Nel rovente dibattito estivo, sicuramente molto italiano, si è inserita la polemica suscitata dalle dichiarazioni di Flavio Briatore, che suggerisce ai figli dei falegnami di fare i falegnami, ai figli degli idraulici di fare gli idraulici, ecc., perché a suo dire il nostro paese ne è carente e questa è la necessità per lo sviluppo del nostro sistema produttivo (lo deduco io).
Ovviamente si sono scatenati i leoni da tastiera, i tuttologi che ne sanno di istruzione, di economia nazionale ed internazionale.
Ho letto anche cose garbate che sviluppavano un ragionamento più o meno condivisibile ma sul quale riflettere.
Per tutte, la riflessione di Luca Sommi, direttamente indirizzata a Briatore, secondo cui studiare è libertà e del giornalista Bepi Anziani che in fin dei conti è vicino a Briatore.
Intervengo sulla questione perché sono stata una insegnante e su questo tema mi sono interrogata nei decenni di insegnamento, e perchè quindi, per formazione ed esperienza lavorativa, credo di avere imparato qualcosa che voglio condividere con chi mi leggerà, allo scopo di contribuire al ragionamento.
Scrivo in genere solo di cose che conosco o perchè fanno parte della mia formazione o perchè le ho studiate o le studio ancora oggi.
Questa è sicuramente la prima mia grande differenza con Briatore: non so tutto e le poche cose che so le ho studiate e le studio ancora adesso. Non per un discorso utilitaristico (e questa è una prima spiegazione del titolo), ma perchè la conoscenza amplia il mio punto di vista e mi consente di comprendere la complessità del mondo.
Una delle cose di cui mi sono convinta nei molti anni di insegnamento è che, per la crescita culturale di un paese, l’istruzione non debba essere utilitaristica, non perché non sia importante anche ai fini lavorativi, ma perchè ciò è secondario anche per la velocità dei cambiamenti tecnologici. Occorre imparare ad imparare per poter stare in un mondo complesso.
Ho già quindi in parte risposto alla questione dei falegnami e degli idraulici che non posso evidentemente “addestrare” perché alcune tecniche diverranno obsolescenti in breve tempo.
Ma anche se, come nel mio caso, avendo studiato discipline giuridiche ed economiche, avessi fatto un lavoro mnemonico e non avessi avuto insegnanti capaci di farmi comprendere la epistemologia disciplinare, dal 1978 anno della laurea, sarei oggi un pesce fuor d’acqua…molta acqua per l’appunto è passata sotto i ponti…
La seconda considerazione nasce dall’incontro con un bravissimo insegnante di scuola professionale emiliano-romagnola, l’eccellenza della nostra formazione professionale, che ci ha lasciato molto giovane ma che ricordo e cito spesso, che mi spiegò oltre 10 anni fa, che ormai non si può togliere da una vettura una batteria come si faceva in passato, perché si rischierebbe di far saltare l’impianto elettrico informatico della macchina. Oggi anche le officine automobilistiche sono informatizzate e i lavoratori conoscono l’informatica, le lingue ed hanno come minimo un diploma ed una specializzazione. Così come non esiste la falegnameria che lavora con la pialla, ma le imprese utilizzano macchinari ad alta tecnologia e gli idraulici devono essere specializzati per certificare i loro impianti.
Questo comporta che anche per la formazione di quadri specializzati occorra una scuola di livello.
L’altra questione sulla quale mi vorrei soffermare è la sicumera di molti, che parlando di cose che non fanno parte della loro esperienza, di studio e professionale, impartiscono lezioni al mondo.
Molti oggigiorno vivono rimpiangendo i tempi che furono, enfatizzando le personali esperienze di lavoro e di studio, come se fossero tutti dei Nobel della cultura e dell’imprenditoria, (e vorrei conoscere il loro curriculo scolastico).
Penso come i giovani si possano sentire, continuamente disprezzati e denigrati, perché noi eravamo bravi e loro non sono niente.
Anche ai miei tempi, i genitori guardavano con sospetto e rigetto tutto ciò che era espressione di modernità e, solo per fare un esempio, quei musicisti, considerati chiassosi e volgari per come si vestivano, sono ancora oggi considerati, anche dai giovani di oggi, dei grandi.
Penso ai Beatles, ai Rolling Stone ecc.
Tutto ciò che ha cambiato modi di vivere, idee, valori, è stato inizialmente visto con sospetto. Siamo passati dal cavallo ed il calesse, all’automobile. Una rivoluzione che ha avuto ed ha i suoi punti dolenti. Rischio, inquinamento…. Ciò non toglie che ci abbiamo creduto ed ora non potremmo farne a meno, almeno fino a quando i nostri spostamenti non troveranno una alternativa, magari meno rischiosa per l’uomo ed il suo ambiente.
Infine il problema dell’ascensore sociale.
Sentir dire che ”ai miei tempi si studiava”, i ragazzi non venivano promossi facilmente, ci si dimentica che, nei famosi nostri tempi splendidi splendenti, andava a scuola una minoranza, si diplomava e laureava un numero esiguo di ragazzi, perchè la selezione avveniva per censo e per motivi sociali. Basta che ognuno di noi si chieda quanti compagni della scuola elementare si sono laureati e subito avrà nel suo piccolo, un dato statistico significativo.
Oggi tutti devono frequentare la scuola almeno per 16 anni, la platea è più ampia e gli insegnanti hanno finalmente il compito assegnato loro dall’art. 3 della Costituzione, di “rimuovere gli ostacoli”. Non lavorano come prima con studenti seguiti, motivati, con famiglie che stimolano lo studio anche con mezzi economici adeguati. Era un po’ come essere i medici di persone sane.
Oggi si è i medici di malati come è ovvio che sia il lavoro del medico.
Così gli insegnanti insegnano con fatica a chi non vuole imparare, sperando che cambi il suo punto di vista ancorchè volesse fare il meccanico, il falegname o l’idraulico.
L’IN-UTILITÀ dello studio (di Rosamaria Maggio)
Nel rovente dibattito estivo, sicuramente molto italiano, si è inserita la polemica suscitata dalle dichiarazioni di Flavio Briatore, che suggerisce ai figli dei falegnami di fare i falegnami, ai figli degli idraulici di fare gli idraulici, ecc., perché a suo dire il nostro paese ne è carente e questa è la necessità per lo sviluppo del nostro sistema produttivo (lo deduco io).
Ovviamente si sono scatenati i leoni da tastiera, i tuttologi che ne sanno di istruzione, di economia nazionale ed internazionale.
Ho letto anche cose garbate che sviluppavano un ragionamento più o meno condivisibile ma sul quale riflettere.
Per tutte, la riflessione di Luca Sommi, direttamente indirizzata a Briatore, secondo cui studiare è libertà e del giornalista Bepi Anziani che in fin dei conti è vicino a Briatore.
Intervengo sulla questione perché sono stata una insegnante e su questo tema mi sono interrogata nei decenni di insegnamento, e perchè quindi, per formazione ed esperienza lavorativa, credo di avere imparato qualcosa che voglio condividere con chi mi leggerà, allo scopo di contribuire al ragionamento.
Scrivo in genere solo di cose che conosco o perchè fanno parte della mia formazione o perchè le ho studiate o le studio ancora oggi.
Questa è sicuramente la prima mia grande differenza con Briatore: non so tutto e le poche cose che so le ho studiate e le studio ancora adesso. Non per un discorso utilitaristico (e questa è una prima spiegazione del titolo), ma perchè la conoscenza amplia il mio punto di vista e mi consente di comprendere la complessità del mondo.
Una delle cose di cui mi sono convinta nei molti anni di insegnamento è che, per la crescita culturale di un paese, l’istruzione non debba essere utilitaristica, non perché non sia importante anche ai fini lavorativi, ma perchè ciò è secondario anche per la velocità dei cambiamenti tecnologici. Occorre imparare ad imparare per poter stare in un mondo complesso.
Ho già quindi in parte risposto alla questione dei falegnami e degli idraulici che non posso evidentemente “addestrare” perché alcune tecniche diverranno obsolescenti in breve tempo.
Ma anche se, come nel mio caso, avendo studiato discipline giuridiche ed economiche, avessi fatto un lavoro mnemonico e non avessi avuto insegnanti capaci di farmi comprendere la epistemologia disciplinare, dal 1978 anno della laurea, sarei oggi un pesce fuor d’acqua…molta acqua per l’appunto è passata sotto i ponti…
La seconda considerazione nasce dall’incontro con un bravissimo insegnante di scuola professionale emiliano-romagnola, l’eccellenza della nostra formazione professionale, che ci ha lasciato molto giovane ma che ricordo e cito spesso, che mi spiegò oltre 10 anni fa, che ormai non si può togliere da una vettura una batteria come si faceva in passato, perché si rischierebbe di far saltare l’impianto elettrico informatico della macchina. Oggi anche le officine automobilistiche sono informatizzate e i lavoratori conoscono l’informatica, le lingue ed hanno come minimo un diploma ed una specializzazione. Così come non esiste la falegnameria che lavora con la pialla, ma le imprese utilizzano macchinari ad alta tecnologia e gli idraulici devono essere specializzati per certificare i loro impianti.
Questo comporta che anche per la formazione di quadri specializzati occorra una scuola di livello.
L’altra questione sulla quale mi vorrei soffermare è la sicumera di molti, che parlando di cose che non fanno parte della loro esperienza, di studio e professionale, impartiscono lezioni al mondo.
Molti oggigiorno vivono rimpiangendo i tempi che furono, enfatizzando le personali esperienze di lavoro e di studio, come se fossero tutti dei Nobel della cultura e dell’imprenditoria, (e vorrei conoscere il loro curriculo scolastico).
Penso come i giovani si possano sentire, continuamente disprezzati e denigrati, perché noi eravamo bravi e loro non sono niente.
Anche ai miei tempi, i genitori guardavano con sospetto e rigetto tutto ciò che era espressione di modernità e, solo per fare un esempio, quei musicisti, considerati chiassosi e volgari per come si vestivano, sono ancora oggi considerati, anche dai giovani di oggi, dei grandi.
Penso ai Beatles, ai Rolling Stone ecc.
Tutto ciò che ha cambiato modi di vivere, idee, valori, è stato inizialmente visto con sospetto. Siamo passati dal cavallo ed il calesse, all’automobile. Una rivoluzione che ha avuto ed ha i suoi punti dolenti. Rischio, inquinamento…. Ciò non toglie che ci abbiamo creduto ed ora non potremmo farne a meno, almeno fino a quando i nostri spostamenti non troveranno una alternativa, magari meno rischiosa per l’uomo ed il suo ambiente.
Infine il problema dell’ascensore sociale.
Sentir dire che ”ai miei tempi si studiava”, i ragazzi non venivano promossi facilmente, ci si dimentica che, nei famosi nostri tempi splendidi splendenti, andava a scuola una minoranza, si diplomava e laureava un numero esiguo di ragazzi, perchè la selezione avveniva per censo e per motivi sociali. Basta che ognuno di noi si chieda quanti compagni della scuola elementare si sono laureati e subito avrà nel suo piccolo, un dato statistico significativo.
Oggi tutti devono frequentare la scuola almeno per 16 anni, la platea è più ampia e gli insegnanti hanno finalmente il compito assegnato loro dall’art. 3 della Costituzione, di “rimuovere gli ostacoli”. Non lavorano come prima con studenti seguiti, motivati, con famiglie che stimolano lo studio anche con mezzi economici adeguati. Era un po’ come essere i medici di persone sane.
Oggi si è i medici di malati come è ovvio che sia il lavoro del medico.
Così gli insegnanti insegnano con fatica a chi non vuole imparare, sperando che cambi il suo punto di vista ancorchè volesse fare il meccanico, il falegname o l’idraulico.
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Redazione Scuola