Premierato e conseguenze sul sistema democratico (di Fernando Codonesu)

Il premierato di Meloni va respinto completamente.

I riflessi di questa riforma “eversiva” della Costituzione attengono alla stessa forma repubblicana dell’Italia. Personalmente penso che la forma repubblicana, la repubblica parlamentare, come prevista nella nostra Costituzione, a rigore non potrebbe essere cambiata neanche dalle leggi di revisione previste dall’art. 138, ma avrebbe bisogno di un percorso diverso, come quello di una vera e propria costituente.

Però non pare proprio che il Governo si preoccupi di rispettare la sostanza delle cose e il significato più profondo e sostanziale della nostra Carta. L’unico aspetto che interessa è occupare tutto il potere, in ogni sua forma, connotazione, posizione, luogo decisionale o di influenza diretta e indiretta.

Nello specifico della riforma del Premierato all’italiana, non c’entra l’esigenza di maggiore stabilità né del Governo né della maggioranza eletta, come si dice nella presentazione della riforma.

Infatti, questa maggioranza ha già su di sé il massimo della concentrazione del potere e la riforma costituzionale del Premierato, unica nel suo genere in tutto il mondo democratico, ne legittimerebbe ancora di più i suoi effetti distruttivi del sistema democratico.

Le reti TV pubbliche sono tutte controllate dal Governo Meloni e i vari dirigenti ostentano e dichiarano tutta la loro “fierezza e orgoglio” di partito anche nel loro ruolo di dirigenti di un’azienda, la RAI, che sulla carta dovrebbe garantire un servizio pubblico.

Le televisioni private di proprietà della famiglia Berlusconi sono totalmente allineate al potere governativo da oltre 30 anni e oggi più che mai si reggono sul principio che il manovratore può essere solo lodato, mai criticato.

A proposito di Solo le lodi sono gradite, si assiste sempre più spesso alla messa all’angolo di ogni voce di dissenso e di critica, comprese quelle delle autorità indipendenti, che vengono silenziate o ridotte all’irrilevanza. Al riguardo basti pensare al ruolo della Corte dei Conti e all’Autorità anticorruzione con i recenti provvedimenti governativi intervenuti sulle osservazioni fatte al PNRR, alla legge sugli appalti e al controllo contabile delle Regioni.

Il governo Meloni è un governo pericoloso per la democrazia e, a mio parere, se ne sta sottovalutando la portata dei cambiamenti reali già intervenuti nel tessuto democratico in questo anno di esercizio del potere.

Il Governo manifesta ed esprime anche brutalmente una bulimia del potere quasi che il voto avesse decretato l’annullamento delle opposizioni e delle forme varie di lotte sociali, prima fra tutte il diritto di sciopero con la prassi ripetuta delle precettazioni.

In effetti, a ben guardare cosa sta succedendo c’è una evidente convergenza tra quello che era il programma della P2 di Licio Gelli e la prassi attuale del Governo, anche se va rimarcato che l’utilizzo sconsiderato della decretazione d’urgenza e dei viti di fiducia hanno caratterizzato la nuova fase della politica italiana già dai primi anni della cosiddetta seconda repubblica.

D’altronde, a suo tempo, ricordo che già Berlusconi aveva proposto che il parlamento non fosse utile e facesse perdere solo tempo. Nella sua bieca concezione del suo fastidio per la democrazia parlamentare aveva proposto che le leggi dovessero essere votate dai Capi gruppo dei partiti, altro che Commissioni e dibattito parlamentare!

E ora?

Ora si inviano proposte alle Camere che non possono essere né discusse né emendate.

Siamo in democrazia o in una situazione in cui il Governo esercita il comando che è altro dal governare con il rispetto dei ruoli tra maggioranza e opposizione?

Dal mio punto di vista, il Premierato dovrebbe essere analizzato e valutato anche nel suo rapporto a tratti perverso con l’Autonomia differenziata.

Al riguardo, da più parti si tende a rimarcare una presunta divaricazione tra l’Autonomia differenziata portata avanti da Calderoli per la Lega e la riforma del Premierato, voluta da Meloni a differenza dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica che faceva parte del programma elettorale del centrodestra, meglio sarebbe dire “destradestra”.

Sinteticamente si dice che la prima tende alla disgregazione dell’Italia a vantaggio delle regioni più ricche (vero) che avrebbero una maggiore autonomia, mentre la seconda tende all’accentramento del potere in mano al Governo centrale (pure vero).

Apparentemente sembra quindi che ci sia una contraddizione insanabile tra le due proposte e che le stesse possano essere classificate come antitetiche, per cui ci sarebbe il rischio di un loro annullamento reciproco, in quanto inapplicabili.

E’ davvero così?

Come ha giustamente osservato Alfiero Grandi su http://www.democraziaoggi.it/?p=8436, del 16 dicembre, si può trovare invece un filo conduttore tra le due proposte, ovvero entrambe sono a totale vantaggio del sistema esecutivo nei confronti del legislativo.

Così è per il Premierato che concentra il potere nelle mani del Presidente del Consiglio eletto direttamente, con il conseguente annullamento del potere legislativo, il parlamento, che viene chiamato solo a ratificare il comando del premier quando tale comando si esplica in forma di decreti legge e voti di fiducia.

Così avviene anche con la proposta di Autonomia differenziata perché l’istituto dell’intesa è frutto solo dell’accordo tra il Governo (potere centrale oggi esecutivo, ma che sussumerà sostanzialmente anche quello legislativo con il Premierato) e il Presidente della Giunta della Regione che chiederà l’autonomia differenziata: due poteri centralizzati che decidono a discapito del potere legislativo nazionale, il primo, e del Consiglio regionale, il secondo.

In entrambi i casi c’è la codifica all’ennesima potenza della prevalenza dell’esecutivo sul legislativo: una disgrazia per la democrazia, perché si altera irreversibilmente l’equilibrio dei poteri.

Le conseguenze nefaste per la democrazia italiana sono molteplici e qui ne indico tre che ritengo dirimenti:

  • tutto il potere sul Presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo, a scapito dell’equilibrio dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario;
  • un parlamento totalmente esautorato nelle sue prerogative e quale depositario “pro tempore” della volontà popolare (sovranità popolare) espressa attualmente con il voto dai cittadini;
  • il Presidente della Repubblica che diventa un semplice passa carte, costretto ad accettare supinamente le decisioni del potere più forte in capo a quello che si chiamerà a tutti gli effetti “Premier”.

Bisogna analizzare attentamente questa riforma del Premierato meloniano, contrastarla nel merito e attrezzarsi adeguatamente per il referendum prossimo venturo.

Per questo, come Scuola di cultura politica, abbiamo preparato l’iniziativa il 19 dicembre, alle 17.30, presso la Fondazione di Sardegna. Iniziativa che presentiamo come un’occasione di discussione, approfondimento e proposta politica per le future necessarie mobilitazioni a difesa della Costituzione.

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