il trio Meloni, Salvini e Tajani, certo per sostenere il fratello d’Italia Truzzu, e probabilmente si esibirà con un repertorio di canto da oratorio, tenendo però ben nascosta la prossima partitura, quella che conta davvero, quella del deposito nazionale delle scorie nucleari in Sardegna.

Ora, se si mette al primo punto questo macabro (si intende per la Sardegna) obiettivo del governo nazionale, anche la denominazione doc o docg del trio muta. Potremmo, per esempio, denominarlo il Trio della Morte e, giacché ci siamo, se aggiungiamo la quarta voce, ancorché ventriloquata, del candidato Truzzu, l’esibizione di mercoledì ventuno febbraio a Cagliari potrebbe essere ricordata come il canto de I quattro dell’Apocalisse.

Altro che canto delle sirene da cui si salvò l’astuto Ulisse!

Certo si dovrebbe fare come l’Odisseo, ma non credo che tale agire sia nelle corde dei sardi destrorsi convenuti a Cagliari per ascoltare le voci incantatrici!

Un vecchio racconto ci dice che le tre sirene incantatrici, Partenope, Leucosia e Ligea non essendo riuscite a fermare Ulisse si gettarono in mare. Per similitudine, non potremmo augurare lo stesso epilogo a questo trio nefasto che non può nemmeno vantare voci altrettanto belle?

Sicuramente e convintamente i candidati Chessa, Soru e Todde sono unanimemente contro l’ubicazione del deposito delle scorie nucleari in Sardegna, altrettanto non si può dire di Truzzu, ancorché abbia lo slogan più azzeccato, Nessuno slogan Solo Sardegna.

Ma non è questione di slogan, bensì di atti, fatti e intendimenti e, per carità di patria, lasciamo perdere la sciagura di questo ultimo anno del traffico di Cagliari che condiziona negativamente la vita e la mobilità di tutta la città metropolitana, ancorché ci sarebbe molto da dire.

La voce ventriloquata di Truzzu dice: “ Le scorie nucleari non arriveranno mai in Sardegna. E’ naturale che tra i siti possibili ci siano i poligoni militari, non si possono mica mettere sotto i parchi archeologici, ma intanto i sardi si sono espressi chiaramente, e poi nella norma c’è scritto che bisogna trasportarle con il minimo spostamento possibile, per una questione di sicurezza.

Inoltre adesso il governo aprirà alle candidature spontanee dei territori, e anche in questo caso ci sono diversi comuni in Italia che si sono già proposti per ospitare il deposito. Quindi le scorie non arriveranno mai in Sardegna”.

Data la premessa, Truzzu mette insieme alcune frasi per riaffermare la premessa medesima, compiendo strame della logica e mettendo insieme ad alcune affermazioni vere diverse affermazioni totalmente false.

Proviamo ad affrontare la questione che è cosa assai seria e dirimente per tutta la Sardegna.

Con gli ultimi cambiamenti normativi introdotti dal governo Meloni è entrato in gioco il Ministero della Difesa con i suoi poligoni militari che, guarda caso, stanno in Sardegna e non a Monte Citorio.

E’ vero, i sardi si sono espressi plebiscitariamente con il referendum del 2011 NoNucle dicendo un No forte alle ipotesi che allora volevano la Sardegna tra i luoghi destinatari del deposito delle scorie nucleari.

Prima del governo Meloni, il Ministero della Difesa non compariva in nessuno dei vari documenti tecnici e ipotesi di ubicazione del deposito da parte della Sogin SPA, la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, né di quelli predisposti da ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca e Ambientale. la Protezione
Contrariamente a quanto dice Truzzu, nessun Comune italiano ad oggi ha espresso una propria candidatura per ospitare il deposito nucleare.

L’unico comune che si è autocandidato per ospitare il deposito delle scorie nucleari è Trino Vercellese, già sede a suo tempo di una centrale nucleare per la produzione di energia elettrica.

Per essere più precisi, però, bisogna dire che l’autocandidatura è stata proposta direttamente dal Sindaco, senza nessun coinvolgimento della popolazione che è contrarissima a questa decisione, così come lo sono tutti i comuni limitrofi.

Quella del sindaco di Trino è una vera e propria follia, tanto più se si tiene conto che la stessa Sogin e l’ISPRA avevano escluso quei luoghi per problemi di natura ambientale legati alla presenza di una falda freatica molto alta, tanto è vero che quelle aree sono destinate alla coltivazione del riso.

In poche parole, l’ubicazione di Trino sulla riva sinistra del Po che ha costituito un prerequisito per la progettazione e realizzazione della centrale nucleare Enrico Fermi a suo tempo, è stata la causa principale di esclusione di quel sito dall’elenco dei comuni potenzialmente idonei.

Esclusione non decretata da un “comitatino del no” o da qualche gruppo ambientalista, ma dalle massime autorità italiane dedicate ad individuare e scrivere i criteri per l’idoneità dei siti: Sogin SPA e Ispra.

Infatti, da un punto di vista tecnico, il deposito va realizzato in luoghi totalmente asciutti che non presentino neanche indirettamente la possibilità di inquinamento della falda freatica e tanto meno di possibile allagamento.

Questo lo sanno tutti, anche i somari, solo i politici sgangherati fanno finta di niente.a

A questo punto nelle menti malate del governo tornerà la Sardegna perché si trova a 300 km dalla terraferma, il territorio asismico, è poco abitata, con abitanti litigiosi … e bla, bla, bla.

Soprattutto modificheranno ancora la legislazione dando la qualificazione del deposito delle scorie come “necessario alla sicurezza nazionale” per cui potrà e dovrà essere protetto dalle forze armate.

Da qui l’ubicazione probabile nell’altopiano di Quirra (PISQ) o nel poligono di Teulada.

Non solo, considerato che nei poligoni militari sardi si esercitano tutti i paesi della NATO, è facile prevedere che tale deposito “nazionale” diventi in seguito il deposito definito delle scorie nucleari di tutti i paesi della Nato o almeno di quelli europei.

Allora, guai a votare per la destra, visto cosa c’è dietro l’angolo!

Perché non ribellarsi come sardi, anche quelli di destra stavolta, giacché questa può essere solo una battaglia da vincere con una mobilitazione di tutta la popolazione sarda?

Domenica 25 febbraio rimandiamoli oltre mare e dato che nel trio della morte c’è uno che si occupa di ponti e grandi lavori, ci si chiede perché non si costruisce il deposito delle scorie nucleari sotto il palazzo di Montecitorio e palazzo Chigi?

Lo spazio sarebbe sufficiente, i suoi “amici del ponte” ringrazierebbero contenti e noi sardi potremmo dormire sonni tranquilli.

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I giovani raccontano: “Ecco perché siamo distanti dalla politica” (dal blog di Vito Biolchini)

by Redazione Scuola | 19/02/2024 19:19

di Andrea Olla (dal blog di Vito Biolchini)

Election Day

Andrea Olla ha diciotto anni e studia al liceo scientifico Pacinotti di Cagliari. Ha scritto al blog, ci siamo conosciuti e gli ho chiesto di intervistare i suoi coetanei in merito al rapporto tra giovani e politica. Il risultato è in questo post che mi sembra dia interessantissime indicazioni a noi adulti e a chi ha ruoli educativi diretti nella società. Grazie Andrea per il tuo contributo.

In vista di queste elezioni regionali emerge un problema impossibile da non vedere e che non riguarda un solo partito politico, né la politica intera, ma, purtroppo, riguarda tutti noi: i giovani sono distanti dalla politica. Molti di loro non sanno, molti non si interessano. Ho parlato con alcuni di loro per andare più a fondo e cercare di capire perché tra giovani e politica ci sia un tale distacco.

Eleonora, 19 anni, al primo anno di Biologia all’università di Cagliari, mi racconta che si sente irrilevante agli occhi della politica: ‘’Sono giovane, a chi interessa come la penso?’’. Lei si vede distante dalla classe politica, ma lascia aperta una speranza: “Se la politica si avvicinasse più alla scuola mi sentirei molto più coinvolta’’.

Parlo poi con Giuseppe, 18 anni, studente di quarta superiore del liceo scientifico Pacinotti di Cagliari e Alessandro, 20 anni, al secondo anno di Scienze politiche, due ragazzi che militano nella Lega. Mi dicono che si sono informati sui programmi tramite giornali e tv, oltre ad essere impegnati in prima persona nella campagna elettorale. Perle rare ai giorni nostri, tralasciando ogni comprensibile giudizio di merito.

Gli chiedo perché tra giovani e politica ci sia una distanza così ampia e mi rispondono che secondo loro questo “rapporto mancato” è causato soprattutto da una sfiducia degli adulti verso la politica, che poi si riflette poi sui più giovani. Quanto spesso si sentono, purtroppo, commenti di adulti che dicono “Sono tutti uguali”, o “Ma tanto sono tutti corrotti, rubano tutti”, riferendosi ai politici.

Giuseppe e Alessandro tengono a precisare però che non è dovere solo della politica andare verso i giovani, ma sono loro stessi che dovrebbero interessarsi del loro futuro, di cui saranno i protagonisti.

Chiara, 18 anni, in quinta superiore al Pacinotti, è di tutt’altra sponda politica. Chiacchierando con lei, le due parole che mi ha ripetuto di più sono state “social” e “scuola”. “I social sono lo strumento migliore e più adatto che la politica ha per arrivare ai giovani. Io mi sono informata così. E poi c’è la scuola, che potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nell’avvicinare giovani e politica, e che invece rimane ferma”.

Anche Nicola, 18 anni, in quinta superiore al liceo classico dell’istituto salesiano Don Bosco di Cagliari, mi dice la stessa cosa: ‘’In cinque anni di superiori ho sentito raramente parlare di attualità. Sentirei la politica più vicina se se ne parlasse, per esempio, anche nelle assemblee d’istituto’’.

Chiara e Nicola hanno ragione e i frutti di questa distanza si vedono proprio a scuola. Le assemblee d’istituto, per esempio, nate nel 1974 in un periodo di grande partecipazione studentesca alla politica, ora risultano vuote, perché addirittura considerate dalla maggior parte degli studenti come un giorno di vacanza.

Serve invertire questo trend. Giovani e politica devono fare un passo in avanti, del resto ne va del futuro della nostra società.

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Migrazione, una storia dimenticata (di Roberto Mirasola)

by Redazione Scuola | 17/02/2024 10:08

In questa campagna elettorale non si è parlato delle opportunità che si vengono a creare con d’immigrazione. L’immigrazione non è un problema di sicurezza come spesso lo si vuol far apparire e soprattutto non si affronta creando barriere all’ingresso che siano costruzioni di fantomatici muri o improbabili blocchi navali. Le guerre da noi, mondo occidentale fomentate, la povertà il più delle volte dovuta allo sfruttamento delle risorse dei paesi africani, inevitabilmente portano le persone a cercare un futuro migliore. Questo può essere considerato un reato? Assolutamente no.

Dobbiamo ritornare a potenziare gli strumenti volti a migliorare l’interazione fra le diverse culture, consapevoli che siamo un continente e un’isola a crescita zero e che l’immigrazione diventa a questo punto risorsa.

Risorsa importante nel mondo del lavoro perché il tasso di occupazione è aumentato nell’ultimo anno si per gli autoctoni che per gli stranieri. Intendiamoci occupazione aumentata con i pessimi contratti oggi esistenti in particolare i contratti a termine, ma questo è un altro discorso da affrontare in separata sede, vista l’importanza. Gli stranieri nel 2022 rappresentano il 10,3% dell’occupazione totale, dato riferito all’Italia, con la Sardegna che ha avuto una lieve diminuzione dell’occupazione migrante.

A questo punto potrebbe sorgere la ben nota obiezione: tolgono il lavoro agli Italiani e quindi ai Sardi. La verità è che i contratti riservati ai migranti sono i peggiori come anche il settore economico riserva loro i lavori manuali con bassa qualifica a fronte anche di lavoratori con un alto grado d’istruzione. Le professioni più richieste sono, infatti, collaboratrici domestiche, badanti, braccianti agricoli, manovali e saldatori, oltre alle piccole imprese impegnate nel settore della ristorazione.

Se ragioniamo per l’importanza che l’agricoltura dovrebbe rivestire in Sardegna con potenziale creazione di filiere ad alta produzione di qualità, non dovrebbe sfuggirci l’importanza di questi lavoratori. Il potenziamento del settore agricolo con i dovuti investimenti potrebbe essere importante anche per il contrasto allo spopolamento delle zone interne, accompagnato con la presenza di servizi come scuola e ospedali che possano rendere vivibile la vita delle persone anche al di fuori degli agglomerati urbani.

Infine bisogna fare un altro ragionamento, questa volta di civiltà. Aumenta, in Sardegna, il numero degli studenti stranieri di cui i nati in Italia è più che raddoppiato. Eppure noi non abbiamo ancora lo ius soli e dunque per avere la cittadinanza italiana chi nasce in Italia da genitori stranieri deve aspettare i 18 anni per sostenere un esame e avere finalmente la cittadinanza.

Non dobbiamo avere paura di fare i dovuti passi in avanti e riconoscere i diritti alle persone e non dobbiamo avere il timore di essere di fronte ad una presunta invasione. L’incidenza degli stranieri sul totale della popolazione residente è pari in Sardegna al solo 3,1%.

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Dopo la lettura del libro di Nadia Urbinati “L’ipocrisia virtuosa” Note a margine, in forma di dialogo (di Roberto Paracchini)

by Redazione Scuola | 07/02/2024 10:36

– Sei una stupida! stupida stupida!
– Ma…
– Ma, ma…, ma è mai possibile che non abbia ancora finito di leggere il libro!
– Ma sai che sono lenta…
– No, no, non usare alibi, è che tu non ti concentri quando fai le cose.
– ?
– Sì, sì, non ti concentri, se ti concentrassi di più mentre leggi, saresti senza dubbio più veloce, invece…, invece ti distrai in continuazione, in contemplazione, anche; e questo è il risultato: non leggi mai nei tempi stabiliti.
– Stabiliti?
– Sì, stabiliti, sai anche nella lettura ci sono dei tempi limite, superati i quali c’è qualcosa che non va. Quindi delle due l’una: o sei proprio stupida, o non ti impegni e ti lasci distrarre da qualunque cosa…
– No, non è vero.
– Ma almeno abbi il buon gusto di tacere
– Tacere?
Lui, lo sguardo torvo, quasi sbuffa.
Lei tace mordendosi il labbro per non piangere, aggrappandosi a un’immagine riapparsa di colpo dalle cianfrusaglie dei ricordi:
Un banco di legno nero leggermente inclinato con sopra un libro ostinatamente manipolato da due piccole mani e una flebile voce: sdruccio…, sdruccio-le… “Beh, continua, leggi, su, non ti distrarre!”, parole affiancate da un forte calore sulla schiena. “Dai, su, leggi!”. “Sdruccio-le…”. E un altro bruciore, come un morso, le aggredisce la schiena. Carla vede che la parola va a capo ma non riesce a leggerla completamente “sdruccio (…) le (…) vole”. E si sente in colpa perché non ha fatto felice la maestra. Solo il bruciore sulla schiena dovuto alle bacchettate della signora maestra, le sembra attenuare la sua colpa.
Ora Carla cessa di mordersi il labbro. Sì, leggevo male, avevo grosse difficoltà a mettere insieme le singole parole e in parte anche oggi si racconta tra sé e sé. Ma adesso quel “stupida!” reiterato riassesta i ricordi e lascia un sapore amaro in un turbinio di pensieri confusi e tanta voglia di reagire.
– Smettila, non vedi che mi fai male!
– Ma che dici, ti sto solo aiutando dicendoti la verità, che tu non ti impegni.
– Smettila, che cosa ne sai tu del mio impegno?
– Beh, se non finisci un libro…
– …, sarei distratta e priva di volontà di impegnarmi? Ma bravo, quindi tu sei il signor Sotutto. Allora dimmi, signor Sotutto, cronometro alla mano, dimmi quanto tempo ci si deve mettere per leggere un libro? Qual è il limite massimo di tempo oltre il quale si è trasandati, faciloni, incompetenti e stupidi? Su, dimmelo!
– Ma dai, adesso non te la prendere.
– E tu non offendere.
– Ti ho detto solo quel che pensavo…
– … dandomi della cretina solo perché non ho rispettato dei tempi che tu, signor Sotutto, hai stabilito.
– E che cosa avresti voluto, che non ti avessi detto quel che penso, perché, sai, ti informo che io sono una persona autentica!
– Autentica?
– Certamente.
– E di che cosa saresti autentico? Certo, sei pieno di autentici pregiudizi.
– Macchè pregiudizi! Io dico quel che penso!
– Ma bravo, e non ti curi di quello che possono provare gli altri, quando gli dici in faccia che sono stupidi?
– Ma non è questo il problema.
– Noo? Già, tu dici quello che pensi, ma senza tenere presente che quello che dici può offendere e non rispettare la persona con cui parli, che ti sta di fronte.
– Ripeto: dico quello che penso e che in questo caso condividono anche la maggior parte delle persone: che chi sa leggere perché ha studiato ma è lento, vuol dire che non si impegna, oppure che è stupido.
– Bravo, ma bravo… Dimenticavo che sei il signor Sotutto. Non hai mai sentito parlare di dislessia?
– E che cos’è?
– E’ un disturbo neurologico che non ha niente a che vedere con quella che tu chiami “stupidità”. La dislessia riguarda il modo in cui percepiamo-vediamo le forme e, quindi, anche la scrittura che ha anch’essa le sue forme.
– Beh, mi stai dando ragione, la questione delle forme dimostra che la persona dislessica ha difficoltà a capire quel che legge.
– No, signor Sotutto, come quasi tutti i presuntuosi, dimostri di essere anche molto ignorante. Il dislessico non ha difficoltà a capire quel che legge, ha semmai difficoltà a riconoscere le forme della scrittura, mentre una volta superata questa difficoltà, capisce benissimo quel che legge.
– Beh, questo vuol dire che c’è un problema.
– Ma non è una questione cognitiva, legata alla comprensione di quel che si sta facendo o, se preferisci, alla comprensione della realtà.
– Questo lo dici tu.
– No, lo afferma la storia di tantissime persone: anche Albert Einstein era dislessico, e pure Leonardo Da Vinci, Walt Disney, Agatha Christhie e molti molti altri, tutti dislessici eppure…
– Va beh, va beh. E tutto questo discorso me lo stai facendo perché ti ho detto che leggi troppo lentamente?
– No, ti faccio questo discorso perché il tuo modo di parlare offende e umilia la persona a cui ti rivolgi, come hai fatto con me. Il tuo modo di parlare non tiene conto di almeno due importanti questioni: il contesto in cui si dicono le cose, che comprende anche la sensibilità della persona a cui ti rivolgi, e la possibilità di avere torto nel merito.
– E questo che vuol dire?
– Che un “stupida!” detto in un contesto di gioco ha un significato; tutt’altro invece se affermato in una discussione seria. Poi, mio caro Sotutto, visto che il mondo è complesso, sarebbe meglio se limitassimo le affermazioni perentorie e assertive a favore di un po’ di prudenza.
– Insomma, mi stai dicendo che non devo essere quello che sono, che non devo essere autentico.
– No, ti sto dicendo un’altra cosa, che rispettare colei o colui che ti sta di fronte, o con cui parli, significa rispettare i suoi ma anche i tuoi diritti: la nostra “comune libertà di scegliere di vivere come desideriamo, nel rispetto reciproco”, come scrive Nadia Urbinati (docente di teoria politica alla Columbia University di New York) nel bel libro L’ipocrisia virtuosa.
– Beh, quindi confermi anche tu che è mio diritto essere sincero dicendo quel che penso…
– Ma mi ascolti? Ovvio che è un tuo diritto, ma nel rispetto reciproco.
– E ci risiamo.
– Vedi tu, prima mi hai dato della cretina.
– Tu, però, sei permalosa.
– Ma come ti saresti sentito se poco fa al posto di spiegarti in modo pacato che cos’è la dislessia, ti avessi apostrofato come “grande stronzo” e aggiunto: “Stai zitto e studia prima di aprire la bocca solo per farle prendere aria”?
– Beh, mi sarei sentito certamente offeso e non libero di manifestare il mio pensiero.
– Appunto, e questo ti dice che “dal rispetto reciproco scaturisce la tranquillità di cui abbiamo bisogno per sentirci liberi”, come sottolinea Urbinati.
– In questo modo, però, si sentono liberi gli altri e non io, né tanti altri che come me non possono più dire quello che pensano.
– Ma se al tuo precedente epiteto di “cretina!” rivolto a me, io ti avessi risposto come avresti meritato con “viscido maschilista, se hai il coraggio guardati allo specchio, resteresti stupito della tua stessa stupidità per quanto grande è la tua ignoranza e intolleranza”, tu che avresti risposto? Probabilmente mi avresti lanciato con un altro insulto.
– Ci puoi contare.
– Vedi bene anche tu che in questo modo la nostra reciproca comunicazione si sarebbe di lì a poco interrotta.
– Ovviamente… Però, al tempo, in questo modo mi stai dicendo che devo essere ipocrita, non dire quello che penso: dire menzogne, seppure per non offendere.
– Per niente, non ti sto certo dicendo che devi dire menzogne in modo sistematico…
– No, no, ora ho capito: vuoi portarmi sul terreno del politicamente corretto.
– Non essere precipitoso, altrimenti precipiti di nuovo.
– Cioè?
– Sì, rischi di precipitare inciampando sulla tua presunzione, su ciò che presumi che io dica, mentre non l’ho detto.
Lui la guarda perplesso come chi si aspetta una trappola.
– Beh, allora dillo.
– Prima abbiamo parlato dell’importanza della tranquillità per sentirci liberi.
– Esatto.
– E abbiamo anche accennato al fatto che se io avessi risposto per le rime al tuo epiteto “cretina!”, avremmo probabilmente continuato in un crescendo di ingiurie, di certo non in una discussione serena; e in poco tempo saremmo giunti a un punto morto in cui la comunicazione tra noi si sarebbe interrotta.
– Quindi?
– Quindi ci saremmo impediti un importante diritto, quello di poterci parlare e di poterci scambiare le nostre opinioni.
– E ora dove vuoi andare a parare?
– Se me lo permetti vorrei fare un passo in più e dire, con l’aiuto delle parole di Urbinati, “che i diritti hanno due facce: una è rivolta verso i destinatari della nostra possibile intolleranza e l’altra è rivolta verso di noi”.
– Che cosa vorresti dire?
– Posto che noi due abbiamo il diritto di poterci reciprocamente parlare, se io avessi reagito in modo immediato e piccato, diciamo pure non tollerando il (intollerante al) tuo modo irriguardoso di parlarmi, come in un primo momento ho pensato di fare, ora non saremmo qui a dialogare ma a litigare e insultarci.
– Però ancora non capisco che cosa voglia dire.
– Che, come già esposto, ci saremmo privati di un diritto, quello di poterci tranquillamente parlare, con la possibilità di arricchirci grazie a una dialettica pacata sulle nostre opinioni.
– In effetti…
– Invece dialogando, nel senso etimologico di farci attraversare dalle parole, siamo arrivati a una consapevolezza importante sui diritti o, meglio, sulle loro due facce: una rivolta verso gli altri e l’altra verso noi stessi; e questione ugualmente rilevante: abbiamo capito che i diritti sono tali, funzionano potremmo dire, solo se tutti, noi e gli altri, possono usufruirne. Per dirla con Urbinati i diritti “designano relazioni di reciproco dare e ricevere, di comunicazione e scambio”.
– Allora diciamola tutta. Siamo arrivati a questo punto, a un dialogo di scambio, solo perché tu ti sei morsa la lingua per non rispondermi per le rime, come forse avrei meritato, quando ti ho dato della “cretina”.
– Sì, ma quando ho deciso di non mandarti a quel paese, l’ho fatto perché ho pensato che tu fossi come ingabbiato in una serie di pregiudizi sbagliati sulla lettura, oltre che da un sottofondo maschilista, forse inconscio ma non meno feroce, perché non sono affatto sicura che avresti dato del “cretino!” a un uomo…
– Beh…, sinceramente non lo so, ma forse hai ragione tu. Mi scuso…
– Direi che quando ho scelto di non mandarti a quel paese, in un tempo rapidissimo mi sono venute in mente tante cose. Ha prevalso l’idea che avrei potuto mettere da parte quello che avevo pensato di te in quel momento per tentare un’altra strada, certo non remissiva ma pacata e rigorosa, cercando e sperando di spostare il nostro dialogo su una postura non patologica, di offesa e sofferenza, ma “di dare e ricevere” paritario.
– D’accordo, nelle tue argomentazioni mi sembra ci sia anche l’auspicio all’autocontrollo.
– Sì, in quanto noi tutti siamo diversi e nello stesso tempo viviamo assieme agli altri e di loro abbiamo bisogno proprio per vivere. Da qui la necessità di accettare e comprendere che esiste un mondo di pensieri e comportamenti diversi dal nostro.
– E se questo diverso dal tuo modo di vivere ti dà, come dire, fastidio, dobbiamo esercitare l’autocontrollo e controllare le nostre reazioni di pelle?
– Anche, ma l’autocontrollo non è tanto una questione “di pelle”, come dici tu ma, come fa capire bene Urbinati, un intreccio razionalmente consapevole tra il nostro modo di essere e di manifestare i nostri bisogni, e il modo di essere degli altri. Altri che molto spesso, come abbiamo visto, hanno modi di pensare e fare differenti dai nostri. E con cui, continuamente, dobbiamo relazionarci.
– Quindi?
– Penso sia importante capire che questo tipo di autocontrollo non è solo un comportamento educato, urbano direi (il che non fa mai male) ma anche una postura importante del pensiero che permetta di avere uno scambio proficuo per e tra tutti perché evita le offese. Offese, oggetti contundenti che possiamo definire veri e propri muri cognitivi che bloccano la comprensione reciproca. E impediscono il dialogo, mentre è proprio a quest’ultimo, all’arte del farci attraversare dalle parole, di accoglierle che dobbiamo tendere se si vuole contribuire, pure col nostro piccolo granello di sabbia, al miglioramento dei rapporti sociali.

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No alla violazione della Costituzione nel Giorno della Memoria. Le manifestazioni pro palestinesi non possono essere vietate (di Andrea Pubusa)

by Redazione Scuola | 27/01/2024 10:05

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La Giornata della Memoria è sacra per tutti i democratici e le persone per bene. Dobbiamo unirci, ricordare, affinchè un crimine così efferato e ingiustificato come la Shoah non abbia mai più a verificarsi. Occorre mobilitarsi ed essere vigili perchè non si diffonda un odio antisemita e antirazziale in genere. Del resto, la nostra Costituzione pone al centro la persona, senza distinzioni, per il solo fatto di esistere. Chi si colloca nell’ambito della Costituzione non può essere razzista. Non solo, ma chi chiede che si smetta la macelleria sui palestinesi non fa altro che dare applicazione ai principi costituzionali ad inverarli qui ed oggi. Siamo contro la macelleria e la devastanzione in ogni luogo e per la pace sempre.
Lo siamo anche per i palestinesi. Come fa dunque la Comunità ebraica italiana a chiedere il divieto delle manifestazioni pro-palestinesi nel Giorno della Memoria? E come fa il Ministro degli interni a diramare una circolare in cui invita i Questori a valutare la possibilità del divieto, senza leggere l’art. 17 Cost.? Il Ministro evoca una possibile svalutazione della Giornata, istituita con legge. Richiama le delibere dell’ONU. Sennonchè la Carta ammette il divieto della manifestazione solo nel caso sussistano “comprovati motivi di incolumità e sicurezza pubblica“, “comprovati“, cioè ragioni basate su accadimenti acclarati e indiscutibili. Neppure la Comunità ebraica invoca questi fatti per chiedere il divieto, richiama un preteso e tutto soggettivo antisemitismo. Siamo in piena, flagrante violazione dell’art. 17 Cost. E se cade o si allenta il rigoroso rispetto della Legge fondamentale, nessuno può sentirsi tranquillo, neanche e tantomeno gli ebrei.

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L’importanza di una coalizione (di Roberto Mirasola)

by Redazione Scuola | 03/01/2024 10:55

Le dichiarazioni di Soru non possono che lasciare sbigottiti. Soru senza nessuna remora afferma che i cinque stelle sono di destra e a sostegno di questa tesi ricorda che la prima volta che i cinque stelle sono andati al governo l’hanno fatto con Salvini. Siamo rimasti, di fatto al giugno 2018 e da lì non ci siamo più spostati. La realtà però non è quella che si vuole descrivere, ma un’altra. È un dato di fatto, sotto gli occhi di tutti, l’evoluzione in positivo del movimento che ha governato, e bene con il PD, Leu e Italia Viva nel Conte 2. La verità, è che ci sia una precisa volontà politica che non voglia riconoscere questo dato di fatto per motivi ben precisi, che cercheremo di spiegare facendo un salto nel passato.

La crisi del governo Conte bis è stata determinata da Matteo Renzi, leader di Italia Viva, con le dimissioni delle Ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti. Renzi ha sempre ostacolato i cinque stelle e lo ha fatto con motivi ben precisi. Non dobbiamo dimenticare la riforma Costituzionale Renzi-Boschi che ha visto come forti oppositori proprio i cinque stelle, mentre il PD allora guidato dallo stesso Renzi muoveva un pericoloso attacco alla Costituzione. Attacco certamente non casuale se leggiamo il famoso documento datato 2013 della banca d’affari statunitense JP Morgan, che qui riportiamo : “ I sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l’integrazione. C’è forte influenza delle idee socialiste”. E cita, tra gli aspetti problematici, la tutela garantita ai diritti dei lavoratori. Il 4 dicembre 2016 la riforma fu bocciata dai cittadini con un referendum, ma per i diritti dei lavoratori poco si è potuto fare vista la riforma Renziana del Jobs Act. Non dimentichiamo, poi, i rapporti tra politica e banche che vide il suo apice nel caso banca Etruria. Una visione di mondo ben precisa, che non si preoccupa delle diseguaglianze ma che fa l’occhiolino con l’altra finanza. Visione condivisa da Renato Soru esponente di spicco del Renzismo.

Chiaro che oggi si ostacoli in Sardegna l’unico progetto alternativo alla destra che ha idee opposte agli eventi prima riportati. Il PD oggi è guidato dalla Schlein che parla di lotta per il salario minimo, di lotta alla diseguaglianze, i cinque stelle sono oggi guidati da Conte e non da Di Maio hanno introdotto come sappiamo il reddito di cittadinanza, unico strumento oggi conosciuto per la lotta alla povertà, i movimenti e le associazioni democratiche, progressiste, socialiste, cattoliche si riconoscono da sempre nei valori dell’antifascismo e della Costituzione, mentre i movimenti indipendentisti hanno compreso che insieme si può lavorare per migliorare le condizioni della Sardegna.

Soru che ha condiviso la riforma Renzi Boschi, il Jobs act, il Mater Olbia in Sardegna e via dicendo non può certo riconoscersi in questo schieramento e dunque l’ostacola auspicando una sua sconfitta che metterebbe, guarda caso, in difficoltà la neosegretaria del PD mentore del campo largo.

Come si vede un disegno nostalgico che ha come antagonista non la destra ma il rinnovamento democratico e progressista che invece vuole voltare pagina con il passato.

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Agitoriu, aiuto! La sinistra sarda è implosa (di Andrea Pubusa)

by Redazione Scuola | 27/12/2023 11:11

Parliamoci chiaro, fuori dai denti! In tutta franchezza in Sardegna la sinistra è implosa. Boom! Mille pezzi! Tanti cocci, nessuna possibilità di ricomposizione, tutto l’opposto di quanto necessario in questo momento. Ci prepariamo alle elezioni regionali. Chi vuol vincere deve puntare all’unità. E l’unità – si sa – richiede una buona capacità e disponibilità al confronto e al dialogo, rispetto. Occorre responsabilità, tenendo conto dell’interesse generale. Basta scorrere la stampa regionale per capire quali sono i temi fondamentali, sanità, scuola, lavoro, ambiente, basi militari, rivisitazione dello Statuto o, meglio, farne uno nuovo, e altro ancora. Di fronte a questa situazione devastata il centrodestra lascia un’eredità disastrosa, ma onestamente – danni non secondari ha provocato anche il centrosinistra.
Ora di fronte a tutto questo occorre anzitutto una riflessione collettiva in vista di un progetto organico e di prospettiva. In un lavoro programmatico c’è ampio spazio per quanti vogliono usare il cervello, badando ai problemi collettivi e non a se stessi. Ma ecco qui il primo ostacolo. Moltissimi nella c.d. Sinistra guardano a se stessi, pensano alla loro collocazione in vista di buscare un seggio. Sorgono così smisuratamente associazioni di vario nome, tutte in fondo prive di proposta programmatica e incentrate sul “leader” promotore alla caccia dell’elezione. Si vedono così uno stuolo di sigle senza seguito fare da codazzo a questo o a quel candidato alla presidenza della Regione, senza alcuna giustificazione generale. In questo contesto è stata creata una contrapposizione da Soru verso la Todde col pretesto della modalità di scelta del candidato alla presidenza. Si tratta di un pretesto perché il vero obiettivo è stato quello di mettere fuori gioco la Todde. Ma questa è una candidata impresentabile? Guardando le cose con razionalità e pacatezza la risposta è negativa. Anzitutto è una donna, è una persona di valore, è mite, garbata, rispettosa ed è fuori dai giochi che hanno diviso, sfasciandolo, negli ultimi due decenni il centrosinistra sardo. E’ una persona che chiude una pagina triste e ne apre una nuova. E dio solo sa quanto questa svolta sia necessaria. Inoltre fa parte di un movimento, che – al di là della follia dei singoli – ha introdotto o reintrodotto in Italia alcuni obiettivi propri della sinistra, la questione morale, l’attenzione verso i ceti subalterni, la difesa dell’ambiente, la pace. Insomma, è una candidata che, senza pregiudizi, rientra bene nel perimetro democratico. Ecco perché l’entrata a gamba tesa di Soru pare smodata e fuori luogo. Mister Tiscali ben poteva avanzare le sue perplessità sulle modalità di scelta, ma non doveva opporre la sua candidatura, che, essendo autocandidatura, è sempre meno democratica di una scelta formulata da altri. Soru, per il ruolo che ha avuto, ben poteva far valere le sue indicazioni programmatiche in seno al suo partito, il PD, e al centrosinistra. E sarebbe stato ascoltato. Le sue idee avrebbero avuto modo di affermarsi ben di più di quanto lo saranno dall’opposizione.
Poi c’è l’accordo di Conte e Schlein sul nome della Todde. Si decide a Roma, anziche’ in Sardegna!, protesta Soru. Ma ricordiamoci che l”unità a livello nazionale è fondamentale per battere la destra, o ci siamo dimenticati che Letta ha regalato alla Meloni la vittoria senza combattere, rifiutando l’alleanza con i 5 stelle? Ogni incremento di unità nel centrosinistra va accolto con favore, se non si vuol lasciare il governo alle destre.
Ora però il patatrac è fatto. Il centrosinistra si presenta alle elezioni regionali diviso. Risultato? Facilmente prevedibile. Tragico. Ci saranno 5 lunghi anni fuori da viale Trento per meditare e, forse, rimediare. Ma per ora dalle nostre parti non si vedono riunificatori o federatori.
E guardate cosa sta succedendo nel mondo. Agitoriu! Aiuto|

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