Pd senza segretario, sulle dimissioni di Zingaretti

by Redazione Scuola | 05/03/2021 08:10

Pd senza segretario, sulle dimissioni di Zingaretti

di Fernando Codonesu

pubblicato anche su democraziaoggi[1]

Qualcosa di nuovo.
L’ultima fotografia diffusa oggi dell’Istat parla di oltre due milioni di famiglie che non possono permettersi le spese indispensabili per poter vivere dignitosamente, come essere tornati a ben 15 anni all’indietro nel tempo da un punto di vista sociale a causa del Covid, non più nel 2020 quindi ma nel 2005, con un ulteriore milione di persone entrate in povertà che si aggiungono agli altri milioni di poveri già registrati.
E il PD che fa?
Zingaretti scrive: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.
Il PD è senza segretario. Alla lunga, neanche tanto a dire il vero, la continua guerra di logoramento contro Zingaretti voluta dai maggiorenti del PD, in larga parte renziani della prima ora rimasti a presidiare con forza quel partito, ha avuto la meglio. Quando sei cannoneggiato tutti i giorni dall’esterno, dai cosiddetti avversari, soggetto al fuoco amico degli esponenti del tuo stesso partito, preso a sciabolate da chi ha condiviso tutti gli atti e le decisioni assunte unanimemente negli organismo dirigenti, veramente si comprende la forza dirompente del detto: “dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Iddio”.
Si, è proprio troppo. Troppo per un segretario debole e non certo carismatico, ma sicuramente affidabile rispetto ad altri che si sono succeduti e, salvo prova contraria, onesto e che ha evitato un tracollo ben maggiore di quel partito negli ultimi anni due anni della sua segreteria.
Un partito, comunque, che non governa nessuna regione del Nord Italia che rappresenta oltre il 60% del PIL del paese e questo è un fattore di grave e irreversibile crisi di credibilità generale.
Un partito presidiato dai pretoriani renziani armati che controllavano a vista il segretario dall’interno, oltre ai 50 parlamentari che dall’esterno, leggasi Italia Viva di Renzi, erano e sono intenzionati a riprendersi quel che resta di quel partito. I fatti degli ultimi mesi vanno in questa direzione e sono precipitati all’improvviso con la nascita del governo Draghi.

Nel riposizionamento generalizzato del potere in Italia, acuito più che mai dal governo Draghi, giova fare qualche considerazione sulla corsa al centro da parte dei tanti partiti presenti nel palcoscenico della politica italiana e, ultimo in ordine di tempo, il M5S a guida Conte secondo il pensiero, si fa per dire, espresso da Di Maio e sulla necessità inderogabile di porre fine anche solo all’idea di un partito di sinistra.
Intanto si definisce centro, ma si intende destra, anche se non lo si dice espressamente.
Almeno dal mio punto di vista, quando si rinnega la sinistra e ci si sposta al centro si va a destra, non esistono vie di mezzo.
L’importante è che non ci sia la sinistra: è questo il tratto dominante della politica attuale.
Questo è un processo che dura ormai da tempo, a partire dalla nascita del PD, un partito originato da una fusione fredda tra il PDS e la Margherita, quel che restava di quei grandi partiti di massa del novecento che furono il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana.
Alla pari del ben noto bluff planetario della fusione nucleare fredda di Fleischmann e Pons del 1989 immaginata con la fusione dei nuclei degli atomi di deuterio che non ha mai generato energia pulita, non un kilowattora neanche di quella di origine fossile a dire il vero, da tempo si è riconosciuto che quella che è stata definita la fusione fredda tra due forze politiche, il PdS e la Margherita, non ha mai generato un partito vero, caratterizzato da una precisa identità.
Per alcuni un aborto, per altri un ircocervo, animale inesistente, per altri semplicemente un ibrido capace di mimetizzarsi come un camaleonte a seconda dello spirar del vento o delle pretese del mondo dell’impresa, dei poteri forti e della onnipresente ideologia liberista sul cui altare tutto viene sacrificato, ma sicuramente non un partito riconoscibile, identificabile e affidabile per uno schieramento di strati sociali afferenti al mondo del lavoro, della piccola e media impresa, delle donne, dei giovani. Un partito riconoscibile e affidabile per gli strati sociali che pagano le tasse.
Appunto, due forze che di tanto in tanto si incrociavano sulla tolda di comando, ma che perseguivano idee, progetti e strategie differenti. Un partito di sinistra, forse in qualche breve periodo e in qualche frangente, ma mai negli atti di governo. Molto di più, invece, un partito di centro ovvero di stampo democristiano come si conveniva e si conviene ai Franceschini, Letta, Del Rio, Marcucci, Renzi, etc.
Con meno sinistra, per cui in pochi anni niente spazio per i Dalema, Bersani ed ora Zingaretti.
Zingaretti, uno degli ultimi esponenti della sinistra, impegnato comunque nel disegnare un partito più di sinistra all’interno del perimetro allargato del centrosinistra. E per questo scomodo, specialmente di questi tempi.
Una persona per bene, anche se questo non basta per farne un leader.
Certo, si è adagiato troppo su Conte e quest’ultimo che, forse avrebbe potuto guidare uno schieramento politico reale da sperimentare sul campo comprendente il PD, i 5S e i raggruppamenti vari della sinistra oggi riconoscibili in LEU, con l’ultima scelta da leader dei 5S ha affossato anche questo potenziale progetto.
E poi quella giravolta in un solo giorno che dall’indicazione di Conte come unico leader dello schieramento progressista va immediatamente all’abbraccio di Draghi, anche se, a dire il vero, nel contesto attuale non poteva fare molto di più.

Un partito senza identità, sicuramente privo di un’identità di sinistra, ma in cui si fa fatica anche a individuare una identità di centrosinistra.
Molta Margherita che è come dire, molta ex Democrazia Cristiana, con tutto quello che significa per chi appena ricorda le scelte di quel partito e di quegli uomini nella prima repubblica.
Certo non sfugge che quel partito è stato capace di boicottare Prodi come candidato presidente della Repubblica, vedasi i famosi 101 secondo molti osservatori guidati da Renzi, ha silurato Bersani come segretario del partito nel 2013 con la regia di Napolitano, e da lì è nata la segreteria Renzi che poi ha sostituito Letta al governo con la famosa frase da Giuda “Enrico, stai sereno”.
Insomma, più che un partito, un nido di vipere.
E ora una riflessione amara sulla sinistra che non c’è, proprio quando sarebbe bisogno più che mai di un partito di sinistra in grado di rappresentare gli interessi e le aspirazioni dei vasti, vastissimi strati della popolazione italiana che si trova sempre più ai margini dei processi decisionali, senza prospettive di crescita economica, politica, culturale e sociale.
Che dire poi di quel che è successo a LEU con il governo Draghi?
Contrariamente a quel che ci insegna la matematica, sono capaci di costituire tre gruppi pur essendo solo in due: è la maledizione della scissione continua e senza fine.

E’ questo ciò che resta del giorno della sinistra?

La realtà è che Zingaretti non ha fatto in tempo a dare una connotazione di sinistra al PD perché non è andato alle elezioni politiche: solo in quel caso avrebbe potuto scegliere i propri candidati dando a quel partito un’impronta e un’identità sicuramente più a sinistra rispetto a quella che caratterizzava ierei e caratterizza oggi il partito sempre egemonizzato dagli ex democristiani.
Personalmente credo che le dimissioni siano una cosa seria e per questo auguro e suggerisco a Zingaretti di non farsi incantare dalle sirene che intoneranno il richiamo con voci suadenti o peggio ancora farsi fregare da chi gli chiederà di tornare, di ritirare le dimissioni e di restare: diventerebbe un ostaggio senza più credibilità alcuna, una vaso di coccio tra vasi di ferro, ancorché ferro arrugginito e in decomposizione.

Forse bisogna prendere atto definitivamente che chi viene dalla DC, leggi Margherita, è interessato ad inseguire la forza attrattiva del “centro”, ma quello è un luogo adimensionale geometricamente parlando con un riverbero certo anche in politica, e il rischio è che i molti che intendono contenderselo finiscano con elidersi a vicenda.
Insomma, per chiarezza politica, separarsi è un bene, e se due forze hanno riferimenti ideali e strategie diverse è bene che scelgano strade diverse se ciascuna vuole riprendere un percorso di ricostruzione chiaro, riconoscibile e identificabile senza confusione alcuna.
Le dimissioni di Zingaretti fanno parte del processo di normalizzazione dell’Italia iniziato tempo addietro e accelerato fortemente con la nascita del governo Draghi.
Chi dentro quel partito, e sono tanti sia nei quadri dirigenti e territoriali e soprattutto nell’elettorato, si riconosce veramente nei valori di base della sinistra provi convintamente a intraprendere tutte le azioni possibili per rimetterne insieme i vari pezzi per riscriverne la storia, e lavori per costruire una strategia adeguata alla luce dei bisogni attuali del paese.

 

Endnotes:
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