La destra e il reato universale (di Rosamaria Maggio)

by Redazione Scuola | 24/05/2023 21:52

Oggi con la maternità surrogata, qualche tempo fa con il soccorso in mare, la destra ha introdotto nel dibattito politico il tema dei reati universali, cioè quei reati considerati dal Governo così gravi da dover essere puniti ovunque vengano commessi.

Più precisamente la Presidente del Consiglio ha affermato, presentando il nuovo decreto in tema di immigrazione dopo la tragedia di Cutro, che “l’Italia avrebbe cercato gli scafisti in tutto il globo terracqueo”. Oggi si parla di un disegno di legge che punisca la maternità surrogata ovunque e comunque realizzata.

Ora se è vero che per parlare di reato occorrono elementi soggettivi (dolo o colpa) e oggettivi (fatto e nesso di causalità), è essenziale che il reato sia commesso in un luogo in cui lo Stato è tale e cioè esercita la sua sovranità. E tale non è il “globo terracqueo”, ma solo quel territorio entro i nostri confini terracquei e aggiungerei aerei, ma solo quelli.

Ciò detto, un cittadino si chiede: ma questi nostri politici al Governo mancano davvero dei fondamentali?

Sono da decenni parlamentari, hanno presentato leggi, le hanno studiate. Fra di loro ci sono giuristi, La Russa, Valditara, Bernini, solo per fare alcuni nomi, e inoltre nelle due Camere, i parlamentari sono assistiti da uffici di specialisti (i referendari), che certamente di fronte a ogni disegno di legge presentano le loro analisi tecniche e pertanto avranno sicuramente presentato e presenteranno le osservazioni elementari suesposte che, se persistessero, renderebbero le leggi in questione incostituzionali.

Perché insistere quindi?

È chiaro che non penso che siano inconsapevoli dei loro errori “grossolani”, né che siano ”ignoranti”.

Penso invece che si tratti di scelte consapevoli, di una comunicazione al paese, voluta, che tende a creare un racconto che i più, i cittadini più fragili e non in grado di valutare tecnicamente, accoglieranno con plauso.

Finalmente un Governo che fa leggi che saranno rispettate ovunque!

Poi certamente queste leggi saranno dichiarate incostituzionali e potranno essere fatte valere in Italia, (ma quei comportamenti sono già vietati dalle attuali leggi, vedi maternità surrogata vietata dalla l.40/04), ma rimarrà impressa nella memoria collettiva il divieto universale e la volontà governativa repressiva di tutto ciò che non coincide con la morale di stato condivisa dai più.

I temi etici, che comportano la necessità che vengano normate alcune situazioni che coinvolgano diritti di altri, non debbono però impedire al singolo di fare scelte, anche non condivise, che in modo innocuo attengono alla sua sfera di valori e di diritti.

Questo è un paese in cui si è giunti al divorzio con fatica, dove il diritto all’aborto è sempre sotto attacco, (confinare con il Vaticano non è ininfluente), dove la maternità assistita è stata regolata solo nel 2004 e in modo alquanto restrittivo (in relazione agli altri paesi avanzati, europei e non).

Non basta avere una Presidente del Consiglio donna, perché i diritti delle donne siano tutelati. Anzi i diritti delle donne, dei bambini, degli anziani, dei più deboli sono sempre sotto attacco.

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Tatarstan: Kazan Forum, si rafforza l’asse tra la Russia e i Paesi musulmani (di Matteo Meloni da Eastwest.eu)

by Redazione Scuola | 20/05/2023 11:56

Si è conclusa ieri la 14ª edizione del Kazan Forum, organizzata da Mosca nel Tatarstan e rivolta all’incontro con i Paesi musulmani. La Federazione apre sempre più al mondo musulmano per questioni di natura geopolitica e per la situazione interna al Paese, che ospita tra i 12 e i 15 milioni di fedeli appartenenti alla religione islamica.

Mentre i media occidentali focalizzano l’attenzione sul G7 di Hiroshima, in Giappone, che vedrà anche la partecipazione del Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky — con attesi nuovi annunci di sanzioni alla Federazione —, negli stessi giorni si svolgono altri due importanti eventi, di rilievo nel quadro geopolitico eurasiatico, che offrono suggerimenti sulle strategie sia della Russia che della Cina per i prossimi anni. Infatti, Mosca ha organizzato nel Tatarstan la 14ª edizione del Kazan Forum, rivolto all’incontro con i Paesi musulmani, mentre Pechino la due giorni del China-Central Asia Summit nella città di Xi’an.

Per la Russia, il forum rappresenta un’occasione unica di rafforzamento del legame con numerosi attori statuali quali Turchia, Malesia, Indonesia, e Azerbaigian, “una conferma delle direttrici della strategia in politica estera del Cremlino, con il desiderio di creare un ordine multipolare”, spiega in esclusiva per eastwest Giuliano Bifolchi, Research Manager di SpecialEurasia. “La Russia mira ad estendere la sua presenza nel sudest asiatico, quarto motore industriale mondiale, ma non solo: Mosca continua le storiche relazioni con Baku e Ankara, confermando l’Egitto come partner strategico in ottica nord africana. Inoltre — prosegue il ricercatore — rafforza il dialogo con l’Uzbekistan per riaffermare la volontà d’essere attore principale in Asia Centrale, nel contrasto sia alle strategie occidentali ma anche l’ascesa della Cina”.

Una panoramica dall’alto valore aggiunto che permette di comprendere meglio la diversificata posizione della Russia. L’invasione dell’Ucraina ha creato un solco difficilmente sanabile con Unione Europea, Stati Uniti e alleati, spingendo Mosca alla ricerca di mercati alternativi che, d’altro canto, rappresentano il cuore pulsante dell’economia degli anni a venire. Allo stesso tempo, la Federazione apre sempre più al mondo musulmano, sia per questioni di natura geopolitica che per la situazione interna al Paese, che ospita (stima al ribasso) tra i 12 e i 15 milioni di fedeli appartenenti alla religione islamica.

“Dal primo febbraio 2023 il Governo russo ha lanciato un progetto pilota per Cecenia, Dagestan, Tatarstan e Bashkortostan, repubbliche a maggioranza musulmana, per testare la possibilità di istituire banche islamiche in quelle regioni”, sottolinea Bifolchi. “La finanza islamica è in crescita esponenziale sui mercati internazionali: attraverso i prodotti finanziari, la Russia può attrarre nuovi investitori”. La matrice musulmana è di fondamentale importanza nel quadro della politica interna ed estera della Federazione: al Forum, infatti, partecipano 57 nazioni dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica. Istituzione presso la quale il Presidente Vladimir Putin tenne nel lontano 2003 un intervento, prima volta che un capo di Stato di un Paese non a maggioranza musulmana fu invitato a parlare a un meeting dell’OIC.

All’evento di Kazan quest’anno è prevista la partecipazione di oltre 7000 persone provenienti da 85 nazioni, insieme alle 45 missioni diplomatiche e a 37 tra ambasciatori e plenipotenziari. “Abbiamo registrato il record di esponenti ospiti”, ha dichiarato Maxim Denisov, esponente dell’organizzazione. Per Taliya Minullina, a capo dell’agenzia per lo sviluppo degli investimenti del Tatarstan, i numeri “dimostrano la proiezione internazionale del Forum, una piattaforma aperta attorno alla quale cresce sempre più interesse”.

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Autonomie, autogoverno e federalismo nell’autunno della democrazia italiana (di Fernando Codonesu)

by Redazione Scuola | 16/05/2023 19:49

Oggi chi è il sovrano e dove sta la sovranità?

Da tempo si parla giustamente di inverno della natalità in Italia con tutto quel che ne consegue.
Inverno demografico, si dice. E fa rima con un’altra espressione altrettanto pesante e foriera di implicazioni: l’autunno democratico.
Qualcuno dirà Non siamo all’inverno, ma ci stiamo comunque arrivando a grandi passi.
La letteratura un po’ ci aiuta.
Una volta era L’inverno del nostro scontento.
Poi il grande scrittore portoghese José Saramago ha rappresentato il nostro presente elettorale nel rapporto perverso con il potere con i due romanzi Saggio sulla lucidità e Cecità ai quali rimando, con un racconto incentrato sul grande complotto delle “schede bianche”, quale metafora del voto negli stati cosiddetti moderni del nostro tempo.
Ma la realtà odierna, non la finzione letteraria, anche se molto somigliante con la realtà fattuale, è ben peggiore se leggiamo con la dovuta attenzione i dati dell’affluenza ai seggi nelle elezioni del 14/15 maggio.
No, nessun complotto delle schede bianche, da tempo semplicemente e ben più gravemente non si vota proprio: non ci si crede più.
Una demografia calante al punto che si parla di irreversibilità del processo, a meno di auspicabili forti flussi immigratori governati da processi e procedure legali e sicure, tutt’altro che all’orizzonte prossimo venturo, o grandi piani di sostegno alle famiglie, a partire dal lavoro per i giovani e dalla presenza di tutti i servizi necessari per poter mettere su casa e famiglia ad ogni latitudine del nostro paese.
Meno indagata, appunto, se non in qualche rivista e circolo strettamente specialistico, la questione della democrazia e della sovranità ai vari livelli rappresentativi della volontà popolare, ad iniziare da quello più alto, lo Stato, in un periodo ormai ventennale di progressiva sfiducia e disaffezione della partecipazione al voto.
E’ così, è un dato di fatto, in Italia sono di più le persone che non votano per svariate ragioni.
Innanzitutto sicuramente c’è l’impossibilità di scelta dei propri rappresentanti in quanto i candidati sono sempre oggetto di trattativa e scelta degli oligarchi – qualcuno li chiama anche capi bastone – dei vari partiti e raggruppamenti in campo.
Il voto non è più qui, è altrove. Parafrasando il Pascoli potrei dire: io Non vivo altrove e sento che intorno … Non sono nate le viole, e chissà quando rinasceranno.
Il perché è tremendamente semplice.
Nessuna scelta trasparente e diretta dei candidati da parte della cittadinanza.
Perché un elettore dovrebbe ratificare scelte effettuate nelle segrete stanze, frutto di alchimie e mirate sempre ad interessi di gruppo o di parte, ben lontane dal rappresentare il bene pubblico?
E i partiti, quelli attuali, non pare che rispondano proprio a quanto previsto dall’art. 49 della Costituzione nella misura in cui da 30 anni a questa parte sembra che disputino tra loro più per allontanare i cittadini dalla partecipazione, facendo venir meno la base stessa della democrazia e della sovranità all’interno di questo sistema, e aprendo le porte agli interessi lobbistici e di parte in quanto privi del finanziamento pubblico, a seguito del grande scandalo sistemico dovuto alla corruzione, reso pubblico all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso.
E quando siamo stati chiamati a votare per qualche referendum, come quello sulle province, quegli stessi partiti proponenti la loro abolizione le hanno riportate in vita: da enti morti a enti risorti!
Quando si impegnano i partiti fanno miracoli.
O come l’altro sul nucleare da fissione, ora di ritorno perché ribattezzato di quarta generazione con la benedizione della Commissione europea, ancorché nel nome dell’interesse della Francia.
E noi a seguire in processione ed aspettare la benedizione dell’officiante romano di turno al di qua del Tevere, diciamo pure di stanza a Palazzo Chigi, giacché l’altro, quello sì serio e grande, non c’entra nulla con queste scelte e se potesse, agli sciagurati che hanno riproposto il nucleare e gli altri combustibili fossili, gli darebbe pure un gran ceffone avendone ben scritto nella Laudato si’.
E sulle elezioni, non si vota più non solo alle politiche ma anche nelle comunali, quelle più vicine alle esigenze dei cittadini. Eh, già, quelle che qualcuno vorrebbe traslare direttamente sulla scala nazionale con l’elezione del cosiddetto Sindaco d’Italia nel nome della stabilità dell’azione di governo.
Da quando c’è l’elezione diretta del Sindaco ad oggi vi è stato un calo di votanti fino al 20%. Nel 1993 aveva votato il 79% degli aventi diritto al voto, il 14/15 maggio ha votato il 59%.
Il partito del non voto era al 21%, oggi è oltre il 40%.
E’ vero, l’elezione diretta del Sindaco dà stabilità all’amministrazione comunale, ma allo stesso tempo, e questo non può essere accettato, vanifica, mortifica, rende irrilevante e annulla il ruolo dell’opposizione.
Il Sindaco vincente prende tutto, anche il banco!
I numeri relativi alle elezioni politiche e ai referendum sono ancora più gravi e impietosi.
Il partito del Non voto, che semplicisticamente viene chiamato dell’astensione, costituito però da cittadini che coscientemente scelgono di non votare, nel nostro paese è il più grande da circa tre decenni.
Peraltro, ogni meccanismo elettorale che prevede un premio di maggioranza, come quelli previsti dall’attuale legge elettorale nazionale, quella della regione Sardegna e prima ancora quelle comunali relativizzano il peso del voto: non siamo più uguali. Il valore del voto del singolo cittadino al raggruppamento che diventa maggioranza è più alto di quello dato al raggruppamento di minoranza.
Un controsenso se si ragiona sull’art. 3 della Costituzione: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. …”.
Da tempo il voto non è più uguale e anche sulla qualificazione di “libero” ci sarebbe molto da dire, ma questo esula dallo scopo di questo articolo.
Ci sono ovviamente anche altre motivazioni che hanno allontanato la cittadinanza dal voto, ma le ragioni più squisitamente politiche sono quelle appena delineate.
Ma cosa comporta tutto questo come riflesso sulla sovranità?
Dal mio punto di vista, moltissimo.
Se è vero, come è vero, che per la Costituzione italiana la sovranità non è più nel (del) sovrano ma è nel (del) popolo costituente e che il popolo è costituente nel momento in cui si esprime con il voto eleggendo i propri rappresentanti ai diversi livelli, allora le elezioni rappresentano il termometro e il termostato della democrazia italiana. Allora il fatto che il risultato ultimo sia che da tempo si viene eletti da “una minoranza” conduce alla ratifica di un fatto singolare: c’è una minoranza che governa lo Stato o che amministra la Regione, il Comune e gli altri ambiti di rappresentanza nei quali si esplica la sovranità popolare.
Si, sono totalmente d’accordo sul fatto che la sovranità sia insita nella rappresentanza, allora da un punto di vista logico, non me ne vorranno i giuristi, più che di popolo sovrano dovremmo essere più rigorosi perché dovremmo parlare di “cittadini sovrani”.
Già, perché anche su questo punto bisogna mettersi d’accordo.
Se la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato (art. 114 Cost., come modificato dalla legge 3 del 2001), la deduzione è semplice: la sovranità è in capo allo Stato nel rapporto con gli altri Stati, è in capo a tutti gli altri Enti nei rapporti interni e nelle relazioni tra Stato ed Enti Locali.
A me pare che con questo articolo finalmente la Costituzione riconosce che le autonomie locali sono “enti esponenziali delle comunità territoriali di riferimento”, come si ama dire in linguaggio giuridico-costituzionale. E da qui deriva anche che per poter esprimere a pieno il proprio ruolo le autonomie locali devono realizzare l’autodeterminazione su alcune materie che non possono essere più gestite concorrenzialmente con lo Stato. Il principio di autodeterminazione delle autonomie locali si realizza all’interno della repubblica una e indivisibile, diciamo pure all’interno dell’ordinamento, con quello che è chiamato autogoverno.
Infatti, bisogna interrogarsi sul punto perché da un lato si è fatto un significativo passo avanti con l’art. 114 e con la giurisdizione sul regionalismo a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, ma se si guarda al contenzioso tra Regioni/Stato sulle tante materie di intervento governativo in questi decenni a partire dall’energia (concorrente) e finire con l’urbanistica (solo regionale), l’intervento del legislatore statale, poi prontamente ratificato dalla Corte (le eccezioni non fanno la regola) è sempre stato quello di un ridimensionamento del diritto regionale, per certi aspetti facendo venire meno l’ispirazione di fondo della Carta basata sulle autonomie locali e specificatamente sulle regioni, in analogia con la costituzione spagnola, unico altro modello simile in Europa.
Per esempio il diritto regionale sull’urbanistica, che è materia esclusivamente regionale, è comunque compresso e limitato anche con maglie estremamente strette perché tocca aspetti del Governo del territorio (concorrente), dell’Ambiente (Stato), del Paesaggio (la tutela è dello Stato, la fruizione e gestione pur regionali sono concorrenti di fatto), i Trasporti (concorrenti), ecc.
Anche su questo punto allora vale quanto detto prima, se vota una minoranza, la maggioranza che deriva da questa minoranza di votanti mina il principio sostanziale su cui si regge l’ordinamento repubblicano e la rappresentazione della sovranità popolare, o quanto meno lo mette in grave pregiudizio.
Infatti, nel costituzionalismo è ampiamente riconosciuto che il popolo è costituente se vale il “principio di maggioranza nella rappresentanza”.
Il principio di maggioranza presuppone che proprio la maggioranza dei cittadini “sovrani” e quindi “liberi” si esprimano nel voto: solo in questo caso diventano costituenti e dal mio punto di vista si può parlare per estensione di “popolo sovrano”.
Non mi pare che sia accettato o pensato nel diritto costituzionale, ma se lo fosse un’impostazione di tale tipo andrebbe velocemente cambiata, che sia una minoranza ad essere riconosciuta come popolo costituente.
Considerato che il principio di maggioranza non c’è più, di cosa parliamo?
Il fatto che la partecipazione o meno sia frutto di libera scelta dal parte del cittadino non ci deve trarre in inganno: il grande partito dell’astensione non partecipa al voto perché per le motivazioni già espresse ne è dimostrata da tempo l’inutilità.
La nostra, mi vien da dire quella di gran parte dei paesi occidentali ad incominciare dagli USA, è ancora democrazia o possiamo parlare di post democrazia, democratura (pur senza oligarchi alla russa), regime di una minoranza “legittimata” comunque dal voto?
Insomma, molte cose e concetti vanno rianalizzati e ripensati: guai ad accontentarci dello status quo!
E aggiungo ancora una considerazione essenziale sullo Stato centrale quale garante del diritto di cittadinanza, ovvero dell’insieme dei diritti che permettono alla società di dispiegare tutte le proprie potenzialità nell’equilibrio dei diritti e dei doveri di ciascuno di noi.
E’ lo Stato che garantisce la cittadinanza, ma sono i cittadini che danno allo Stato la propria ragione d’essere. Si tratta di una corrispondenza biunivoca e senza l’uno, lo Stato, non c’è il cittadino, ma allo stesso tempo, senza il cittadino non c’è lo Stato e men che meno c’è la sovranità a tutti i livelli di rappresentanza.
Allora lo Stato ci deve mettere nelle condizioni di dispiegare pienamente i diritti della cittadinanza.
Meglio ancora sarebbe godere pienamente dei diritti della cittadinanza europea, convinto come sono che una federazione europea con una sua costituzione, possa garantire al meglio la cittadinanza del singolo.
Ecco perché assume grande rilevanza ora più di prima l’approvazione di una legge elettorale di tipo proporzionale, come è quella europea, estesa alle elezioni politiche e agli altri livelli elettorali.
E, allo stesso tempo, è per le considerazioni su esposte che non ritengo accettabile il principio della supremazia dello Stato centrale anche sulle materie di stretta competenza regionale, perché questo principio di fatto sancisce la compressione, l’insussistenza, l’irrilevanza e l’inesistenza dei diritti delle autonomie locali.
Quanto detto, e si tratta di fatti e non di opinioni, dimostra che l’attuazione della Costituzione in questi decenni non è stata e non è favorevole allo sviluppo delle autonomie locali.
Anche per queste semplici ragioni sono favorevole all’attuazione dell’autogoverno, in alcune specifiche materie oggi concorrenti con lo Stato, da parte della Regione Sardegna e alla prospettiva del federalismo statale come previsto dalle costituzioni della Svizzera, della Germania e degli USA, che non mi risulta abbiano problemi in quanto a “unicità e indivisibilità”, come ripetutamente ed erroneamente ricordato dai sostenitori dello “status quo” nel dibattito giuridico e politico italiano.

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Sardegna, l’isola del silenzio: perché non riusciamo a raccontare il potere, i suoi uomini e le sue dinamiche ? (dal blog di Vito Biolchini)

by Redazione Scuola | 14/05/2023 18:50

“Antonangelo L. – Una vita spregiudicata” è un libro unico e necessario. Pubblicato dalla Edes, è stato scritto dal giornalista sassarese (ma da vent’anni a Milano) Giovanni Seu e racconta l’ascesa e la caduta di Antonangelo Liori, enfant prodige del giornalismo e della cultura in Sardegna, diventato nel 1994 il più giovane direttore di quotidiano in Italia (il giornale era l’Unione Sarda e Liori aveva trentatré anni) e poi protagonista, insieme al suo editore Nicola Grauso, di una gestione a dir poco scriteriata del giornale, tra spericolate operazioni industriali (vi ricordate della cartiera di Arbatax?), sequestri di persona (vi ricordate di Silvia Melis?), il suicidio di un magistrato nel suo ufficio del Palazzo di Giustizia (vi ricordate di Luigi Lombardini?), operazioni politiche (vi ricordate del Nuovo Movimento?) e oscene campagne di stampa contro l’amministrazione regionale guidata dal centrosinistra, in particolare contro il suo presidente Federico Palomba. Il risarcimento delle persone offese dalle diffamazioni del giornale è costato all’Unione Sarda sette miliardi di lire, e questo vi dà la misura della follia di quegli anni deliranti e che è valsa a Liori la sacrosanta radiazione dall’Ordine dei Giornalisti.

Ma c’è di più: perché, insieme alla sua attività giornalistica, Liori ne ha portato avanti una parallela, di natura imprenditoriale, anche questa coronata da scarsi successi personali; se è vero, come è vero che, chiamato a rispondere di vari reati, è stato condannato a pene severe che, cumulate, lo avrebbero tenuto in carcere per quasi trent’anni. In realtà, in galera c’è pure finito, ma ora da qualche tempo è in libertà, essendo la sua situazione sanitaria incompatibile con la detenzione.

Raccontando le vicissitudini di Liori, il libro di Seu ricostruisce con agilità ed efficacia un pezzo di storia del giornalismo e, più in generale, della Sardegna di fine secolo scorso, ponendo delle domande a cui ho provato a rispondere ieri nel corso della presentazione del volume, organizzata a Cagliari nella sede dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna, cui hanno preso parte il presidente dell’Ordine Francesco Birocchi, lo storico Luciano Marrocu (autore della prefazione), e poi con interventi dal pubblico dell’ex caporedattore di Rai Sardegna e già direttore della sede Rai Romano Cannas, l’editore ed ex inviato del Corriere della Sera Alberto Pinna, il giornalista della Nuova Sardegna Mauro Lissia, l’ex giornalista dell’Unione Sarda Antonio Ghiani, il presidente del Corecom Sardegna Sergio Nuvoli, e l’ex giornalista dell’Unione e ora programmista Rai Serena Schiffini.

Il dibattito è stato ricco e serrato, con tanti aneddoti (alcuni sconcertanti) ma state tranquilli: non ci sarà alcun giornale che ve lo racconterà. Perché?

Per lo stesso motivo per cui un libro del genere è uscito a oltre vent’anni di distanza dagli avvenimenti e scritto da un giornalista fuori da tutti i giochi. La Sardegna non riesce a raccontare il potere. Non riesce a raccontarne le dinamiche né tantomeno a raccontare le storie e le vite di chi quel potere lo esercita. Tutto da noi si riduce in chiacchiere da bar, in battute: mai in dibattiti pubblici. Quello di ieri sera è stato una esemplare eccezione.

Antonangelo Liori meritava un libro? Assolutamente sì. Perché è importante spiegare come giornali e giornalisti possono abdicare al loro ruolo ed essere drammaticamente piegati ad interessi di parte, come è avveduto in quegli anni (e come forse sta avvenendo ancora oggi, seppur in misura minore).

Ma un libro non lo meriterebbe anche Grauso, con il suo percorso che lo ha portato a trasformarsi da “editore puro” a editore evidentemente impuro?

E, avvicinandoci ai giorni nostri, un libro non lo meriterebbe anche Christian Solinas? E Massimo Cellino? E Sergio Zuncheddu? E Renato Soru? E Giorgio Mazzella? E Antonello Cabras?

Ora, scrivo qui quello che ho detto ieri quale esempio di mancato racconto del potere da parte della nostra opinione pubblica.

Da settimane infuria la battaglia per il controllo degli aeroporti sardi. Il fondo F2i vuole acquisire gli scali di Olbia e Alghero e punta a quello di Cagliari. Della vicenda parlano tutti i giornali e tutte le tv. Ma nessuna redazione pare essersi accorta che della compagine societaria del fondo fa parte anche la Fondazione di Sardegna e che nel cda di F2i siede nientemeno che Antonello Cabras. Perché nessuno lo ha ancora scritto o detto? Perché ancora nessuno ha chiamato Cabras per chiederci di spiegare qual è la sua posizione a riguardo? E inoltre, qual è la posizione del Pd sardo, posto che di questo partito Cabras ne è un autorevole esponente? Tutto tace.

Ma non abbandonate la lettura del post ora perché adesso viene il bello.

Ieri, mentre io dicevo queste cose a Cagliari, Renato Soru interveniva ad Alghero nel corso di un dibattito sui trasporti organizzato dal Partito Sardo d’Azione. E sapete di cosa ha parlato l’ex presidente della Regione? Del ruolo all’interno di F2i della Fondazione di Sardegna e della presenza di Antonello Cabras nel cda del fondo, ponendo dunque le stesse domande che contemporaneamente ponevo io al pubblico presente nella sala dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna.

Bene: oggi sia La Nuova Sardegna che l’Unione Sarda propongono ai loro lettori un resoconto del dibattito algherese. Entrambe le testate però non riportano l’intervento di Soru, con la Nuova (nella cui compagine societaria è presente anche la Fondazione di Sardegna) che omette perfino la presenza al dibattito dell’ex presidente della Regione, mentre l’Unione ha ignorato le domande di Soru su Antonello Cabras, riportando invece altre dichiarazioni abbastanza insignificanti.

Questa è la realtà. Del potere e delle sue dinamiche in Sardegna non si può o non si riesce a parlare compiutamente e pubblicamente. Certo, ci sono delle eccezioni, e penso ai colleghi che lavorano con grande sacrificio in piccole testate (Indip e Sardinia Post su tutte), a tanti singoli giornalisti che magari scrivono su Facebook. Ma il ragionamento che faccio è più ampio e non riguarda solo gli operatori dell’informazione ma più in generale la nostra opinione pubblica negli ultimi vent’anni, che anche davanti a casi eclatanti (vogliamo parlare delle recenti disavventure giudiziarie del nostro presidente della Regione?) gira la testa dall’altra parte.

Questa omertà generalizzata è un limite mostruoso al nostro sviluppo: come si possono risolvere i problemi se continuiamo ad ignorarne la radice o li affrontiamo in maniera superficiale?

Ecco perché il libro di Giovanni Seu su Antonangelo Liori è un libro benedetto. Ma rischia di rimanere un unicum molto a lungo.

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Perché è importante per le forze di sinistra acquisire un’ottica “intersezionale” per risolvere i problemi della scuola sarda (di Lorella Villa, presidente CIDI-Cagliari)

by Redazione Scuola | 06/05/2023 22:57

Perché è importante per le forze di sinistra acquisire un’ottica “intersezionale” per risolvere i problemi della scuola sarda. E non solo della scuola.
Il 5 Maggio scorso alla Fondazione Berlinguer a Cagliari si è tenuto un incontro dal titolo “Ascoltare e discutere. Per costruire una Sardegna migliore”, organizzato da Sinistra Futura, federazione della Sinistra sarda.
Alla presenza di un folto, attento pubblico “con le dita incrociate” per questa federazione, vari interlocutori di associazioni e formazioni di sinistra – Paola Casula, sindaca di Guasila, Simona Fanzecco, Segretaria generale CdML CGIL di Cagliari, Salvatore Corrias, Consigliere regionale PD, Alessandra Todde, Deputata M5S e Giovanni Dore, Avvocato esperto di trasporti – hanno discusso di aree interne, turismo, lavoro e sviluppo, trasporti.
Nei vari interventi attentamente moderati da Andrea Dettori, Consigliere comunale di Cagliari, è risultato evidente come i problemi del territorio risultino strettamente connessi tra loro e come aggravino il dato drammatico dell’abbandono scolastico che vede la Sardegna, tra le regioni peggiori in Italia.
I problemi territoriali descritti dai relatori mi sono sembrati legati da un fil rouge in negativo che attraversa le diverse dimensioni della povertà educativa in Sardegna.
Partiamo dal dato sull’abbandono scolastico, con una doverosa premessa.
Per misurare gli abbandoni scolastici prima dell’obbligo (in Italia fissato per legge a 16 anni) la scelta metodologica adottata a livello europeo è quello di misurare come indicatore indiretto la percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che hanno solo la licenza media. Tra questi viene incluso anche chi ha conseguito una qualifica professionale regionale di primo livello con durata inferiore ai due anni.
In Sardegna nel 2021 questa quota ha raggiunto secondo l’osservatorio Con i bambini sulla povertà educativa il 13,2% (dati su elaborazione di Openpolis consultabili alla pagina web: https://www.conibambini.org/osservatorio/abbandono-scolastico-in-italia-3-regioni-superano-ancora-i15/#:~:text=FONTE%3A%20elaborazione%20openpolis%20-%20Con%20i%20Bambini%20su,queste%2C%20altre%203%20sono%20comunque%20sotto%20quota%2010%25.). Ma la percentuale sale se si esaminano i dati della dispersione scolastica che comprende oltre all’abbandono in senso stretto, le ripetenze, il mancato raggiungimento delle competenze previste per il grado scolastico nelle rilevazioni nazionali ed internazionali. È questo il fattore che si ripercuote con più forza sulla percentuale di occupati tra i residenti tra i 15 e i 24 anni, un indicatore indiretto utile a inquadrare l’effetto degli abbandoni nel tempo. La percentuale attestata dall’Istat per il 2022 è del 27.4% (http://dati-giovani.istat.it/).
Negli interventi dei vari interlocutori la parola abbandono scolastico e diritto ad un’istruzione di qualità in Sardegna, dicevo, sono tornate più volte perché è chiaro che il problema è strutturale e sarebbe impensabile affidarne all’istituzione scolastica la
soluzione. Riguarda infatti e va collegato ad alcuni deficit del sistema scolastico in termini di spazi, servizi e tempi educativi, come mensa e tempo pieno, palestra, agibilità delle scuole ma anche a servizi pubblici la cui mancanza incide negativamente come l’assenza di biblioteche pubbliche e private, di spazi ricreativi, e l’efficienza dei trasporti locali.
Insomma ’impossibilità di avere accesso ad un’istruzione di qualità produce anche, nelle aree interne, un progressivo spopolamento. L’Istat prevede per il 2030 che nelle province con tanti bambini che vivono in aree interne tale spopolamento procederà a un ritmo molto più sostenuto. A Nuoro (prima per quota di residenti 0-2 anni in comuni periferici e ultraperiferici: 85% del totale nel 2020) i bambini nel 2030 potrebbero essere il 19,1% in meno di oggi. Nella previsione Istat delle 35 province a rischio spopolamento legato alla mancanza di servizi per la prima infanzia compaiono anche quelle del Sud-Sardegna, di Sassari e di Oristano.
Il 2030 è praticamente domani in termini di programmazione politica: un concetto che sembra non essere caro alla politica regionale, come ha ricordato la deputata Alessandra Todde.
Per le politiche pubbliche chiave per il futuro della Regione, lo scopo dovrebbe essere allora invertire la tendenza. Ovviamente nidi e altri servizi rivolti ai minori, come quelli scolastici, sono solo una parte di una strategia per fermare il declino demografico. Ma è anche dalla capacità di offrire servizi per le famiglie e i minori, su tutto il territorio regionale, che passa la sfida per interrompere il calo della natalità. Anche e soprattutto nelle aree più distanti dalle città. per esempio attraverso una rete di trasporti pubblici efficiente.
Il loop si ripete: non è difficile intravedere una stretta correlazione tra la possibilità di raggiungere la scuola più vicina da questi territori più remoti e l’abbandono scolastico. I tempi che occorrono ogni giorno per andare a scuola e tornare a casa incidono profondamente sull’apprendimento, per evidenti motivi di disagio e ancora prima per l’impossibilità di avere una gamma significativa di scelte nel passaggio dalla scuola superiore di 1^ grado a quella di 2^ grado: il Comune polo più vicino alla residenza è in genere un centro urbano che potrebbe non garantire l’offerta formativa in termini di indirizzi di studio come fanno i centri più grandi.
E torniamo così all’abbandono delle aree interne per famiglie con figli in età scolare. La mancanza di una rete di trasporti efficiente incide sulla vita quotidiana di famiglie e studenti, è una delle cause del progressivo spopolamento di intere aree, e rende più concreto anche il rischio di dispersione e di abbandono precoce della scuola.
Nella classifica dei Comuni con presenza di studenti “lontani” più di 100’ dal polo scolastico di riferimento troviamo molti comuni del nuorese Triei, Baunei, Ussassai, Lotzorai, Girasole, Tortolì.
Per approfondire la raggiungibilità delle scuole situate nei poli dai comuni più remoti, la prima cosa da fare è individuare quali comuni polo sono baricentrici per il maggior numero di giovani tra 6 e 18 anni.
Tra i 10 comuni italiani che sono associati a territori dove i più giovani vivono in comuni collocati a oltre un’ora di distanza figurano Oristano e Cagliari (dati consultabili alla pagina https://www.openpolis.it/quanto-tempo-serve-per-raggiungere-la-scuola-dai-comuni-piu-lontani/).
Per un adolescente la possibilità di spostarsi e raggiungere un comune polo non riguarda solo la scuola ma anche la vita fuori dalla scuola: la retorica della attrattività della vita nei piccoli centri nell’età adolescenziale suona piuttosto fasulla.
Nella mia esperienza di insegnamento in Sardegna ricordo con particolare vividezza due episodi legati al tema della distanza dalla “città” di studenti residenti in aree remote. Il primo è il pianto di una studentessa di Escalaplano alla fine dell’anno scolastico che aveva frequentato in un Istituto di Muravera. Le chiesi se piangesse perché non era stata ammessa alla classe successiva. Mi rispose che aveva riportato la media dell’otto in pagella ma dal giorno dopo sarebbe stata risucchiata in una sorta di vuoto esistenziale. “Tre mesi lontano da tutto”: proprio così mi disse. Il secondo è la risposta sconsolata di un ragazzo di Fluminimaggiore che frequentava un Istituto di Iglesias, con risultati piuttosto scadenti. Per cercare di capire quale fosse il problema gli chiesi come passasse il pomeriggio, posto che lo studio non rientrava nelle sue occupazioni quotidiane. Con grande superficialità azzardai un “passi il tempo al bar con gli amici? Ti vedi con la ragazza? Fai sport…” Mi rispose che dormiva tutto il pomeriggio perché si alzava ogni giorno alle sei per venire a scuola. Niente amici, niente ragazza, nessuno sport… Solo un sonno senza sogni.
Un’ultima preoccupazione per il futuro del sistema scolastico pubblico (non solo sardo) e quindi per la Sardegna e il Paese.
L’effetto delle politiche scolastiche definite comunemente “neoliberiste” degli ultimi decenni ha portato ad una sorta d’insana competizione tra gli Istituti, spinti a conquistare quote di mercato – leggi iscritti – pena periodici e drammatici tagli di personale, dimensionamenti e accorpamenti.
Queste logiche “del mercato” si sono rivelate nefaste per la scuola pubblica italiana, hanno sfarinato anzi appunto “disperso” il senso e la filosofia stessa che dovrebbe animarla se la si intende come la scuola descritta dalla Costituzione: un diritto fondamentale, volto a rimuovere non certo ad approfondire le disuguaglianze iniziali. Queste logiche e politiche invece hanno prodotto sul territorio divari tra le scuole dello stesso Comune che si sommano a quelli presenti sul territorio, poco prima accennati.
Una politica scolastica seria dovrebbe interrogarsi anche su questo aspetto: garantire a tutte le studentesse e gli studenti dello stesso ambito scolastico le stesse possibilità di scelta e di risultati andando a riannodare i fili, a tessere reti tra istituti scolastici e a creare servizi pubblici di qualità per tutte e tutti.
Il diritto ad avere un futuro migliore non può basarsi solo sulle carte che ci serve alla nascita il destino: non può passare dalla famiglia d’origine o dal posto nel quale si nasce. E sicuramente neanche dal numero del personale docente e non docente della scuola che si frequenta.
Deve passare dalla scuola e dall’accesso ai servizi e dalla loro qualità, si spera alta. E la politica, specie di sinistra, di questo si deve occupare.

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Elezioni regionali e dei comuni di Cagliari e Sassari Per un campo politico che sia il più largo possibile, con candidati unitari, autorevoli e inclusivi (di Fernando Codonesu)

by Redazione Scuola | 04/05/2023 10:23

Ci si sta avvicinando velocemente alla scadenza elettorale per il rinnovo del consiglio e del presidente della Regione così come dei sindaci e dei consigli dei comuni di Cagliari e Sassari.
Comuni importanti e decisivi per lo sviluppo della nostra regione.
Le forze in campo discutono animatamente dei candidati per lo scranno più alto, ovvero per la presidenza della giunta regionale, sia nel centro sinistra che a destra.
Il dibattito e le iniziative per le città di Cagliari e Sassari sembra essere un po’ più in sordina, ancora ridotto a piccoli incontri nelle segrete stanze con un probabile rinvio ai prossimi mesi, se non a dopo l’estate.
Dal mio punto di vista sarebbe opportuno conoscere i candidati prima dell’estate e avere già un programma elettorale definito almeno su alcuni punti chiave.
E non va dimenticato che incombe anche la scadenza delle europee che auspico possa essere affrontata con una circoscrizione sarda e non più associata alla Sicilia che ci ha sempre visto e ci vede in totale minoranza quanto a popolazione, per cui risultiamo condannati a non poter esprimere nostri parlamentari europei in maniera autonoma!
Ovviamente non sono interessato a esporre mie considerazioni sulla destra, anche perché notoriamente riescono sempre a mettersi d’accordo nonostante visioni politiche diverse e a tratti decisamente contrapposte.
Lasciamoli stare!
Sono interessato invece ad esprimere il mio parere sullo schieramento del centrosinistra allargato, il più possibile mi auguro, se si vuole voltare pagina da questa esperienza sardo leghista che può essere qualificata come la più sciagurata e inadeguata per la nostra isola.
Al riguardo, anziché enumerare gli evidenti danni in tutti i campi, basta qui semplicemente pensare allo sfascio della sanità e ai trasporti: una incapacità totale!
Sullo schieramento dico che deve essere il più largo possibile con un asse tra il PD e i 5S e con un ruolo decisamente importante delle altre forze, come i progressisti, l’associazionismo organizzato, esponenti singoli e associati del terzo settore, il variegato mondo dell’autodeterminazione e del civismo democratico, partiti e movimenti politici ancorché piccoli, ma rappresentativi di storie, culture e attività che fanno parte dei diversi contesti urbani come dei paesi e della campagne dell’interno, checché ne dica qualche esponente politico non certo di primo pelo.
Eh già, anche i piccoli sono importanti e non solo dal punto di vista strettamente elettoralistico.
E’ oramai quasi storia che in Sardegna alle regionali ci sia un’alternanza ogni cinque anni, ma l’alternanza non è determinata dal caso o dall’incapacità e insipienza della compagine che amministra o dal cosiddetto governatore (in Italia non abbiamo governatori così come non abbiamo premier: abbiamo solo presidenti!) di turno.
No, l’alternanza non dipende dalla cabala: va costruita.
E questo è il compito principale di uno schieramento alternativo alla destra oggi al potere, che voglia essere credibile e vincente.
Intanto mi piace pensare ad uno schieramento unitario, inclusivo di tutte quelle realtà politiche e culturali su accennate che sono presenti nella società civile e che potranno essere ben rappresentate da un candidato presidente che sia unitario, di riconosciuta autorevolezza, con capacità di mediazione e sintesi e portatore di una visione della Sardegna che nasca dai contenuti espressi in un programma politico agile, chiaro, controllabile dall’elettorato e dalla cittadinanza tutta, scritto a più mani e frutto di un processo partecipativo.
Le stesse considerazioni valgono per le elezioni delle città di Cagliari e Sassari e per i candidati al ruolo di Sindaco.
E sul programma delle regionali mi permetto di suggerire due punti semplici e basilari.
Il primo deve essere una legge elettorale di tipo proporzionale da approvare nei primi 100 giorni.
Il secondo deve essere l’avvio di un processo di autogoverno su alcune materie oggi concorrenti tra stato e Regione, che devono invece far parte dell’insieme di materie di competenza esclusiva della Regione sarda: energia, governo del territorio, ambiente (oggi solo statale), trasporti, urbanistica (oggi regionale, ma deve essere rafforzato il suo carattere di esclusività già presente), con una qualificazione più definita del peso della Regione nella competenza concorrente sul paesaggio.
Queste materie vanno ripensate in una prospettiva di autogoverno e di una rivisitazione della nostra specialità che va aggiornata, a distanza di 75 anni dall’approvazione del nostro statuto fondativo.
Un candidato del profilo su delineato sarà in grado di riportare alle urne molti elettori disillusi che fanno parte del partito ormai più grande nel paese e nella nostra isola, quello dell’astensione.
Un candidato di questo tipo potrà essere votato con convinzione.
E dato che abbiamo appena festeggiato “Sa die de sa Sardigna”, mi permetto di suggerire per carità di patria: che non si pensi ad un ritorno del re!
Il ritorno a “Su connottu” lo abbiamo già sperimentato nella storia sarda più di due secoli fa e sappiamo come è andata a finire.

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Aveva ragione Luciana Castellina (di Roberto Loddo)

by Redazione Scuola | 30/04/2023 21:56

Aveva ragione Luciana Castellina quattro mesi fa quando ha evocato la necessità e l’urgenza di un nuovo CLN. Un comitato di liberazione nazionale che possa cancellare definitivamente la deriva antisociale, autoritaria e razzista di questa destra al governo. L’antifascismo va praticato, non proclamato. Va praticato tutti i giorni. Nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, dalle periferie a tutti i luoghi di sfruttamento ed emarginazione. Un’intera classe dirigente ha permesso che la peggiore destra postfascista potesse umiliare il valore della resistenza antifascista il 25 aprile. Domani, il primo maggio, accadrà lo stesso con la Festa dei Lavoratori e delle lavoratrici. Lo dimostrano le dichiarazioni delle ultime ore con gli attacchi violenti ai sindacati e l’atteggiamento intollerante nei confronti delle classi sociali più escluse dal reddito e private dell’assistenza sociale. Costruiamolo allora un nuovo CLN. Perché come ci ricorda Luciana Castellina, non fu solo il nome di un fronte militare, ma persino di un governo, subito dopo la Liberazione. Facciamolo ovunque, e partiamo dai piccoli comuni e dalle Regioni, dalla Sardegna, dalla nostra isola delle disuguaglianze contaminata da logiche neocolonialiste, dall’occupazione militare, dallo smantellamento progressivo della sanità pubblica, dalla devastazione dell’ambiente, dei trasporti, della conoscenza e di tutti i sistemi di protezione sociale. Facciamolo prima che sia troppo tardi e smettiamo di vivere l’antifascismo come un vecchio fantasma del passato da evocare una volta l’anno. Pratichiamolo.

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La guerra di Ignazio (di Carlo Dore Jr da articolo1mdp.it)

by Redazione Scuola | 21/04/2023 23:20

Non bastava il busto del Ducione ostentato tra i lari del focolare domestico; non bastava il tentativo di riqualificare gli oplites del battaglione Bozen alla stregua di una comitiva di festosi musicanti prossimi alla pensione; non bastava la descrizione del fascismo come “male assoluto” ma con solo riferimento alle leggi razziali.

No, non bastava. Il Presidente La Russa ha sentito il bisogno di scrivere un’altra pagina della logorante guerra con la Storia intrapresa dagli epigoni di Almirante all’indomani del loro insediamento nel piano nobile dei palazzi del potere, giungendo financo a mettere in discussione la matrice antifascista della Costituzione repubblicana, dato che nessun riferimento all’antifascismo sarebbe rinvenibile nella Carta Fondamentale. Merito dei partiti moderati, che non vollero concedere un simile regalo al PCI e all’URSS, abusivamente elevatisi a depositari esclusivi dei valori della Resistenza.

Un’altra pagina della guerra con la Storia, un’altra pagina della guerra di Ignazio: stavolta destinata a collocarsi sul pericoloso crinale in essere tra l’ostentato falso storico e la lettura grossolanamente distorsiva delle norme costituzionali. Tra il falso storico, rinvenibile nella negazione del contributo offerto da tutte le forze della sinistra italiana alla lotta di liberazione, e nel mancato riconoscimento della capacità del PCI di porsi prima come attore principale del processo costituente, e poi come forza di garanzia per quegli stessi equilibri democratici, di cui tanti, soprattutto a destra, vagheggiavano il superamento; e la lettura distorsiva del testo costituzionale, ravvisabile nella adulterata ricostruzione della genesi dei principi della Carta, prodotti dal compromesso alto tra le forze politiche che, pur animate da differenti orientamenti, trovarono proprio nella partecipazione alla Resistenza il retroterra culturale sui cui elaborare un modello di democrazia condiviso.

Viene infatti spontaneo chiedere cosa sia stato l’Antifascismo, se non un movimento a difesa di un sistema di valori: di quel sistema di valori che il Fascismo tendeva a schernire tra pose marziali e marce fuori tempo, a soffocare tra manganellate e litri di olio di ricino. Un sistema di valori: il valore della dignità della persona umana, mille volte calpestato dagli stivaloni delle squadre d’azione; il valore delle libertà associative e della libertà di manifestazione del pensiero, sterilizzato dalle leggi fascistissime; il valore dell’eguaglianza, e del rifiuto di ogni forma di discriminazione basata su ragioni etniche, religiose o politiche.

Valori, dunque: i valori dell’Antifascismo, non a caso trasfusi nei Principi Fondamentali della Costituzione, antifascista per formazione, prima che per lettera. I valori dell’antifascismo, i valori della Costituzione, idealmente incarnati in un nome e in un volto: il nome e il volto di Giacomo Matteotti, vittima fieramente consapevole di quel “male assoluto”, che invano si vorrebbe circoscritto all’orrida ridotta della stagione delle leggi razziali.

I valori dell’antifascismo, i valori della Costituzione: capaci di resistere ai falsi storici e alle distorte letture normative proposte da La Russa e dagli esponenti della destra di governo nell’ennesima pagina della loro personalissima, logorante guerra con la Storia.

Una guerra con la Storia che, prima o poi, forse, gli epigoni di Almirante scopriranno di non poter vincere.

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Qatargate: Un’inchiesta fuori dalle regole? (di Rosamaria Maggio)

by Redazione Scuola | 20/04/2023 09:34

La decisione di tenere i mondiali di calcio del 2022 in Qatar è stata presa nel 2010.
Eva Kajili aveva 32 anni, era membro del Parlamento ellenico e per la elezione al Parlamento Eu ha dovuto attendere il 2014, quindi 4 anni dopo che il Qatar conquistasse i mondiali.
Antonio Panzeri era invece parlamentare Eu (2004-2019), ma non lo è più in questa legislatura.
Marc Tarabella è parlamentare UE dal 2004 e quindi in carica al momento della decisione nel 2010. Come pure Andrea Cozzolino il cui mandato ha inizio nel 2009.
Francesco Giorgi non è parlamentare come Panzeri ma ne è stato collaboratore quando quest’ultimo era parlamentare ed al momento dell’arresto era collaboratore del parlamentare Cozzolino.
Dal 9 dicembre 2022, giorno degli arresti eccellenti, Panzeri, Giorgi e Kajili, sono indagati per corruzione (ma anche associazione a delinquere) ,a seguito del rinvenimento di denaro in contante durante le perquisizioni domiciliari.
Ma ritrovare denaro in contante in casa di qualcuno può essere un indizio di un reato come la corruzione, ma non può da solo essere considerato prova di quel reato.
Per costruire le prove è stata trattenuta la Kajili fino a 4 mesi in detenzione preventiva, sottoposta a pressioni al limite della tortura psicologica (luce accesa 24 ore su24, mancanza di acqua per lavarsi, allontanamento della figlia di 2 anni), e solo ora è stata ammessa ai domiciliari con braccialetto elettronico.
Panzeri è stato messo ai domiciliari qualche settimana prima della Kajili, dopo aver raggiunto un accordo con la procura belga, che avendone arrestato la moglie, la figlia e la commercialista, in cambio di una promessa di una pena di un anno, ha ottenuto dichiarazioni che hanno coinvolto altri parlamentari come Tarabella e Cozzolino. Anche lo stesso Giorgi è stato messo ai domiciliari dopo aver ammesso le sue responsabilità assieme a Panzeri.
Colei che è stata più vessata è proprio la ex vicepresidente Kajili che non ha accettato di riconoscere responsabilità, dichiarandosi totalmente estranea ai fatti e quindi innocente, e pagando questa sua posizione con la detenzione preventiva più lunga di tutti i protagonisti.
Emerge un fatto su tutti e cioè che la decisione sui campionati era già stata presa, che la corruzione per influenzare il Parlamento Eu non è stata provata, né risulta che l’eventuale pressione dei 3 parlamentari (Kajili, Cozzolino, Tarabella), abbia influenzato le decisioni degli altri parlamentari (tot.705 meno 3). L’autorità inquirente in questi mesi non è riuscita a dimostrare che i 3 sono riusciti a far deliberare il Parlamento in favore del Qatar. Se così fosse stato avremmo dovuto assistere all’arresto di almeno la metà del Parlamento EU.
Può darsi che mi sbagli, ma questa inchiesta puzza di farsa, mette in scacco il Parlamento sulla base di nulla o comunque di poco, depotenzia la Unione Europea sul piano delle tutele dei diritti. Non può essere ammissibile che in Europa, culla dei diritti umani, si assista, senza nessuna critica, alla violazione di quei principi fondanti che attengono alle tutele che spettano ai cittadini inquisiti, indagati ed in stato di detenzione preventiva.
La tutela dei diritti dovrebbe fare la differenza tra l’Unione Europea e tanti paesi extraeuropei, stigmatizzati per il loro regimi autoritari.
Assistiamo al contrario a situazioni molto pericolose, rispetto alle quali la società tutta non è stata e non è sufficientemente attenta.

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Verso il 25 Aprile 2023 (di Marco Sini)

by Redazione Scuola | 19/04/2023 22:08

Qualche sensazione su questo 25 Aprile del 2023.
E’ il 75° anniversario di quello del 1945 che per volontà del CNL divenne “Giornata della Liberazione dal nazi-fascismo”, segnata in rosso per sempre come festa nazionale nei nostri calendari.
Sono certo che per noi sarà una giornata di robusta memoria: ricorderemo e renderemo onore di Memoria ai combattenti della Liberazione, ai circa 4.000 sardi (e sarde) che dopo l’8 settembre del 1943 hanno scelto di combattere nelle formazioni partigiane e nel ricostituito Esercito italiano di Liberazione (CiL), e ai circa 8.000 sardi (soldati, carabinieri, poliziotti e guardie di finanza) deportati come IMI nei Lager in Germania. In questi giorni negli incontri e iniziative che precedono, e che seguiranno, il 25 aprile abbiamo il dovere di ricordarli. Di alcuni e alcune di loro ne ricorderemo i nomi e i cognomi e i luoghi dove hanno speso impegno e anche la vita per la liberazione.
L’Italia è oggi governata dalla destra, con una presidente del consiglio e con due delle massime Istituzioni della Repubblica (presidente del Senato e della Camera), rappresentate da esponenti di formazioni di destra che storicamente hanno radici nel fascismo. Come loro recenti esternazioni dimostrano non riescono o non vogliono rescindere queste radici. Anche per questa ragione, sono certo che il 25 aprile di quest’anno vedrà molte manifestazioni con moltissimi partecipanti in festa e determinati a salvaguardare i valori e le conquiste della Resistenza, dell’antifascismo e della Costituzione Repubblicana. Qualcuno, nei giorni scorsi, ha ricordato che il ritorno alle grandi manifestazioni del 25 aprile fortemente partecipate, dopo molti anni di poche presenze riscontrate dalla fine degli anni ’70 al 1993, ci fu in quel 25 aprile del 1994 all’indomani del varo del primo governo Berlusconi di centrodestra. Si è vero! Anche a me questo 25 Aprile mi riporta col pensiero al 25 aprile del 1994 ed alle grandi e partecipate manifestazioni che si tennero quel giorno in tutta Italia. Ricordo quelle manifestazioni e, in particolare, ricordo bene la grande manifestazione di Cagliari. Certo furono manifestazioni numerose e partecipate anche per “reazione”: sia Berlusconi sia molti esponenti di punta di quel fronte dichiararono apertamente che non avrebbero partecipato non solo alle manifestazioni perché ritenute “comuniste”, ma neanche alle cerimonie commemorative dei caduti nella guerra di Liberazione, infrangendo una tradizione che aveva sempre visto la partecipazione alle cerimonie del 25 Aprile delle massime Istituzioni dello Stato, compresi i Presidenti del Consiglio democristiani.
Anche per reazione a queste dichiarazioni e allo sdoganamento di una sorta di equidistanza tra fascismo e antifascismo incorporato nel berlusconismo, le piazze si riempirono e Cagliari non fece eccezione. Ero allora segretario generale della Camera del Lavoro di Cagliari e ricordo che prima della partenza del corteo in Piazza Garibaldi in molti, dal Rettore dell’Università Mistretta a diversi parlamentari e consiglieri regionali cagliaritani, che sicuramente non erano “comunisti”, si avvicinarono ai partigiani Porcheddu, Tinti e gli altri per dichiarare che in genere non partecipavano alla manifestazione del 25 aprile ma quell’anno avevano sentito il dovere di esserci. Anche quest’anno, ben più degli anni scorsi, per il clima di ulteriore e rapido sdoganamento delle manifestazioni apertamente fasciste tollerate e non contrastate dagli organi preposti e minimizzate dai rappresentati della destra di governo, ci auguriamo che in molti democratici e antifascisti, che in genere non partecipano, scatti una reazione e vengano in piazza con noi.
A Salvini che, anche nei giorni scorsi ha ripetuto il mantra di sempre di non voler partecipare “al derby tra fascisti e comunisti” diciamo che la Resistenza che si è opposta all’occupazione nazista e ai suoi ausiliari fascisti è stata un movimento composito e plurale che ha visto l’apporto di tanti giovani. Contrariamente alla ingannevole propaganda della destra e di Salvini, pochi di loro avevano una chiara collocazione e militanza politica mentre tutti loro avevano chiaro il proposito di Liberare l’Italia dal nazifascismo. Mi piace ricordare che gli ultimi tre partigiani in vita fino a 2020, che conoscevo bene e con i quali parlavo spesso: Nino Garau, cagliaritano, Claudio Perra e Piero Spiga, monserratini, nel 1943 erano ragazzi ventenni e senza militanza politica quando, animati da amor patrio e dalla volontà di combattere l’occupazione nazista e il fascismo che la sosteneva, hanno scelto di entrare nella Resistenza. Dei tre Piero è mancato per primo, nel gennaio del 2020 all’età di 95 anni e ha avuto, così come accadrà a Nino e a Claudio, funerali adeguati: sindaco in fascia tricolore e dall’altare un bel ricordo del suo essere stato partigiano. Negli ultimi anni della sua vita Piero aveva partecipato alla presentazione dei libri (uno di Gianfranco Vacca e l’altro mio) che contengono la sua testimonianza ed era solito passeggiare nei giardinetti di Monserrato e a chi incontrava, soprattutto giovani, cantava una romanza lirica e diceva con orgoglio che era stato un partigiano e aveva il Diploma di Partigiano combattente firmato da Pertini perchè aveva partecipato alla guerra di Liberazione.
Perciò, anche per questa ragione di contesto che tende a sminuire Resistenza e Partigiani, dobbiamo prepararci a vivere questa giornata come Festa degli italiani e come Memoria attiva che deve associare al ricordo della Resistenza e dei valori di Libertà, di Giustizia e dei diritti, di cui è stata portatrice e che sono stati trasfusi nella Costituzione, all’impegno sulle sfide dell’oggi che vanno dalla difesa della Costituzione e del suo carattere antifascista, alla sua piena attuazione contro i tentativi in atto di stravolgimento e svuotamento.
Ancorarsi ai valori della Resistenza significa contrastare radicalmente il neofascismo che oggi si esprime nelle tante manifestazioni di razzismo e di xenofobia, di intolleranza per il diverso che popolano l’Europa e l’Italia.
Manifestazioni e atteggiamenti ispirati dai gruppi dirigenti di questa destra di governo che, rasentando il ridicolo, pretendono magari un malinteso riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa e nello stesso tempo irridono al Pontefice che chiede, come chiediamo noi nel solco dei valori della Resistenza e della Costituzione, un approccio positivo di pace, accoglienza, solidarietà e sostegno a quella umanità sofferente costituita dalla moltitudine di uomini, donne e bambini, profughi e immigrati che fuggono dalla miseria e dalle guerre, che purtroppo insanguinano l’Ucraina, il Medioriente, l’Africa e altre parti del mondo

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Che il 25 aprile segni un nuovo inizio (di Ottavio Olita portavoce per la Sardegna di Articolo 21)

by Redazione Scuola | 16/04/2023 19:22

Un solo precedente: il 25 aprile 1960, il governo Tambroni, monocolore democristiano con il sostegno esterno del MSI di Giorgio Almirante. Ma la grande differenza è proprio in quel ‘sostegno esterno’. Oggi quella stessa fiamma tricolore alla base della bandiera di Fratelli d’Italia è alla guida del Paese con il sostegno di cosiddette forze centriste e liberali. In realtà un governo di estrema destra che rifiuta l’antifascismo, su cui è stata costruita la Costituzione della quale si celebra il 75esimo anniversario. Basterebbe questo a spiegare perché quest’anno la Festa della Liberazione assume un valore particolare e perché dovrà essere molto sentita e partecipata. I segnali ci sono. Sono già almeno 25 le associazioni che hanno sottoscritto l’appello dell’Associazione Partigiani.

E si deve levare una voce forte, unitaria, di tutti i democratici contro una congrega di nostalgici che, anche se non fa specifico riferimento al fascismo, a quella sciagurata stagione rinvia indirettamente. Dal tentativo di svilire la lotta partigiana – La Russa –, al buffetto da insegnante con la matita rosso blu impartitogli dalla premier (‘sgrammaticature istituzionali’) per nascondere il rifiuto di condannare una palese offesa all’attentato di via Rasella del marzo ‘43. Dalla ridicola lotta di Fabio Rampelli conto i ‘forestierismi’, all’affermazione, contenuta in una sua pubblicazione, del ministro della giustizia sulla Costituzione ormai vecchia, nata da un compromesso tra cattolici e comunisti.

Il tentativo è dunque quello di attaccare la Costituzione, come se dipendessero dalla sua rigidità le lentezze, i ritardi, i tanti problemi del Paese. Con l’idea, più volte riaffermata, che il Presidenzialismo e forti limiti alla funzione del Parlamento (già duramente sminuita dalla riduzione del numero dei componenti e dalla orribile legge elettorale) sarebbe una sorta di panacea.

Basterebbe ribattere che fu proprio grazie al nuovo spirito di fratellanza e solidarietà nato nel Paese e alle regole dettate dagli articoli della Carta Costituzionale se l’Italia riuscì a risollevarsi dalle macerie prodotte dalla seconda guerra mondiale voluta dal nazifascismo. Invece che attaccare la Costituzione bisognerebbe battersi con maggiore determinazione per la sua piena applicazione.

Questo, credo, si dovrà fare a partire dal 26 aprile. Diffonderla, farla conoscere e studiare, a partire dalle scuole, come se ogni giorno fosse il 25 aprile. Ci siamo adagiati nella convinzione che la democrazia repubblicana ed antifascista fosse definitivamente acquisita. Dai raduni dichiaratamente fascisti, al rifiorire di simboli nazifascisti, all’impunità, nonostante la legge vigente contro l’apologia, di chi inneggia a quella ideologia fomentatrice di odio, questi mesi stanno dimostrando che non è così. Che la democrazia va tutelata ed alimentata ogni giorno, in tutti i settori.

Noi dell’associazione Articolo 21, uno degli articoli fondamentali della Carta, scritto nel rifiuto del pensiero unico fascista, cogliamo molti segnali di questo tentativo volto a costruire un nuovo autoritarismo: dai limiti alle pubblicazioni delle intercettazioni alle querele temerarie che intimidiscono soprattutto i tanti giornalisti non tutelati, ai tanti tentativi di imbavagliare la libera informazione, uno dei baluardi della democrazia.

Per questo siamo in campo il 25 aprile al fianco di tutti i democratici che credono della Costituzione e continueranno a lottare sempre contro il fascismo. Per questo saremo in campo, con l’ANPI e tutte le altre associazioni perché si costruiscano iniziative, progetti, programmi per far conoscere ed applicare quello straordinario strumento di democrazia e libertà che è la Carta Costituzionale su cui è sorta la Repubblica.

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25 aprile 2023 (di Lidia Roversi presidente ANPI provinciale Cagliari)

by Redazione Scuola | 13/04/2023 22:38

Mancano meno di due settimane al 25 aprile, la Festa della Liberazione di tutta l’Italia e dei suoi alleati dal nazifascismo.

Questo 25 aprile sarà celebrato in un anno particolare, il 75° anno della nostra Costituzione e, per la prima volta, con un Governo di estrema destra, nostalgico del ventennio fascista.

Un Governo eletto con il voto democratico dei cittadini, ma la Presidente del Consiglio non riesce neppure a pronunciare la parola “antifascista” e il Presidente del Senato non perde occasione per gettare ombre sulla Resistenza stravolgendo la storia, definendo i militari del “terzo battaglione Bozen“ una banda musicale di pensionati. Penso che le sue uscite non siano casuali. Penso che si voglia cambiare la memoria degli italiani riabilitando ciò che non può essere riabilitato, dimenticando di aver giurato fedeltà alla Costituzione repubblicana. Questo Governo è incompatibile con i valori Costituzionali, non solo cancella la verità ma rappresenta un danno. Un danno per il futuro dell’Italia e per i giovani che poco sanno e dovrebbero sapere.

Ecco perché è importante che l’ANPI collabori con le scuole, al fine di trasmettere ai giovani cosa è stato in Italia il ventennio fascista e cosa è stata la Liberazione. Dobbiamo raccontare ai ragazzi la brutalità del fascismo che ha abusato del potere e ha strutturato la sua forza sulla mancanza di democrazia, sul sopruso e sulla ignoranza della popolazione. Essere oggi antifascisti è non dimenticare il passato e trasmettere la storia di un passato violento, fatto di olio di ricino e di slogan ipocriti , fatto di retorica belligerante e pomposa che ha impedito lo sviluppo di una società plurale.

Al rischio rappresentato da questo governo di destra si aggiunge l’allarme per la grave situazione economica e sociale in cui versa l’intero Paese a causa degli effetti perversi della crisi e delle diseguaglianze. I diritti sono sempre meno uguali per tutti. I più giovani condannati a precarietà e sfruttamento, le donne a disparità non ancora risolte, gli anziani emarginati e soli e, spesso, in povertà, il diritto alla salute sempre meno garantito.

Mai come in questo momento c’è bisogno di combattere contro l’intolleranza, la sopraffazione, la violenza, le discriminazioni e le ingiustizie sociali. Mai come in questo momento c’è bisogno di difendere la Costituzione nata dalla resistenza, di combattere per la pace e contro ogni guerra.

Il prossimo 25 aprile dovrà essere l’inizio di un’evoluzione di un nuovo e moderno antifascismo, con forti basi culturali e sociali, diffuso tra tutti. Questo inizio deve partire dal capire come il vecchio fascismo del XX secolo si stia trasformando utilizzando, come sempre, le guerre in corso nel nostro pianeta, adeguandosi ai tempi moderni, utilizzando i vecchi armamentari ideologici e storici, rafforzati anche da alcune nuove tecnologie comunicative.

I pericoli di un nuovo e diffuso fascismo sono presenti a diversi livelli nelle moderne società. Gli esempi sono tanti ed inquietanti: solo per quanto attiene il nostro Paese, le apparentemente strampalate riforme, tipo ma non solo, l’autonomia differenziata, la perdita di tutele dei lavoratori, le trasformazioni della scuola e della sanità, l’indebolimento del sistema fiscale, lo stallo di integrazione del processo di unione ed integrazione europee, la ricerca di accordi sovranisti, le politiche scellerate e razziste sull’emigrazione. Il vecchio fascismo fu sconfitto dalla lotta del popolo italiano. Da questa vittoria è nata la Costituzione, la quale però è poco attuata, bisogna che sia studiata nelle scuole, ma soprattutto sentita propria, difesa e diffusa da ognuno di noi e dai futuri italiani.

Per tutto questo lanciamo un appello affinché il 25 aprile sia caratterizzato da una straordinaria partecipazione unitaria di donne e uomini, una festa pacifica, antifascista e popolare a sostegno della democrazia e a difesa della Costituzione.

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Da via Rasella al 25 aprile: quali altri attacchi alla Costituzione e all’antifascismo? (di Ottavio Olita)

by Redazione Scuola | 01/04/2023 20:04

All’indomani dell’indegna dichiarazione del Presidente del Senato Ignazio La Russa sull’attentato del 23 marzo 1944 di Via Rasella a Roma la prima domanda che viene da porsi, con urgenza, è: ma su che cosa hanno giurato questi nuovi rappresentanti istituzionali? Su carta straccia o sul documento su cui si fonda la nostra comunità nazionale, la nostra ragione di stare insieme, la nostra stessa storia?

Non bastava Giorgia Meloni che nel giorno del ricordo delle 335 vittime delle Fosse Ardeatine aveva definito genericamente italiani gli ebrei, gli antifascisti, gli avversari politici e tanti detenuti senza una precisa identità politica massacrati dai macellai nazifascisti. Si era detto, da più parti: è la sua fobia ad usare la parola antifascista.

Beh, ora cosa si potrà dire di questa sortita in cui il reggimento Bozen dei nazisti è stato definito una ‘banda musicale di quasi pensionati’ contro cui venne commesso uno degli atti meno nobili della resistenza? La ricostruzione storica dell’attentato che ne fa oggi ‘Il Corriere della Sera’ dimostra quale fosse la vera natura militare e oppressiva, da occupazione militare, di quel reggimento. E così tante altre ricostruzioni filmiche e storiche fatte, negli anni passati, di quella tragedia.

La reazione dell’ANPI, così come degli esponenti delle forze politiche d’opposizione e della comunità ebraica è stata netta e decisa intorno a due parole: indegna e ignobile. Molto più politica la dichiarazione di Gianni Cuperlo che non ha usato mezzi termini: ‘ È un nostalgico dichiarato del fascismo, dunque un fascista, e non può essere la seconda carica dello Stato’. Poi, le voci si sono attenuate, fino al giustificazionismo.

Calenda, terzo polo, ha dichiarato ‘Sono ammirato dalla determinazione con cui La Russa dimostra l’inadeguatezza come presidente del Senato’. Nessuna parola, finora, da parte di Renzi (e qui si rinnova il sospetto che appartenesse al suo schieramento la pattuglia di 17/18 parlamentari che dall’opposizione sostennero l’elezione di La Russa).

Quindi la maggioranza, che evidentemente ritiene più importante il giuramento di fedeltà alla Meloni che alla Costituzione Italiana. Mulé, Forza Italia, ha detto che le affermazioni di La Russa riguardano lui e basta. Silenzio tombale da parte dei moderati di Lupi e della Lega (in questo caso probabilmente – si spera? – solo per opportunismo elettorale dato che domani si vota in Friuli Venezia Giulia). Per finire con Fratelli d’Italia le cui uniche affermazioni sono volte a condannare le ‘strumentalizzazioni della sinistra’.

La verità storica ridotta a strumentalizzazione? Si sta ripetendo continuamente il tentativo di riscrivere la storia da parte della destra. Al confronto fa sorridere il ricordo di Berlusconi che durante un Porta a Porta di qualche decennio fa dichiarò di voler stringere la mano ad Alcide Cervi, morto da tempo – come gli ricordò subito Fausto Bertinotti -, padre dei sette eroici fratelli trucidati dai fascisti. Chissà se oggi sarebbe disposto a stringere la mano a qualcuno dei discendenti dei massacrati alle Fosse Ardeatine o se solidarizza con La Russa.

Tutto questo accade alla vigilia di un 25 aprile che si preannuncia assolutamente particolare e in qualche modo decisivo per affermare la volontà antifascista dell’Italia. E non è da escludere che ci sia dietro una strategia di distrazione di massa rispetto alla povertà crescente, ai privati del Reddito di Cittadinanza, ai senza lavoro, all’incapacità che sta dimostrando il governo di gestire il PNRR secondo i tempo dettati dall’Europa. E su questo sarebbe interessante sapere se e come Mattarella ha catechizzato la presidente del Consiglio.

C’è infine una domanda da porre direttamente a La Russa, così come sul ‘Corriere’ di oggi fa Massimo Gramellini. Nel suo mostrarsi Giano Bifronte cosa preferisce essere: Presidente del Senato, con le sue inderogabili responsabilità politiche, storiche, culturali, o un ‘battutista da apericena’ – scrive Gramellini – che non rinuncia alla sua esuberanza da nostalgico capopartito?

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Opposizioni unite sullo sfidante di Erdogan. Non sul programma (di Murat Cinar da ilmanifesto.it)

by Redazione Scuola | 26/03/2023 15:17


Kemal Kiliçdaroglu, leader del partito repubblicano turco Chp – Ap/Burhan Ozblici


TURCHIA. Il paese va verso le elezioni presidenziali e politiche del 14 maggio e il fronte anti-Akp punta sul leader del Chp, Kiliçdaroglu. Consenso ufficiale del centrodestra e quello ufficioso dell’Hdp

«Iniziamo», ha detto Kemal Kiliçdaroglu, il rivale dell’attuale presidente della Repubblica, davanti a una folta folla ad Ankara il 6 marzo. Kiliçdaroglu tuttora è l’avversario numero uno di Erdogan e riceve il sostegno di sei partiti d’opposizione. Lo sfidante, classe 1948, riuscirà a sconfiggere il dittatore?

Kiliçdaroglu è nato nella città di Dersim/Tunceli, nel villaggio di Ballica, una località molto povera e in continua migrazione dagli anni ’80, che oggi non raggiunge nemmeno 100 abitanti. Il leader del Chp, il Partito popolare repubblicano di stampo kemalista, è figlio di una famiglia numerosa e alevita.

GLI ALEVITI sono i “valdesi” dell’Islam, più progressisti e laici rispetto ai sunniti, in passato vittime di diversi genocidi, casi di discriminazione politica, mediatica e giuridica. La sua è la storia di un percorso di emancipazione dalla profonda e povera Anatolia verso una posizione di prestigio e riconoscimento.

Il ragazzo di Dersim si laurea nel 1971 in economia e commercio all’Università di Ankara e inizia a lavorare al ministero del Fisco come esperto di contabilità. Continua a lavorare nel settore e poi negli anni ’90 decide di tesserarsi al Dsp, il Partito democratico di Sinistra, all’epoca guidato da Bulent Ecevit, l’unico primo ministro di sinistra che la Turchia abbia mai avuto nella sua storia.

Kiliçdaroglu nella sua carriera professionale e politica ha sempre portato avanti una sistematica lotta contro lo spreco del denaro pubblico e la corruzione. Ha lavorato per dare visibilità ai maxi processi contro la corruzione, legati ad alcuni personaggi importanti del partito al governo, l’Akp, e la fondazione religiosa Deniz Feneri.

È diventato segretario generale del Chp nel 2010 dopo le dimissioni del suo storico leader Deniz Baykal, coinvolto in uno scandalo di ricatto per faccende legate alla sua vita privata.

Nella sua dichiarazione dei redditi pubblicata sul sito del parlamento nazionale, Kiliçdaroglu risulta essere proprietario di un terreno, due case, dieci quadri e un anello. Si tratta di un politico che si veste in modo pacato, non bada all’apparenza e alla dimostrazione della ricchezza.

IL FATTO CHE suo figlio, Kerem, abbia deciso di svolgere il servizio militare obbligatorio rinunciando al diritto di saltarlo pagando la quota prevista dalla legge, è uno dei gesti simbolici che distanzia Kiliçdaroglu dal suo avversario Erdogan.

L’attuale presidente dichiara in ogni occasione possibile che le sue macchine, i suoi aerei e il suo palazzo presidenziali sono «necessari» e suo figlio, Bilal, oltre a studiare negli Usa in un’università privata ha anche evitato il servizio militare pagando quella quota.

Sono soltanto alcune e piccole differenze tra i due avversari. A livello politico sono ovviamente molto diversi. Kiliçdaroglu sostiene che sia fondamentale ritornare al sistema parlamentare che la Turchia si è lasciata alle spalle con il referendum del 2017, per iniziativa di Erdogan.

Vuole eliminare dall’attuale Costituzione l’impronta della dittatura militare del 1980 e renderla più democratica, un’iniziativa mai presa da Erdogan. In particolare, l’attenzione del leader del Chp è volta ad abolire o cambiare radicalmente il funzionamento di una serie di simboli della giunta del 1980 come il sistema elettorale, l’Ente superiore dell’Istruzione e l’Ente superiore delle trasmissioni audiovisive.

Kiliçdaroglu prende spesso di mira i cambiamenti legislativi che l’attuale governo ha emanato in merito a bandi e appalti pubblici, finanziamenti erogati dalle banche statali, diritti delle donne, sistema giuridico, sistema pubblicitario per i giornali e in merito alla gestione delle risorse economiche da parte dei municipi.

SOSTIENE che oggi in Turchia tutta la magistratura sia al servizio del potere e sia essenziale ripristinare il sistema della separazione dei poteri. Una delle battaglie che ha reso famoso il figlio di Dersim è la sua lotta contro le criminalità organizzate che utilizzano la Turchia per riciclare denaro sporco, spacciare droga e reclutare nuovi terroristi fondamentalisti.

Infine, con un po’ di sfumature diverse, ci sono anche dei punti in comune tra Kiliçdaroglu e Erdogan: fedeltà alla Nato, continuità nelle relazioni economiche con l’Ue e orientamento al libero mercato.

Kiliçdaroglu è stato sempre critico nei confronti del governo rispetto alla questione siriana. Sostiene che sia fondamentale risanare i rapporti sia per calmare la situazione in Siria sia per rimpatriare gradualmente quei milioni di persone siriane presenti in Turchia da circa dieci anni.

A questo punto arriva la critica più severa di Kiliçdaroglu nei confronti dell’Ue: «Non devono essere sfruttati i rifugiati presenti in Turchia ma nemmeno il mio bel paese deve diventare una prigione per i rifugiati, costruita dalle forze imperialiste. Dobbiamo trovare una soluzione di reciproca responsabilità con l’Ue».

IL PROFILO LAICO, riformista, la sua posizione a favore dei diritti civili e per la difesa di un sistema giuridico indipendente sono alcuni dei principali punti che hanno portato Iyi Parti, Saadet Partisi, Gelecek Partisi, Deva Partisi e Demokrat Parti a sostenere la candidatura di Kiliçdaroglu.

Il 22 marzo il terzo polo, «Alleanze del Lavoro e della Libertà», composto da diversi partiti di sinistra, dove si posiziona anche l’Hdp, la sinistra turca e curda, ha deciso di non presentare un suo candidato.

La decisione che potrebbe essere interpretata come un sostegno per Kiliçdaroglu arriva due giorni dopo l’incontro avvenuto tra il leader del Chp e l’Hdp. Avvicinandosi alle elezioni è probabile che arrivi anche il sostegno de «L’unione delle forze socialiste», ossia la coalizione composta dai partiti socialisti e comunisti.

Secondo la maggior parte dei sondaggi le elezioni presidenziali del 14 maggio andranno al ballottaggio e nell’eventuale secondo turno, Kiliçdaroglu risulterebbe il vincitore. Per la prima volta Erdogan, secondo i sondaggi, si troverebbe in grande difficoltà.

PER LE ELEZIONI politiche la partita invece sembra ancora aperta: la coalizione che guida Kiliçdaroglu potrebbe non arrivare alla maggioranza se non ricevesse il sostegno di altre coalizioni.

Questo punto è tuttora una zona grigia. Mentre esiste un consenso generale sull’idea di sconfiggere Erdogan sostenendo Kemal Kiliçdaroglu, non si può parlare di un’alleanza nazionale pronta ad attuare un piano condiviso una volta vinte le elezioni.

Il 14 maggio saranno forse le elezioni più importanti della storia della Repubblica di Turchia sia per il futuro di Erdogan sia per la possibilità di fondare un paese democratico, laico e progressista.

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Istruzione differenziata, un giorno di riflessione con la FLC CGIL (di Rosamaria Maggio)

by Redazione Scuola | 25/03/2023 11:02

In una assemblea molto partecipata docenti, dirigenti scolastici e studenti, hanno discusso a Cagliari, con la partecipazione di rappresentanti sindacali, esperti e politici, di Autonomia differenziata con particolare attenzione all’istruzione.

Alcuni interventi meritano di essere segnalati, non per maggiore importanza ma perché, dovendo fare sintesi, hanno concorso a sottolineare aspetti per certi versi inediti.

Per prima la denuncia della rappresentante della FLC Sardegna, professoressa Emanuela Valurta, che ha richiamato l’attenzione sull’istruzione differenziata già in atto in Sardegna; denuncia che con il dimensionamento del Ministro Valditara si prevedono almeno 45 autonomie scolastiche in meno nei prossimi 2 anni e 700 in tutta Italia nei prossimi 5 anni.

Importante poi l’intervento del prof. Giovanni Coinu, costituzionalista dell’Università di Cagliari, il quale fa una lettura tecnico -laica della Costituzione cui è stato rapportato il DDL Calderoli. Quest’ultimo, sottolinea Coinu, tenta di normalizzare il tentativo di interpretazione dell’art.116 ma anche del 117 in modo che contempli la disunione del Paese. Egli ci ricorda che tutte le norme attuative di articoli costituzionali non possono disattendere il Principi fondamentali come quello di solidarietà (ar.2), di uguaglianza, (art. 3), autonomistico nell’unitarietà dello Stato (art. 5), tutti principi peraltro non modificabili.

Il prof. Coinu sottolinea anche che dal 2001, anno della riforma del titolo V, le Regioni hanno ben poco utilizzato i maggiori poteri loro attribuiti dalla riforma, ma hanno continuato a svolgere esclusivamente attività amministrativa allo scopo di utilizzare le risorse locali e statali senza coinvolgere gli organi legislativi in processi di innovazione normativa e di attuazione del titolo V. In qualche modo disattendendo la vulgata secondo cui tanta responsabilità dell’inefficienza dei governi regionali dipenderebbe proprio da quella riforma.

A questa argomentazione si accompagna utilmente l’analisi della Professoressa Sabrina Perra, sociologa dell’organizzazione all’Università di Cagliari. La Prof.ssa Perra sottolinea come dalle indagini statistiche portate avanti dal suo gruppo di ricerca, emerga come ci troviamo già di fronte ad una differenziazione nell’esercizio di diritti fondamentali, come la sanità e l’istruzione. Differenze non solo regionali ma anche di area all’interno della stessa regione.

Negli anni si è andati verso una privatizzazione di questi servizi acuendo così’ le differenze ed aumentando la spesa pubblica.

Con l’Autonomia Differenziata la situazione peggiorerebbe soltanto e ciò è in controtendenza anche rispetto ad altri paesi come ad esempio la Gran Bretagna, ove a Londra si stanno centralizzando nuovamente sia l’istruzione che la sanità, in quanto si è accertato che la privatizzazione ha peggiorato l’accesso ai servizi aumentando la spesa pubblica. Così pure sta accadendo in Francia.

Non si capisce come in Italia si ignorino anche i risultati delle analisi su qualità, accesso ai servizi e costi effettuati dai nostri studiosi.

Si sono poi susseguiti gli altri interventi in programma, da Dario Missaglia a Francesco Sinopoli, da Fausto Durante allo studente Michele Pintus dell’U.d.S, al Sindaco di Ossi Pasquale Lubinu, all’On. Francesca Ghirra e all’On. Salvatore Corrias.

Tutti uniti nella condanna di questo DDL, nella speranza che il Presidente Mattarella si rifiuti di promulgare la legge qualora giungesse a concludere il suo iter, ma soprattutto richiamando i presenti alla necessità di sottoscrivere la proposta di riforma costituzionale dell’art. 116, 3 co. della Costituzione, promossa dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e dichiarando la propria disponibilità a promuovere sul territorio la raccolta delle firme.

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