L’insegnamento dell’educazione civica alle prese con le Nuove Linee guida 2024 (di Rosamaria Maggio)

Un incubo annuale perseguita gli insegnanti italiani: le sempre “Nuove linee guida” per l’insegnamento dell’educazione civica.
Da anni i governi hanno bisogno di mettere mano all’insegnamento dell’educazione civica. Il che è già motivo di preoccupazione.
Ormai diventata nuova materia, appare trattata più che come una scienza di cui non possiede alcun carattere, come un catechismo morale, nelle mani dei governanti di turno.
La libertà di insegnamento, come previsto dal secondo comma dell’art. 33 della Costituzione, che è principio a tutela del diritto degli studenti ad un apprendimento ad ampio spettro, viene mortificato dall’introduzione di tematiche ideologiche.
Dopo aver insegnato per oltre 30 anni discipline giuridiche ed economiche, sento un dovere professionale e civico di intervenire sulle Nuove Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Quando nel 1958 il Ministro della P.I. Aldo Moro istituì, con DPR 585, l’insegnamento della educazione civica, per 2 ore, all’interno dell’insegnamento della storia, senza obbligo di valutazione, fu una vera rivoluzione.
Leggere l’allegato al DPR è ancora oggi illuminante in considerazione del fatto che sono passati 66 anni.
L’impostazione rimane di estrema attualità se confrontata alla regressione di questi ultimi decenni, a partire da quanto fatto dalla Ministra Moratti per proseguire con la Ministra Gelmini fino ad ora.
L’allegato al decreto andrebbe letto tutto, ma alla luce delle nuove Linee guida, mi colpisce un passaggio:
“Ma l’impegno educativo non può essere assolto con retorica
moralistica, che si diffonda in ammonizione, divieti, censure: la lucidità dell’educatore rischiari le eclissi del giudizio morale dell’alunno, e si adoperi a mutare segno a impulsi asociali, nei quali è pur sempre un potenziale di energia. Conviene al fine dell’educazione civica mostrare all’allievo il
libero confluire di volontà individuali nell’operare collettivo.”

Che cosa non torna delle Nuove Linee Guida

A fondamento di tale insegnamento è posta la Costituzione che però per il Ministro ha carattere “personalistico”.
Ora è veramente curioso che della Costituzione venga sottolineato il carattere “personalistico”.
La centralità della persona così come declinato nell’art. 2, attiene al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali. Anche nella parte seconda in cui si parla di diritti e doveri dei cittadini, essi sono visti sempre in relazione agli altri ed il diritto del singolo degrada quando interferisce con gli interessi generali. Quindi definire la Costituzione un testo a carattere “personalistico”, essendo peraltro la legge fondamentale istitutiva del nostro sistema democratico, mi sembrerebbe una definizione gravemente riduttiva e che denota una idea di insegnamento personalizzato.
La parte introduttiva appare superficiale e contradditoria in relazione allo sviluppo successivo delle Linee guida. Si sottolinea la necessità di insegnare i doveri, enfatizzati rispetto ai diritti, ove invece lo studente è spesso incapace di far valere i propri.
Si sottolinea la trasversalità dell’insegnamento come peraltro è stato nella impostazione originaria di Aldo Moro fino alle penultime Linee guida; si cita l’art 2 della Costituzione all’interno di un passaggio volto ad avvalorare il tema identitario, mentre si omette che è l’art. 2 che sancisce il principio di solidarietà.
Sembra un potpourri scritto con un mero intento retorico.

Trasversalità dell’insegnamento

Così come era in origine si ribadisce la trasversalità dell’insegnamento della disciplina, trasversalità rispetto a tutte le discipline curricolari. Questo principio, che di per sé potrebbe essere condiviso a livello didattico, si scontra col tema della valutazione che ne fa una disciplina a se, che deve essere insegnata per 33 ore o dai docenti di discipline giuridiche o, in mancanza, da qualunque altro docente del Consiglio di classe.
Tale decisione è fortemente contradditoria perché se è trasversale alle discipline non può avere un monte ore definito ed una valutazione autonoma. Ciò la trasforma in una disciplina a sé che però manca di un codice epistemologico. Si tratta di una vera invenzione disciplinare, i cui contenuti sono affastellati dal Ministero, attingendo di qua e di là senza alcuna scientificità.
Anche l’assegnazione dell’insegnamento della disciplina a chiunque, la sottrae al campo degli studi economico-giuridici, facendo sì che chiunque possa insegnarla. Sembra che il Ministero dell’Istruzione e del Merito abbia fatto sua la regola diffusa sui social della “tuttologia”.

I contenuti (la manomissione delle parole)

“L’educazione civica può proficuamente contribuire a formare gli studenti al significato e al valore dell’appartenenza alla comunità nazionale che è comunemente definita Patria, concetto che è espressamente richiamato e valorizzato dalla Costituzione”. Partiamo da questa affermazione delle Linee guida
Le parole del testo costituzionale non sono scelte a caso.
In due articoli la Costituzione parla di Patria: nell’art. 52, sancendo il dovere di ogni cittadino di difendere la Patria e nell’art. 59 in cui si fa riferimento al potere del P.d.R. di nominare i Senatori a vita, scegliendoli fra cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico, letterario. L’utilizzo in questi giorni, a proposito di un processo in corso nei confronti di un Ministro per il suo operato durante il salvataggio di migranti in mare, rimanda ad un uso distorto ed enfatico del termine “Patria”, con riferimento alle dichiarazioni del Ministro che sostiene di aver difeso i confini della Patria. Il prof. Zagrebelsky ci ricorda che ormai i confini nazionali vanno oltre, per ragioni culturali e di tutela dei diritti umani. Questa visione è ormai anacronistica e non può essere avvallata dalla scuola.
Sarebbe stato sufficiente prevedere lo studio della Costituzione fra i contenuti curricolari dell’educazione civica senza bisogno di sottolineare “l’Inno e la Bandiera nazionale, come forme di appartenenza ad una Nazione”, o l’educazione stradale, il riferimento alla criminalità organizzata, il bullismo, l’educazione finanziaria ed assicurativa. Ormai la scuola è chiamata ad insegnare tutto, ignorando che alcune tematiche sono già all’interno delle discipline. Per il resto la scuola non può essere considerata una sezione staccata di un’Autoscuola o un presidio per la pubblicità di prodotti bancari e assicurativi.
Altro termine abusato è quello di “Nazione”. Questo non è solo abusato, ma usato impropriamente, ignorando la nostra storia. Sarebbe sempre più corretto usare il termine Paese dato che l’Italia unita nasce da una miscellanea di Stati, popoli, tradizioni e lingue. E questo non finisce nel 1861, ne’ con l’Italia repubblicana, fondata sulle autonomie regionali e locali e neanche con la storia più recente. Anzi direi che una Nazione italiana non esiste e non esisterà mai. Esiste un Paese Italia, uno Stato italiano, plurale. Penso alla storia di città come Trieste che si conclude con una decisione della Cassazione a seguito del Memorandum di Londra del 1953 e della successiva legge Costituzionale del 1963 che chiude le rivendicazioni indipendentiste della città, assegnandola al Friuli Venezia Giulia, dove però esiste un popolo triestino che parla italiano, sloveno, friulano e tedesco.
Stesso dicasi per il Trentino dove si parla italiano, tedesco e ladino e di questi popoli si portano avanti le tradizioni. Ma potrei parlare della Sardegna, ove parte della popolazione rivendica la nazionalità sarda.
Quindi di quale nazione Italia si parla?
La scuola ha il compito di rappresentare la storia del paese tutta intera e di esplicitare i diversi significati di nazionalità e cittadinanza.
Si mettono assieme tematiche generali con questioni specifiche che nulla hanno a che fare con scelte pedagogiche e didattiche di competenza della scuola.
Sembra che gli insegnanti siano diventati uno strumento per far entrare nel mondo dei ragazzi questioni che riguardano il mondo degli adulti.
Si riprende una impostazione che piace a questo Governo, di tipo securitario ed economicistico.
Curioso poi il rimando alla “Cittadinanza digitale”, mentre si discute di divieti di uso smartphone fino a 14 anni. Forse la scuola dovrebbe avere il compito di insegnare l’uso proficuo della tecnologia e non di perseguirne e sanzionarne l’uso.

Traguardi per lo sviluppo delle competenze e obiettivi di apprendimento

C’è poi un aspetto che riguarda i traguardi e gli obiettivi per i vari ordini e gradi di scuola.
Mi hanno sempre inquietato le individuazioni di questi, già dalle vecchie Linee guida, per l’eccessiva difficoltà degli stessi, così come si evince dalle schede esplicative contenute nelle nuove Linee .
A titolo di esemplificazione, nella Scuola Primaria, il Traguardo per lo sviluppo delle competenze n.1, è:
“Conoscere i principi fondamentali della Costituzione e saperne individuare le implicazioni nella vita quotidiana e nelle relazioni con gli altri. Individuare i diritti e i doveri che interessano la vita quotidiana di tutti i cittadini, anche dei più piccoli.
Condividere regole comunemente accettate.
Sviluppare la consapevolezza dell’appartenenza ad una comunità locale, nazionale ed europea.”
Sembrano davvero traguardi elevati per bambini di 5a primaria, soprattutto se pensiamo che questi traguardi sono all’interno di una nuova disciplina sottoposta a valutazione.
E potremo continuare.
Spero che gli insegnanti vorranno leggere le nuove Linee guida, scegliendo di utilizzarle in modo non prescrittivo.
Spero che nei primi cicli gli insegnanti sappiano suddividersi il compito inerente queste tematiche (storia, scienze).
Spero che nelle scuole superiori tali insegnamenti siano lasciati agli insegnanti disciplinari e specificatamente agli insegnanti di discipline giuridiche ed economiche.

Francesco Cocco ricordato a Guspini. Proposta la raccolta dei suoi scritti (di Andrea Pubusa)

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