Poche osservazioni su Smart Working. La rivoluzione del lavoro intelligente.

contributo di Pinella Depau 8 novembre

Dopo queste ampie e puntuali  riflessioni, mi inserisco molto brevemente con una domanda di fondo e poche osservazioni supportate da un esempio. Da tutta l’interessante relazione di prof. De Masi è apparso chiaro il “guadagno” che la società nel suo complesso può trarre da uno smart working diffuso e ben organizzato, in termini di produttività, di qualità del lavoro, di risparmio, ad esempio di spazi, con relativo consumo energetico, di pulizia, di guardiania.   Lavoratori e lavoratrici mettono a disposizione i loro spazi personali, spesso a spese della libertà di movimento dei familiari, spesso in abitazioni tutt’altro che ampie e comode e che comunque hanno costi di affitto e di gestione molto alti. È un problema che si è toccato con mano anche durante la Didattica a distanza, quando si sono trovati a lavorare  e studiare negli stessi spazi e negli stessi orari genitori e figli. Non sempre con la disponibilità di una stanza-studio per ciascuno! Quale ricaduta avrà su chi lavora il maggior guadagno/risparmio ad esempio da parte di un’impresa?  Ci sarà una redistribuzione dei profitti liberati da molte spese logistiche? E come garantirla, su quali basi?

 Com’è stato osservato, la situazione di emergenza durante la quarantena  non ha consentito di affrontare questi aspetti in tutte le implicazioni che riguardano lavoratori e lavoratrici ma – se questi non si affronteranno in profondità e con radicalità – il rischio è che siano solo loro (in primis le donne) a pagare a proprie spese la maggiore flessibilità di orari e il tempo sottratto ai trasferimenti casa-lavoro.  Con il rischio supplementare di un isolamento che, in assenza del controllo sociale dei compagni di lavoro, può esporli più facilmente ad abusi e  prevaricazioni. Ci insegna qualcosa la pratica ormai diffusa dei lavori dipendenti che passano proditoriamente per autonomi. Ben vengano dunque produttività, tempo e libertà consentiti dallo smart working, ma a patto di una redistribuzione, non solo economica, del “guadagno” realizzato.