Disagio giovanile, povertà educativa e criminalità: la risposta è il decreto Caivano? (di Rita Sanna)

Intervento di Rita Sanna al seminario del 16 ottobre 2023

Qualcuno ha definito Meloni, Valditara e Piantedosi come una bomba a grappolo di cultura reazionaria.

È proprio così e le loro vittime, permettetemi di usare un termine legato alla guerra che è molto doloroso in questo momento, sono i giovani e i ragazzi.

I tragici fatti di Caivano e Palermo hanno prodotto alcuni blitz nelle periferie urbane, la visita in grande spolvero al Parco Verde e un decreto legge.

È evidente la pura occasionalità propagandistica del gesto. Trattare come un’emergenza situazioni che fanno parte invece del vissuto quotidiano di tanti cittadini, purtroppo di tante ragazze e ragazzi che abitano le nostre disastrate periferie, è offensivo, è un’assoluta mancanza di rispetto oltre che la dimostrazione dell’ignoranza, nel senso di non conoscenza, dei territori che ci si trova a governare.

Gli insegnanti sanno bene che non è la repressione ciò che occorre, ma la prevenzione.

Vorrei fare riferimento ad alcuni aspetti che sono stati analizzati stasera sia all’interno del decreto legge sia negli interventi dei relatori.

Cito quelli che, da donna di scuola, mi stanno più a cuore e che non riguardano solo la scuola, che spesso viene vista come un universo concentrazionario, dove ciascuno ha il suo ruolo e il suo posto dove stare e troppo spesso la bellezza, la creatività, l’entusiasmo, l’attenzione al nuovo dei nostri studenti e studentesse non trovano spazio.

Un universo organizzato con regole rigide mentre avremmo bisogno di orari flessibili, di personale in più, insegnanti ma non solo, di figure di riferimento – non parlo certo degli “orientatori” – in grado di costruire con noi proposte per affrontare, insieme, i problemi che ogni giorno affrontiamo.

Cosa ci serve per contrastare realmente la dispersione scolastica? Indubbiamente più scuola, ne ha parlato la segretaria della FLC CGIL Francesca D’Agostino nel suo intervento, ma non solo.

Sappiamo che quando si chiude una scuola in un quartiere di periferia o in un centro storico degradato o in un piccolo centro, a quel punto si rende visibile nella sostanza l’azione dello stato.

Nel decreto si propongono finanziamenti a termine, che non affrontano i problemi dal punto di vista strutturale, ma allo stesso tempo il Ministero dell’Istruzione e del Merito riduce il numero delle istituzioni scolastiche.

Penso alla situazione della Sardegna: si lasciano intere comunità senza le scuole ma anche senza medici, senza servizi sanitari, senza l’ufficio postale, senza una farmacia. E poi si piange sullo spopolamento.

Trovo inaccettabile l’equiparazione tra adulti e minorenni non solo dal punto di vista giuridico ma nella sostanza dei fatti. E mi chiedo che senso abbia, come la si voglia affrontare concretamente.

Non mi piacciono i modelli o le soluzioni che ci vengono proposti, così non come non mi piacciono il linguaggio e le parole che vengono usate per definirli

Non mi piace la parola elusione, invece che dispersione e abbandono, che non dà conto della gravità del problema.

Non mi piace la parola Daspo, che rimanda a provvedimenti che sono partiti dall’ambiente della violenza della tifoseria calcistica.

Non mi piace la metafora del lupo, che colpevolizza le vittime.

Non mi piace la didattica orientativa che vuole orientare al lavoro sin dalle elementari.

Soprattutto non mi piace non mi piace la parola filiera, figlia di un’idea di scuola che si è esplicitata e concretizzata con la ministra Moratti e ha inquinato, un po’ sottotraccia inizialmente ( la scuola azienda, vi ricordate? ) , producendo non più scuola ma modifiche di programmi e curriculum, tagli alle ore di discipline come la storia, la geografia o il diritto che servono a capire il mondo.

Aggiungo in conclusione che sono importanti non solo le scuole ma gli archivi e le biblioteche, le ludoteche, che fanno cultura anche nei piccoli centri e nei quartieri, che avvicinano i ragazzi attraverso i loro interessi più immediati, che vanno valorizzati e accolti, per favorire la “formazione dell’uomo e del cittadino” ( cit. Nuovi programmi della Scuola Media, 1979)

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