REDDITO DI CITTADINANZA: così è (se vi pare) (di Giovanni Umberto Corsini)

Anche in questa squinternata campagna elettorale compare ogni tanto l’accusa alla sinistra di aver fatto una legge che premia i fannulloni e che toglie risorse ad altre più importanti iniziative sociali. I toni su questa legge si fanno sempre più aspri anche perché il fautore e sostenitore più acerrimo del reddito di cittadinanza è passato ad altra sponda, per di più sostenendo che forse ora ci sono interventi più urgenti. Sempre più spesso si sente dire la “bestialità” che il costo del reddito di cittadinanza avrebbe impedito di abbassare le tasse, non tenendo conto che questi due strumenti d’intervento sociale hanno significati e finalità completamente differenti. Si sa che in campagna elettorale si può dire ciò che si vuole, ma decenza vorrebbe che si avesse più rispetto per l’intelligenza dei cittadini. Inoltre, sempre più viene detto che coloro che percepiscono questo ausilio non hanno nessuna intenzione di trovare un lavoro anche quando questo venga loro proposto e che, invece, sono pronti al cumulo con soldi percepiti in nero. Al disprezzo per coloro che usufruiscono di questo sostegno si aggiunge, spesso, il dileggio siano questi di pelle bianca che di colore. Al di là delle animosità più o meno strumentali, le statistiche su quante persone lo percepiscono e su quanti riescono a trovare lavoro, non sono sempre realistiche in quanto variabili a seconda che siano espresse dai partiti di destra o di sinistra. E’ facile manipolare i dati a questo riguardo, magari esprimendoli per settori di età o per censo di qualche parente oppure fornire statistiche tra attività lavorativa offerta e realmente accettata, non considerando tipo, luogo di svolgimento e retribuzione relativa. Spesso il lavoro non viene accettato perché il salario è estremamente basso o, per qualche motivo, umiliante. I casi documentati e resi pubblici di reale sfruttamento sul lavoro sono tanti, il cui numero tuttavia è sicuramente sottostimato.
E’ certo che la legge debba essere migliorata per permetterne un’applicazione più corretta e più efficace al fine di ridurre la vera povertà e incentivare soprattutto i giovani al lavoro attuando efficienti centri per l’impiego. Purtroppo, spesso, manca proprio la materia prima: il lavoro stesso. A volte sono proprio i giovani che hanno problemi di scarsa attitudine all’attività lavorativa rimanendo economicamente sulle spalle dei genitori. Le cause più frequenti nascondono problemi che riguardano la famiglia o la scuola, oppure sono di natura psicologica. Un allarme è venuto dall’OMS ormai tanti anni fa sul gioco d’azzardo, con l’avvento delle famose “macchinette mangia soldi” e sui video giochi, che costituiscono tuttora un serio pericolo per la dipendenza che inducono e non solo sui giovani. Queste dipendenze rivelano la presenza di veri e propri disturbi compulsivi che limitano in questi soggetti la capacità di creare rapporti sociali validi e di sviluppare la creatività, caratteristiche fondamentali per realizzarsi nel lavoro. Inoltre, non tutti sanno che esistono anche persone, soprattutto giovani, che presentano specificamente difficoltà psicologiche al lavoro pur avendo un quoziente intellettivo normale e nessun problema psichiatrico rilevante. Queste persone non riescono a mantenere un lavoro o comunque non riescono ad aderire a regole, orari, rapporti umani di certi lavori. La gran parte di queste persone presentano vari sfumati disturbi che non costituiscono una reale sindrome ben classificabile da diagnosi certe e conosciute nei manuali diagnostici di psichiatria. Queste forme sfuggono al riconoscimento della “invalidità civile” e quindi non traggono quei vantaggi socio economici che questa classificazione comporta. A volte i soggetti presentano disturbi del sonno, a volte vaghi spunti ossessivi spesso accompagnati da comportamenti di evitamento; vaghi e periodici disturbi d’ansia accompagnati da un lieve calo del tono dell’umore; più spesso difficoltà a concentrarsi con dubbi anancastici e stanchezza fisica con dolori muscolari diffusi. Le diagnosi che vengono fatte su questi soggetti sono le più varie e vanno dall’ autismo sotto soglia al disturbo da deficit d’attenzione, dal disturbo d’ansia al disturbo della condotta, dal disordine di personalità alla sindrome da stress post traumatico, dalla dislessia alla psicoastenia. Tutte diagnosi che non vengono però confermate e che difficilmente rispondono ai trattamenti convenzionali. Spesso questi soggetti si creano lavori non impegnativi e marginali, che non creano obblighi o scadenze temporali e che possono gestire da casa. Tutto ciò comporta che queste persone, non lavorando produttivamente, non riescono a crearsi una situazione familiare adeguata e rimangono economicamente indigenti. Sapere quanta parte di coloro che non lavorano sia dovuta a questa situazione psicologica, penso sia difficile da calcolare proprio per la difficoltà d’inquadramento nosografico. Tuttavia il problema sembra, dai rilevamenti dei medici di famiglia, di discreta portata sociale. L’ironia vuole che proprio queste persone, per la maggior parte, non aderiscano al reddito di cittadinanza in quanto non vogliono riconoscere, essi stessi, questo loro problema perché troppo umiliante. E’ proprio vero come, in questo caso, il lavoro, come afferma la nostra Costituzione, conferisca quella dignità che è a loro incolpevolmente negata. Quindi è doveroso avere rispetto per chi, per qualunque motivo, non può lavorare. Conoscere le cause dell’inabilità al lavoro, crea le condizioni per intervenire più efficacemente sul dramma sociale della povertà. Il reddito di cittadinanza, che ha dato luogo a contraddizioni e becero chiacchiericcio di pirandelliana memoria, rappresenta comunque un importante intervento sociale per ridare, col lavoro, dignità alle persone.

Reddito di cittadinanza e propaganda (di Roberto Loddo, da www.manifestosardo.org)
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