No all’ Autonomia differenziata. Ripartiamo dalle parole della nostra bella Costituzione (di Rosamaria Maggio)

No all’ Autonomia differenziata. Ripartiamo dalle parole della nostra bella Costituzione

Qualche giorno fa la “Scuola di cultura politica Francesco Cocco” ha organizzato un interessante seminario per esprimere la propria contrarietà al disegno di legge sull’Autonomia differenziata.

Il Ministro Calderoli aveva appena tramesso ufficialmente al Governo il testo della sua proposta di legge per l’attuazione dell’art. 116. 3 co. della Costituzione, al fine di farlo approvare entro gennaio, per l’attribuzione di una maggiore autonomia alle regioni che la richiedano, attuando così la cosiddetta Autonomia differenziata anche chiamata “spacca-Italia”. Ogni regione potrà richiedere una autonomia differenziata e il fatto stesso che alcune potrebbero chiederla e altre no determinerebbe una differenziazione delle varie autonomie.

Il processo di determinazione dell’autonomia differenziata ha natura pattizia. Si fonda su intese tra governo e regioni che, una volta concluse, non potranno essere modificate, ma solo accolte o rifiutate dal Parlamento, né tali intese potranno essere sottoposte a Referendum abrogativo.

In una intervista di qualche giorno fa all’Unione Sarda, il Ministro ha mandato in fibrillazione molti conterranei non solo sostenendo che l’autonomia differenziata, a suo dire, ricomprende anche le regioni a Statuto speciale, come anche sostenuto da alcuni giuristi, ma cercando il sostegno della nostra maggioranza regionale a lui molto vicina. Le notizie attuali ci dicono che i Presidenti delle regioni del sud sono pronti a stoppare questo disegno di legge e sembra che già Palazzo Chigi prenda tempo.

Durante il seminario la prima relazione è stata riservata al prof. Massimo Villone, costituzionalista e proponente, assieme a circa 120 colleghi, di una proposta di riforma costituzionale al fine di modificare una parte del titolo V ed in particolare gli artt 116 e 117. Egli ha sottolineato il suo punto di vista escludendo l’applicabilità del 116, 3co. alle regioni a statuto speciale. In particolare ha sottolineato che sia il disegno Calderoli che le norme riferite ai Lep (livelli essenziali delle prestazioni) nella legge di bilancio, sono leggi procedimentali che non stabiliscono il livello dell’autonomia differenziata di ciascuna regione, che verranno definite da intese, espropriando il Parlamento di ogni determinazione con ovvi aspetti di incostituzionalità. Non solo: la legge di approvazione delle intese è una legge cosiddetta rinforzata per cui, mentre la legge Calderoli può essere anche abrogata, la legge che approvi una intesa non potrebbe abrogarsi se una regione che la abbia sottoscritta non voglia cambiarla. Villone fa delle esemplificazioni riferendosi alla scuola.

Anche i criteri di determinazione dei livelli essenziali sono vaghi negli artt.791 e ss della legge di bilancio, in quanto viene stabilita l’invarianza della spesa. Se non vi sono risorse da investire per fornire a chi ha meno ciò che serve a realizzare il principio di uguaglianza, il risultato saranno Lep di livelli minimali. Dice Villone che sarebbe meglio parlare di Livelli uniformi delle prestazioni.

Nel 2001 è stata approvata la riforma del Titolo V per cercare di arginare il tentativo leghista secessionista. Questo aspetto storico non può essere dimenticato. Oggi quel tentativo che sembrava sventato si ripropone come autonomia differenziata.

Altre relazioni ed altri interventi sono seguiti all’intervento del Prof. Villone durante il seminario. Alcuni dei presenti hanno sottolineato la complessità della materia e la capacità del Prof. Villone di farsi comprendere dai non addetti ai lavori.

Alla luce di queste considerazioni, mi sembra quindi utile riprendere concetti come quello autonomistico così come espresso nell’art. 5 dei principi fondamentali della Costituzione.

Il principio autonomistico nel nostro sistema istituzionale, basato sulla unità e indivisibilità della Repubblica, riconosce e promuove le autonomie locali, che sono entità in sé e dispongono di poteri propri che discendono dalla Costituzione e che consistono nel potere legislativo ed esecutivo e che si esercitano nei modi previsti dal Titolo V con le differenze previste per le Regioni ordinarie e a Statuto speciale. In alcune materie le regioni hanno potestà legislative esclusive ed in altre potestà legislative concorrenti con lo Stato. Questa fu la scelta dei nostri Costituenti tra la ipotesi di uno stato federalista (in cui le regioni o gli stati federati possono essere titolari delle tre funzioni dello Stato in tanti campi, esclusi quelli riservati allo stato federale come ad es.la rilevanza internazionale) e quella di uno stato unitario. I nostri Costituenti fecero la scelta di uno stato unitario, fondato sull’ autonomia e sul decentramento amministrativo, e non quella federalista. Qualche giorno fa ho ritrovato un articolo di Francesco Cocco, cui è intitolata la Scuola di cultura politica. In un pezzo dedicato al ricordo di Renzo Laconi nel 2016 a 100 anni dalla nascita, il termine usato da Cocco è “regionalismo”.

Noi abbiamo cercato, come Scuola di cultura politica, di riflettere anche sulla storia di questa regione, storia che non solo non deve rinnegarsi ma deve essere utile a valutare le esperienze virtuose che la Regione ha portato avanti in tempi purtroppo ormai lontani, cosa che rende utopistiche idee di riproposizione attuale di istanze indipendentiste ma anche federaliste a causa delle diverse condizioni storiche, economiche e sociali, nonché per la necessità di contestualizzazione.

L’esperienza dei costituenti Lussu e Laconi è ormai lontana, non vedo francamente politici di tale spessore e non dimentico che essi riuscirono a trovare un valido compromesso nell’approvazione dell’art. 5 della Costituzione che riconosce le autonomie, pur nella indivisibilità dello Stato.

Dice Villone che è importante difendere la capacità delle comunità locali di governarsi, ma bisogna tracciare una linea netta tra ciò che conviene fare e ciò che non conviene, perché altrimenti ci indeboliamo tutti.

L’intervista a Calderoli più che tranquillizzarmi mi inquieta. Non solo fa la sviolinata della regione autonoma che deve poter accedere alla maggiore autonomia tramite le intese, ma si riempie la bocca di questo nuovo testo che, a suo dire, supera il criterio della spesa storica per accedere a quello del costo e fabbisogno standard, una volta che vengano stabiliti i livelli essenziali delle prestazioni.

Ora, ovviamente, senza conoscere il testo non si può dire molto. Si può solo precisare che cosa significano costi e fabbisogni standard per la realizzazione dei Lep, che è quanto afferma il Ministro nella sua intervista.

Infatti costi e fabbisogni standard riferiti alla realizzazione dei Livelli essenziali delle prestazioni sono categorie microeconomiche che fanno intuire che i livelli delle prestazioni si attesteranno su livelli minimali.

Certamente non possiamo analizzare qui questo aspetto ancor prima di vedere l’articolato, né penso che dovremo giocare in difesa.

Anzi penso che la proposta dei costituzionalisti come ampiamente presentata dal Prof. Villone, rappresenti una azione politica tutt’altro che di retroguardia o difensiva, ma appare come una fondamentale proposta oppositivo/costruttiva.

Certamente l’opposizione deve fare la sua parte ed infatti si oppone al disegno Calderoli anche presentando in Senato una interrogazione.

Il prof. Villone ci ha spiegato quali sono i punti della proposta di modifica del Titolo V:

1)riscrittura 3 co. Art.116;

2)parziale riscrittura delle materie di competenza esclusiva o concorrente;

3)introduzione nell’art.117 di una clausola a tutela dell’unità giuridica ed economica.

Non si tratta di una riscrittura totale del titolo V.

Che cosa succederebbe se la proposta Calderoli venisse approvata?

Già molti problemi sono venuti a galla durante la pandemia a Titolo V invariato. Il principio di sussidiarietà non è stato applicato ed abbiamo vissuto sulla pelle, in piena pandemia, le conseguenze di una regionalizzazione della sanità ovvero le conseguenze di una competenza legislativa concorrente delle regioni in materia sanitaria, così come previsto dal vigente art.117 della Costituzione. Questo sistema, se da un lato consente ad un paziente di accedere alle cure in qualunque servizio sanitario regionale del paese, drena risorse da una regione all’altra, riducendo la possibilità di migliorare la sanità regionale perché privata dalle risorse che vanno altrove, favorendo così che centri di eccellenza migliorino sempre di più ed in periferia la qualità diventi sempre peggiore. Non voglio immaginare se criteri simili si diffondessero nell’istruzione con la autonomia differenziata. E’ notizia di oggi che il Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara si porta avanti col lavoro da buon leghista e propone una retribuzione differenziata per gli insegnanti del Nord e del Sud. Come precisa Villone, regionalizzare la scuola significa poter controllare la formazione del consenso di una grossa fetta di popolazione.

Credo che la dimensione europea che ci vede protagonisti dovrebbe spingerci semmai a perorare l’idea di un federalismo europeo che preveda una tutela della sicurezza comune, un fisco unitario europeo, una normativa comune a tutela del lavoro, una difesa unitaria su tutto il territorio europeo.

Vi è una questione che rende l’opzione per la proposta di riforma di iniziativa popolare la più costruttiva rispetto ad altre soluzioni paventate e cioè il fatto che tale disegno di legge di iniziativa popolare non resterà senza effetto, perché la riforma del regolamento del Senato prevede che tale disegno debba essere necessariamente calendarizzato.

Ciò significa che occorre intensificare la raccolta, per un totale di 50.000 firme, proponendoci come Scuola di cultura politica di replicare iniziative simili nel territorio.

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