Decadenza Todde, dalla nobiltà del dramma politico alla miseria della farsa giudiziaria (di Fernando Codonesu)

Il tema della decadenza della Todde è una questione politica non un caso giudiziario.
Non sono un giurista e credo che questo status sia paradossalmente un vantaggio nell’analizzare il caso Todde e dire la mia. Questo perché da elettore, impegnato sul fronte politico culturale, sono più che interessato al caso Todde, come credo lo sia la maggior parte dei sardi.
Dico che sono interessato alla questione “decadenza” per le gravi implicazioni che questo caso può ancora dispiegare, comprese le elezioni anticipate che molti danno come altamente probabili, e quelle che ha già riverberato nella società sarda in questa prima parte dell’anno che riguardano principalmente la sua credibilità politica, quella della giunta, dell’intera maggioranza e dell’elettorato tutto, di chi l’ha votata e di chi ha votato contro.
Dai primi giorni di gennaio, quando il Collegio di garanzia istituito presso il Tribunale di Cagliari quale organo di controllo per la verifica della regolarità dei processi elettorali, ha fatto i suoi passi doverosi a causa del pasticcio sulla rendicontazione è stato tutto un fiorire di articoli e prese di posizione quasi interamente dominate dall’approccio “giudiziario”.
Invano Andrea Pubusa, giurista di chiara fama dell’università di Cagliari che ha contribuito a formare avvocati e magistrati, ha posto sull’avviso che il procedimento non era concluso in quanto privo del necessario pronunciamento del Consiglio regionale.
Un appello ripetuto fino allo sfinimento quello di Andrea Pubusa, ma del tutto inutile: non c’è più sordo di chi non vuol sentire, soprattutto se il richiamo viene dal proprio vecchio professore!
Diciamolo con più schiettezza e semplicità: si è trasformata una questione squisitamente politica, dirompente come non mai, ma risolvibile politicamente in una lunga, costosa e stancante cavalcata giudiziaria, perdente da tutti i punti di vista, perché si tratta di una corsa di due istituzioni, ahinoi, a cavalcioni di un “ronzino”.
Il risultato tutto politico è che si dovrà tornare, a tempo ormai scaduto e in tutt’altre condizioni, al Consiglio regionale che avrebbe dovuto giocare la partita e vincerla nei primi giorni di gennaio.
Ma non si tratta solo del Consiglio regionale che viene in seconda battuta e ci riguarda tutti perché è l’istituzione che ci rappresenta tutti.
La palla inizialmente era in mano alla presidente Todde (lo è tutt’ora, ma si sta facendo sempre più tardi per dirla con Tabucchi) che, lo si voglia o no, con la legge elettorale che abbiamo – questo vale per tutti i presidenti di regione – è in una posizione sovraordinata rispetto al Consiglio.
Vediamo perché.
La presidente già ai primi di gennaio avrebbe potuto prendere atto dell’ordinanza-ingiunzione del Collegio di garanzia, avrebbe dovuto scusarsi per il pasticciaccio della rendicontazione (impensabile per le persone di buonsenso, inaccettabile da chi ha guidato quella campagna elettorale), pagare la multa comminata, dimettersi per evidente responsabilità innanzitutto del suo Comitato elettorale (tutti i partiti del Campo Largo con il “frontman” avvocato di professione ed esperto di “pane carasau”, secondo le cronache locali dovute a sue stesse orgogliose dichiarazioni), riconoscere le sue responsabilità comunque presenti ed andare immediatamente a nuove elezioni.
Secondo il mio modesto parere avrebbe rivinto alla grande, altro che con i risicati “3.000” voti di differenza del febbraio ‘24!
Non solo avrebbe vinto, ma sarebbe stata nelle condizioni ideali per liberarsi di parte della “burrumballa” del suo cerchio magico che tanto magico non è, anzi, a giudicare da ciò che è stato messo in campo in questo anno e mezzo, lo si può vedere come l’emblema di un cerchio tanto infernale quanto inutile.

Purtroppo la presidente ha agito in maniera diametralmente opposta a quanto appena detto. Dalla tolda di comando del ruolo di “commander in chief“ la immagino, forte del sostegno (ancora convinto?) della diarchia imperiale romana che la impose come candidata presidente contro lo stesso parere del 5S sardi, e memore del fortunato film “Il gladiatore” di Ridley Scott, dire ai suoi: al mio segnale, scatenate l’inferno!
E i suoi avvocati, non certo gran parte degli elettori del campo largo (io tra questi), ben contenti e fregandosi le mani pensando alle proprie tasche piene dei prossimi lauti compensi, giù a preparare ricorsi, appelli, contro ricorsi e conflitti di attribuzione alla Consulta con parcelle professionali proporzionali alla durata dei processi, e con la soluzione politica ben più efficace e a portata di mano riposta definitivamente in un cassetto chiuso a chiave.
Il buon senso suggerirebbe che quando si intraprende la strada giudiziaria, soprattutto per il rispetto del proprio ruolo, bisognerebbe rispettarne anche le varie determinazioni, intendo dire le sentenze che vengono pronunciate fermandosi finché si è in tempo: questo procedere ad oltranza ogni costo pur di guadagnare tempo senza un’assunzione di responsabilità politica non giova né alla presidente né a chi l’ha sostenuta.
E veniamo al Consiglio che avrebbe dovuto esprimersi subito sulla decadenza. Poiché era impensabile un suicidio collettivo avrebbe potuto deliberare con facilità e immediatamente sulla “non decadenza” della presidente con tre possibili posizioni della minoranza: votare contro, uscire dall’aula, astenersi.
Il risultato scontato sarebbe stato di 36 voti a favore e gli altri 24 ripartiti secondo i tre casi ipotizzati.
Fine della partita!
Aggiungo anche la possibilità della richiesta del voto segreto e in quel caso è facile ipotizzare che la delibera di “non decadenza” avrebbe avuto anche un buon numero di voti in più provenienti dal centrodestra.
Nessuno era interessato ad andare al voto nel mese di gennaio o giù di lì, tanto meno il centrodestra.
Questo pasticcio sarebbe stato risolto subito, ma ora è tardi, troppo tardi.
Non solo il Consiglio non ha fatto quanto dovuto, ma ultimamente ha addirittura suggerito e preteso che la presidenza sollevasse un altro conflitto di attribuzione alla Consulta su una materia che è di sua esclusiva competenza.
Questo è un modo di fare che squalifica e fa scadere nel ridicolo l’intero Consiglio regionale.
Che dire? Mi sembra una situazione kafkiana, così paradossale che può essere comprensibile solo dopo una lettura attenta del noto saggio sulla stupidità umana di Carlo M. Cipolla.
Da qui, per quel che può servire, un mio appello accorato a tutti i capigruppo, ma principalmente a quelli della maggioranza che ho sostenuto, per salvare almeno la dignità dell’istituzione di cui fanno parte: deliberate subito sul tema della decadenza perché questo rientra tra i vostri doveri. Lo dovete fare per l’istituzione di cui fate parte, per la politica, per gli elettori che vogliono continuare a votare e, perché no, per voi stessi!
Sono sicuro che sul punto si troverà un modus operandi accettabile anche dalla minoranza.
Obtorto collo, il Consiglio sarà chiamato a deliberare perché questo “tirare a campare” per via giudiziaria non permetterà comunque di arrivare alla fine della legislatura e la credibilità politica della maggioranza continuerà a venir meno giorno dopo giorno.
Questo modo di fare mi fa ripensare alla prima repubblica, con il ben noto caso della furbizia da volpe di Andreotti che su questo tema era maestro a cui qualcuno ricordò altrettanto scaltramente che “prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria!”.
In questa vicenda dobbiamo prendere atto che il dramma del caso politico si è trasformato nella farsa degli inutili ricorsi giudiziari mirati solo a perdere tempo.
Con spirito laico dobbiamo registrare su questo caso l’inadeguatezza da parte delle massime istituzioni regionali: questo è il danno più grave che si sta arrecando alla democrazia sarda.
Per questo motivo il Consiglio regionale deve avere un sussulto di dignità e agire di conseguenza subito, senza ulteriori esitazioni e colpevoli ritardi.

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