Finché c’è guerra, c’è speranza (di Fernando Codonesu)

Finché c’è guerra, c’è speranza

“Armi, armi, armi”, chiedono all’unisono Zelensky e il ministro degli esteri Kuleba.
Il significato è uno solo: guerra, guerra, guerra!
Qui in Italia, con le decisioni del governo Draghi sul riarmo e la recente decisione della Commissione Finanze di recepimento della direttiva europea del 2019 sull’esclusione dell’IVA dalla vendita delle armi da guerra, quasi che si trattasse della farina e del pane, mi fa pensare, ancorché non volendo, a quella espressione che ritenevo dimenticata per sempre, Armiamoci e partite!
Nei giorni più recenti, dopo una sfortunata apparizione di Zelensky nel parlamento israeliano e l’uso improprio della parola “olocausto” prontamente e sdegnosamente rifiutata dai massimi rappresentanti di quell’assemblea, dalle stesse bocche ucraine risuona e si diffonde la parola “genocidio, genocidio, genocidio”.
La si dice, la si urla, la si ripete ossessivamente e la si diffonde su tutti i media così che, si pensa, si arrivi automaticamente al suo “inveramento”.
Si tratta di una parola forte e grave che andrebbe usata con moderazione e grande attenzione, ma tant’è: la si usa con molta, troppa disinvoltura.
Questi sono i tempi che stiamo vivendo.
Tempi moderni o siamo di nuovo all’Uomo del mio tempo di Salvatore Quasimodo?
Quando la parola è forte e la frequenza è quella giusta è facile registrare l’effetto risonanza e, ancora più forte e confuso, l’effetto eco, tanto è vero che subito, perfino oltre l’Atlantico, il vecchio presidente impegnato in una prossima scadenza elettorale dall’esito quanto mai incerto e potenzialmente foriero di sconcerto, non solo da quella parte del mondo, la raccoglie subito e si adegua entusiasta alla sua declinazione pratica forte che ha un solo significato: bisogna armare.
La guerra come necessità per la produzione, il commercio e l’invio delle armi!
E’ quello che sta succedendo e sembra che si tratti di una deriva, un’inerzia del sistema come moloch, un demone ormai inarrestabile.
Che siano i neuroni specchio utili a spiegare la conseguente empatia di tutto l’Occidente per tali richieste al punto da non profferire mai l’espressione “iniziativa di pace” come se ce ne dovessimo vergognare, oppure che si tratti di un’ulteriore dimostrazione dell’entaglement dei sistemi fisici già teorizzato da Erwin Schrodinger nel 1935 sulle correlazioni quantistiche a distanza, fatto sta che a varie latitudini si sente solo il suono possente dei tamburi di guerra e della chiamata alle armi mentre in Ucraina risuonano costantemente solo le campane a morto.
Infatti, anche alla parola ripetuta “genocidio, genocidio, genocidio” corrisponde “guerra, guerra, guerra” che si traduce nell’invio di “armi, armi, armi”. Nello specifico caso del presidente degli USA, poi, questo gli semplifica la decisione di inviare le armi grazie al potere presidenziale di bypassare il Senato in presenza di un affermato e urlato “genocidio”, ancorché non provato.
Un’altra considerazione spero che sia permessa: non c’è una guerra santa, una guerra tra religioni diverse, tra il patriarca di Mosca Kirill da una parte e padre Taras di Kiev dall’altra, semplicemente perché siamo nello stesso campo cristiano di due chiese entrambe ortodosse, ancorché vi sia un movimento in atto, non armato, per la detronizzazione di Kirill da parte della chiesa ucraina.
Anche qui viene da dire, Povero Gesù di Nazareth, se questo è l’epilogo di parte dei suoi credenti!

Insomma, niente iniziative di pace e lo stesso papa Francesco che intendeva far fare le ultime due stazioni della Via Crucis del venerdì santo a un’infermiera ucraina e a una specializzanda russa di un noto ospedale romano è stato letteralmente e freddamente “sconsigliato” dal portare avanti quel “gesto di pace” dall’attuale ambasciatore ucraino presso il Vaticano.
Francesco però è andato avanti e questo fa ben sperare tutte le persone di buona volontà che hanno a cuore le ragioni della pace.
E allora immediato corre il pensiero a quel famoso film del 1974 di Alberto Sordi (regista e protagonista) intitolato “Finché c’è guerra c’è speranza”. In quel film, Sordi diventa un trafficante dì armi e vende a diversi stati africani in guerra tra loro, con lauti guadagni non solo dei produttori di armi ma anche suoi, con conseguente vita da nababbi da parte della sua famiglia.
Un film che consiglio vivamente di rivedere.
Il film è classificato come commedia satirica sull’ipocrisia del tempo in Italia e non solo.
Per me rimane un film amaro, ma illuminante che calza benissimo con il periodo attuale.
Nell’attuale periodo storico ci sono tre industrie, diciamo tre tipologie di produzioni strettamente legate alle condizioni dell’esistenza umana: la sofferenza causata dalle malattie (vedi Big Pharma), la guerra (industria delle armi) e la morte (l’industria del caro estinto), che sono sempre in crescita.
D’altronde le malattie continuano ad esserci, le armi si sono sempre vedute e il commercio più fiorente è in mano ai cinque paesi del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e, ahinoi, nel mondo si soffre e si muore, ora anche più di prima a causa della pandemia planetaria, statisticamente parlando.
Si tratta di settori sempre in crescita, indipendentemente dai tre grandi fattori concomitanti che determinano quella che alcuni scienziati ed economisti chiamano la “tempesta perfetta”: i cambiamenti climatici, la pandemia e, appunto, la guerra.

Il Commercio delle armi

Secondo il SIPRI (Stockolm International Peace Research Institute) nel 2020 il commercio delle armi valeva 2000 miliardi di dollari, un valore più alto del nostro PIL, 1800 miliardi di euro, e di quello della Russia (1480 miliardi di dollari).
Nel report del SIPRI si leggono tanti dati interessanti e degni di nota perché evidenziano che il settore delle armi è florido e in crescita come sempre nel mondo.
Le prime 100 aziende produttrici di armi hanno fatturato 531 miliardi di dollari, con i primi cinque posti occupati saldamente da cinque aziende americane.
Al primo posto si trova Lockedd Martin che ha venduto armi per 58,2 miliardi, al secondo Raytheon Technologies, con ricavi pari a 36,8 miliardi, in terza posizione si trova la Boeing con un fatturato di 32,1 miliardi di dollari per il settore militare.
Seguono a ruota Northrop Grumman Corp, con 30,4 miliardi, General Dynamics Corp. con 25,8 miliardi e l’inglese Bae Systems con 24 miliardi.
Subito dopo, in settima, ottava e nona posizione, troviamo tre società cinesi: Norinco con 17,9 miliardi, Avic con 16,9 miliardi e Cetc con 14,6 miliardi di dollari.
In decima posizione, tornano gli USA con la società L3Harris Technologies con solo, si fa per dire, 14,1 miliardi di dollari.
Singolare e istruttivo è l’andamento in borsa delle varie società produttrici e venditrici di armamenti per cui suggerisco ai tre lettori di questo mio intervento di collegarsi ad un sito web specializzato per fare le proprie considerazioni personali sulle aziende sopra citate.
Per completare il quadro qui riporto l’andamento di borsa di due società a noi vicine, il nostro campione nazionale Leonardo, già noto come Finmeccanica fino al 2016 quando ha cambiato il nome a seguito di una serie di guai giudiziari, e un’azienda tedesca molto vicina alla Sardegna, Rheinmetall, in quanto proprietaria al 100% della RWM, la nota fabbrica di bombe di Domusnovas, bombe che poi venivano usate contro la popolazione in Yemen.

I grafici che seguono li ho ripresi dal sito www.investing.com del 13 marzo.
Leonardo chiude il 2021 con il valore di un’azione intorno a 6 euro, verso la fine di gennaio si avvicina a 6,9 euro, per poi ritracciare intorno a 6,5 euro fino al giorno in cui Draghi annuncia che aumenterà le spese militari, anticipando il raggiungimento dell’impegno del 2% del PIL assunto dai governi precedenti nei confronti della NATO.
Da quel momento la crescita del valore dell’azione è vertiginosa e in 10 giorni aumenta di un buon 50% , e tutt’ora è in crescita.


Ancora più impressionante è la performance (la chiamano così!) della società tedesca Rheinmetall che nello stesso periodo aumenta il suo valore del 100%.
Anche in questo caso tutto è legato alla decisione del governo tedesco del socialdemocratico Scholtz di aumentare la spesa militare di ben 100 miliardi di euro, un valore che pone la Germania al terzo posto nel mondo, dopo gli USA e la Cina.
Non vorrei apparire come il cane di Pavlov dai riflessi condizionati, ma a me questa decisione di riarmo della Germania fa tornare in mente Il richiamo della foresta di Jack London e vorrei tanto che questo pensiero restasse legato alle reminiscenze di personali letture giovanili, eppure non nascondo la mia inquietudine al riguardo.
D’altronde, perché queste decisioni non dovrebbero essere preoccupanti considerato che queste sono scelte dei singoli Stati, non concertate a livello europeo?
Il Consiglio d’Europa, anziché esprimere una politica estera degna di questo nome o un minimo disegno di una difesa comune autonoma dalla NATO almeno a partire dagli Stati fondatori, obiettivo più a portata di mano ora che non abbiamo più il condizionamento della Gran Bretagna, preferisce lasciare l’iniziativa agli Stati nazionali che fanno perno sui loro confini geografici, economici e politici oltre a difendere e tutelare l’interesse delle proprie industrie delle armi.
L’Europa è una potenza economica, meglio ancora è un mercato economico compiuto, ma non è in grado di esprimere una posizione politica autonoma rispetto agli USA e in grado di contare rispetto alle altre grandi potenze come la Cina e la Russia, tanto è vero che anche in questa vicenda agisce di rimessa e non è sembrata in grado di toccare palla.
Per poter dare gambe al progetto politico europeo sarebbe invece auspicabile avere una politica estera, una politica economica e una difesa europea comune come già auspicato dai padri fondatori del progetto europeo. Basti pensare semplicemente alla necessità di razionalizzare una spesa militare folle perché in Europa ogni Stato ha le proprie forze armate e, per fare un esempio banale, tale organizzazione porta all’assurdo che, mentre gli USA hanno un solo tipo di carro armato, in Europa ci sono ben 18 tipi di carro armato, otre al fatto che abbiamo molti più generali (da salotto, certo non da campo di battaglia!) degli USA.
Detta così sembrerebbe una farsa, in realtà lo stato del mondo degli armamenti e dei soggetti (straconosciuti) che ne determinano i movimenti economico finanziari basati sempre e comunque sulla logica della guerra continua, in qualche parte del mondo purchessia, ci hanno portato alla tragedia attuale da cui non si vede una via d’uscita praticabile nell’immediato.
Invece, l’unica via realistica e praticabile che intravediamo è la richiesta immediata del cessate il fuoco con una forte iniziativa di pace sotto l’egida dell’ONU, che parta dall’Europa, con la partecipazione di altri Stati scelti dalla Russia e dall’Ucraina a garanzia della reciproca sicurezza delle parti.

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