Per un pugno di F16 (di Tonino Dessì)

Verrebbe una battuta facile, per commentare la notizia mediaticamente più eclatante del Vertice NATO di Vilnius che si apre oggi, quella della caduta del veto di Erdogan (e di Orbàn) all’ingresso della Svezia nell’alleanza.
“Per un pugno di F16”, sarebbe la battuta, ossia la rimozione del veto USA alla fornitura dei sofisticati aerei da combattimento alla Turchia. Insomma non erano i rifugiati curdi del PKK a Stoccolma la vera questione gettata sul tavolo dallo spregiudicato mercante di Ankara.
Il quale alza ulteriormente la posta, sia esprimendosi a favore dell’ingresso anche immediato dell’Ucraina nella NATO sia sollecitando la riapertura dei negoziati sull’adesione della Turchia alla UE (e caldeggiando anticipatamente l’analogo ingresso dell’Ucraina).
Improbabile che Zelenky marchi sui due terreni molto più che qualche promessa: gli USA non vogliono l’ingresso di Kiev nella NATO finché sarà un Paese in guerra e la UE non è disposta a prendersi dentro Kiev senza aver chiarito al proprio interno quanto potrebbe costare accollarsi un Paese di quaranta milioni di abitanti povero e distrutto dalla guerra. Men che meno pare attuale la riapertura di un negoziato finalizzato all’ingresso nella UE di un Paese islamico e armatissimo di ottanta milioni di abitanti governato da un autocrate ambiguo.
Più probabile che Zelenky ottenga da Ankara maggiori forniture di droni e che la questione degli F16 sdoganati per la Turchia sia il precedente per la fornitura di aerei anche a Kiev, magari tramite Paesi terzi.
Un’altra battuta che verrebbe da scrivere è “Complimenti, Putin. La NATO si allarga ancora di più. Brillante vittoria strategica di questa guerra azzardata”.
C’è di più, a ben vedere. A Vilnius parteciperanno i leader di Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone, componenti a vario titolo degli accordi Quad e Aukus -il primo dei quali coinvolge anche l’India- con cui gli USA e l’UK stanno contrastando l’espansione cinese nell’Indopacifico.
Se ne dovrebbe preoccupare la Russia, ma più ancora si risentirà la Cina.
Non solo per motivi militari o per le note tensioni su Taiwan. Quanto perché sta prendendo corpo sul terreno strategico generale quella ristrutturazione “regionale” per grandi aree geoeconomiche reciprocamente dotate di strumenti protezionistici che sta caratterizzando la risposta occidentale alla crisi della globalizzazione.
Globalizzazione di cui la Cina vorrebbe invece la prosecuzione illimitata, alle condizioni di scambio attualmente favorevoli grazie alla posizione acquisita di seconda potenza economica e militare del Pianeta.
Colpisce che la UE sia più oggetto che soggetto di tutto questo movimento, investita persino da discussioni sulla sua stessa struttura che scaturiscono da proposte di paesi terzi.
Però così è.
Intanto la guerra tra Russia e Ucraina continua tragicamente.
Colpisce anche questo, a proposito. Che il grande teatro in movimento globale stia riconducendola a un fatto regionale, locale.
Non marginale, certo, ma ormai posto sotto controllo persino nella previsione che non finisca presto e che si incisti come un conflitto di lungo periodo.
Uno dei tanti che qualcuno ha sconsideratamente iniziato e che nessuno riesce (nè forse ha interesse) a spegnere.

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