Gianni Marilotti
E’ tempo di celebrazioni: anniversari, centenari, rievocazioni storiche, attualizzazioni politiche. A dispetto della cancel culture che impera nel nostro tempo, caratterizzato dal pensiero uniformante e dal “politicamente corretto” che pretende di cancellare la storia, sembra forte il desiderio di rievocare eventi, personaggi , passaggi epocali che hanno segnato la storia dell’umanità.
Che si tratti dei settecento anni della nascita del sommo poeta Dante Alighieri, o dei cento anni della nascita del Partito Comunista o del governo Nitti, o in previsione del centenario del brutale assassinio di Giacomo Matteotti, perfino dell’anniversario del martirio e della morte di Antonio Gramsci, fervono iniziative convegnistiche ed editoriali.
In questo tempo incerto e caotico, si sente il bisogno di riannodare i fili della memoria.
Anche la Sardegna non poteva mancare l’appuntamento con la storia. La coincidenza del centenario della fondazione del Partito Sardo d’Azione con quello della nascita di Mario Melis ha portato alla meritoria iniziativa editoriale di Arkadia e al bel libro di Anthony Muroni, Mario Melis. Il presidente dei Sardi.
Muroni, da giornalista di razza, sceglie di far raccontare Mario Melis da politici, giornalisti e personaggi pubblici che negli anni della sua Presidenza della Regione (1984-1989) hanno vissuto con lui, a volte concordando, altre volte dissentendo, una stagione politica importante nella quale – dice l’Autore – “sono state gettate le basi ancora malferme della Seconda Repubblica e della Seconda Autonomia”.
Sapientemente Muroni fa emergere dalle parole di alleati ed avversari politici la cifra di un uomo politico che ha rappresentato un punto di riferimento per il sardismo più autentico. Non ci sono tesi preconcette né giudizi apodittici in questo testo. Scopo dell’Autore è di proporci una rivisitazione di anni importanti della nostra storia recente affinché possiamo coglierne insegnamenti, intuizioni, speranze, ma anche insufficienze e limiti, tuttavia utili a proseguire il cammino verso un progetto di riscatto e di Rinascita autentica.
Il libro si apre con il delizioso capitolo introduttivo intitolato “Dinastia dei Melis”, che descrive il contesto familiare, soprattutto i rapporti coi suoi fratelli maggiori, Titino e Pietro, i primi ad accendere in lui l’amore per la Sardegna e la passione politica. In chiusura il capitolo “Addio, Presidente”, dove la parola torna alle memorie familiari, quella dei figli Laura, Michela e Antonio, che raccontano le speranze e le delusioni di un uomo che tuttavia non si è mai arreso, consapevole di quel che aveva seminato e convinto che la battaglia per l’Autonomia e il Federalismo non fosse più soltanto del PSd’AZ, ma oramai patrimonio di un “sardismo diffuso”. La parte centrale è arricchita da documenti fotografici che ripercorrono i momenti più salienti della vita pubblica e privata del Presidente e ci danno una testimonianza anche visiva della fierezza di un sardo che non si sentì né superiore né inferiore nel contesto mondiale, fossero capi di Stato, parlamentari europei, diplomatici dell’ONU, ma che semplicemente ha condotto con fermezza e determinazione una battaglia per l’emancipazione, economica e culturale, della Sardegna dal contesto coloniale nel quale si trovava e, possiamo purtroppo aggiungere, si trova ancora oggi.
Andrea Pubusa
Ricordo agile, veloce, ma potente. Sembra di vederlo Mario, col suo immancabile doppiopetto scuro (eleganza d’altri tempi), fiero, in posizione di combattimento quando parla della Sardegna e dei sardi, delle loro sofferenze, delle loro solitudini, mai per fare lamentazione, sempre per proporre orgogliosamente impegni da assumere, obiettivi da raggiungere, istituzioni da coinvolgere. Le sofferenze del popolo sardo Mario sembrava tenerle scolpite nell’anima, ma dalla sua bocca non veniva mai neppure un filo di rancore, di ricerca di vendetta, mai da lui, che pure venne definito da De Mita “mezzoterrorista”, un accento violento o sopra le righe. Lui aveva sempre la mano tesa perché capiva che un popolo si libera insieme agli altri popoli, che una istituzione si affranca insieme alle altre istituzioni.
In Mario l’ottimismo dell’intelligenza era sempre operante. E Anthony lo fa trasparire in ogni pagina del suo bel libro: la visita negli States e la consapevolezza che è la conquista dei mercati a dare risposta alla fame di lavoro dei sardi, la centralità mediterranea della nostra isola come punto naturale di raccolta e smistamento delle merci per l’Europa, la creazione della flotta sarda come mezzo per realizzare questo sogno. Niente forse più della sua visione del mare ci svela la sua anuma. “Il mare unisce“, diceva spesso. “E’ il mare la risorsa più grande dell’isola perché la collega al resto del mondo”, gli ho sentito ripetere più volte. E qui ecco la sua incondizionata apertura alla conoscenza, alle nuove tecnologie, al modo nuovo di comunicare, di essere distanti e vicini al tempo stesso, in un mondo in cui tempo e distanze cambiano segno rispetto al passato. La sua concezione del mare ci dice quanto lontano sia stato Mario dall’indipendentismo rozzo, de bidda, o dell’Isola intesa come bidda più grande. L’indipendentismo per lui era innazitutto capacità di sapersi orientare in questo vasto mondo e nel saper in esso ritagliarsi un presenza genuina nelle relazioni con gli altri. Certamente, questa sua visione aperta implicava un diverso assetto istituzionale, di tipo federale. Il sardismo – diceva ad ogni piè sospinto – è internazionalismo, ha un orizzonte sovranazionale. E’ lo Stato di matrice ottocentesca il nostro nemico, è questa struttura, oppressiva di tanti popoli, da abbattere in favore di organismi sovranazionali, espressione dei popoli. E’ lì che anche il popolo sardo può trovare in posizione di pari dignità con gli altri la sua liberazione economica e istituzionale. Chi cercasse in Mario Melis un moto di chiusura, non lo troverebbe mai.
Dal libro di Anthony vien fuori con naturalezza la forza anzitutto morale di quest’uomo, forza che si fondava su due pilastri saldi: l’onestà e la sua dedizione totale alla Sardegna e ai sardi. Chi ha avuto l’avventura di conoscerlo e farci qualcosa assieme ha incontrato certo molti probelmi, per la sua spigolosità, le sue ansie, le sue fissazioni, ma lo ha subito e definitivamante amato per questa sua appassionata dedizione alla causa e la sua libertà. Mario era un uomo onesto intellettualmente e libero. Ecco perché si sentiva anche un liberatore. Questo spiega perché il PCI lo volle eleggere in Senato quando il PSd’Az era ormai scomparso e perché lo sostenne senza riserve nel periodo della Presidenza. E, in fondo, anche Mario aveva chiara conspevolezza che era la squadra e il gruppo comunista che reggevano il suo sforzo. Eppure, nonostante questo legame e la riconoscenza sempre dichiarata, lui fu sempre autonomo, sapeva che il suo rapporto coi comunisti era una relazione fra liberi.
Anthony, con sapienti pennellate, ci mostra anche le radici di questa sua formazione libertaria. La famiglia Melis e i suoi primi maestri, Tittino e Pietrino, fratelli maggiori, di venti e quindici anni più grandi, verso i quali ebbe una devozione bella e rara. Tittino, da studente universitario a Milano, frequesntò gli ambienti antifascisti, fu arrestato con Ugo La Malfa e mantenne sempre una spavalda ostentazione di questa sua libertà, Pietrino, uomo di cultura sopraffina.
La Giunta Melis, a detta di molti, è stata la più innovativa e produttiva nella storia autonomistica. Non c’è campo in cui non abbia introdotto novità e stimoli (dalla tutela ambientale a all’urbanistica, dalle istituzioni all’economia), frutto di una immissione di forza e di idee sopratutto del gruppo comunista. Ma il lavoro della squadra non avrebbe raggiunto quei risultati senza lo stimolo di un presidente visionario, che si sentiva ed era il Presidente dei sardi. Sopratutto sarebbe mancato quello sfondo ideale, che colloca Mario Melis fra i protagonisti di un’idea di sardità che affonda nella storia dell’Isola. Bisognerebbe approfodire: Mario Melis evoca suggestioni e visioni liberatorie che trovano la loro lontana matrice nelle idee-forza dell’epopea angioyana e poi coi Giovanni Battista Tuveri, Giorgio Asproni e giù giù fino al sardismo maturato nelle tincee del capitano Lussu, al Gramsci federalista giunge fino a noi. E a noi pone un quesito: lo Statuto speciale ha raccolto questo lascito? Lo ha tradotto in costituzione vivente? Bene. Mario Melis è lì a dirci che ci vuole un ripensamento, che ci vuole altro. Mario c’invita ad osare ancora.
Fernando Codonesu
Nel nostro ciclo dedicato al centenario della fondazione del PcdI e del PSd’Az abbiamo incominciato con Antonio Gramsci e a seguire con Renzo Laconi.
Ora passiamo da Mario Melis per chiudere con Emilio Lussu nel webinar programmato per il 30 aprile.
Una scelta non casuale: è un cammino circolare che parte dalle radici e vi ritorna perché come Scuola di cultura politica siamo convinti che la conoscenza delle nostre radici sia sempre una guida valida per affrontare i problemi del presente.
Incomincio subito dicendo che Anthony Muroni ha scritto un bel libro su Mario Melis nel doppio centenario della nascita di Melis e della fondazione del PSd’Az.Nel leggere i ringraziamenti iniziali si comprende che per la scrittura di questo libro Muroni ha raccolto tanti materiali, tante testimonianze e indicazioni di vario genere da poter scrivere un volume di almeno 500 pagine, ma fortunatamente non lo ha fatto. Ha fatto un’altra cosa.
Muroni è un giornalista professionista, un bravo giornalista, per cui ha affrontato la scrittura del libro con un metodo sapiente e intelligente: ha scritto per sottrazione.
Ne risulta un volume ridotto all’essenziale, tanto sintetico quanto efficace nel descrivere a tutto tondo il personaggio Mario Melis.
Ne viene fuori un uomo onesto, politico accorto e colto, legatissimo alla famiglia, oratore raffinato e passionale, un vero leader guida di quella stagione di risveglio del popolo sardo, artefice di una stagione di semina di un sardismo diffuso, del senso della sardità e del sentirsi nazione, ancorché non teorizzata se non in piccoli e incisivi circoli e periodici culturali di allora, che mancano da diverso tempo nella politica isolana.
Melis è stato senatore nel 1976, diventa consigliere regionale nel 1979, presidente nel 1982 per la prima volta e successivamente dal 1984 al 1989, successivamente fu europarlamentare fino al 1994.
Qui ricordo che Melis è stato il padre della lotta contro le servitù militari che hanno impedito lo sviluppo economico e sociale in alcuni dei comuni maggiormente toccati da quell’infausto sistema, alfiere di quella richiesta netta allo stato centrale del loro ridimensionamento con la ridislocazione più equa nel resto dell’Italia. Nella conferenza programmatica del 1981 dedicata alle problematiche delle servitù militari, Mario Melis ebbe a dire “La solidarietà intesa come fatto unilaterale è pura ipocrisia tesa a nascondere ed a mascherare il colonialismo.
L’italianità dei sardi si misura entro i limiti della sardità degli italiani “.
Quella presa di posizione viene ricordata ancora oggi da quei giovani e quei movimenti che continuano a battersi per il superamento definitivo delle servitù militari.
Con 146 pagine, di cui 16 dedicate a testimonianze fotografiche, Muroni ci restituisce la figura di Mario Melis e di quella stagione politica che tanto ha fatto per la Sardegna e per l’organizzazione della stessa struttura regionale. Emerge il personaggio politico, l’uomo, l’intellettuale che voleva portare la Sardegna con i suoi problemi e le sue potenzialità in Europa e nel mondo.
E’ Mario Melis che parla attraverso i suoi discorsi politici e le prese di posizione nei diversi ruoli ricoperti nella sua carriera politica e negli svariati luoghi in cui ha rappresentato la Sardegna, non la sua parte, ma la Sardegna intera. Così intendeva il suo ruolo di presidente e così ha cercato di essere: il Presidente dei Sardi. Di lui parlano anche alcuni testimoni a loro volta protagonisti di quel periodo e parlano i familiari, i tre figli.
Quando si tenta di accomunare al Partito Sardo d’Azione un programma o tendenze separatiste, Melis insorge con nettezza e forza e chiarisce che “Separatismo per me è uguale a isolamento e perciò è l’esatta antitesi del sardismo. Noi vogliamo integrarci non solo con l’Italia, ma con l’Europa con una forma statale di tipo federale”.
Con Melis, il PSd’Az è chiaramente schierato a sinistra e questo ha sempre creato molti problemi ad alcuni partiti nazionali, DC soprattutto, e settori dello Stato al punto da essere stato, a quel tempo, promotore di vere e proprie provocazioni ai danni del partito e di alcuni suoi esponenti di punta.
In pochissime righe questi episodi sono tratteggiati in maniera rigorosa.
Melis è presidente della Giunta, ma anziché limitarsi ad agire come espressione del solo esecutivo agisce sempre da Presidente dei Sardi , anche in virtù della grande importanza e del ruolo preminente da lui riservato al Consiglio Regionale, cosa questa non scontata e mai più ripresa dopo quella stagione politica. Infatti, a partire dalla seconda repubblica sia a livello nazionale che in campo regionale è sempre prevalsa l’idea e il progetto di ritenere l’esecutivo, cioè il Governo nazionale e le Giunte Regionali, al di sopra del legislativo, ovvero del Parlamento e dei Consigli Regionali. Nel periodo attuale ne abbiamo la riprova tutti i giorni.
Nei confronti dello Stato il comportamento di Melis non è mai stato subalterno o acquiescente, ma ha sempre interloquito da pari a pari. Melis era per l’autogoverno e nel suo ruolo ha esercitato al massimo delle sue energie, nelle condizioni date, gli spazi di sovranità permessi dall’ordinamento istituzionale.
Una persona mite, passionale e determinata. Una figura che emerge quale protagonista di quella costante resistenziale teorizzata da Giovanni Lilliu, di cui si trova più di una traccia in Bellieni, tra i fondatori del PSd’Az e in quello straordinario lascito politico e culturale di Giovanni Maria Angioy di oltre due secoli fa che abbiamo già affrontato nelle iniziative della nostra scuola di cultura politica.
Un libro che merita di avere tanti lettori perché genera curiosità, attenzione e voglia di approfondire per riprendere il filo di un discorso interrotto, quello del sardismo diffuso e del possibile ruolo della Sardegna nell’Europa dei popoli di oggi e di domani.
Franco Ventroni
E’ in corso di svolgimento il ciclo di dibattiti, organizzato dalla Scuola di Cultura Politica “Francesco Cocco”, dal titolo “CENTO ANNI DOPO: il lascito di Gramsci, Lussu, Laconi e Melis“. Il 30 prossimo si terrà il webinar conclusivo su Emilio Lussu, partendo dal bel libro di Italo Birocchi su “Lussu giurista”.
L’ultimo incontro (rivedibile sul sito youtube della Scuola) in ordine di tempo, è stato dedicato alla presentazione del libro dal titolo: MARIO MELIS, Il Presidente dei Sardi, pubblicato da Arkadia Editore, scritto da Anthony Muroni, giornalista ex Direttore de l’Unione Sarda.
Dobbiamo ringraziare l’autore per averci trasmesso, attraverso questo libro, il ritratto di un politico di razza: si può, infatti, evidenziare che dai suoi comportamenti emergono alcuni tratti salienti del suo agire, soprattutto i programmi e i progetti realizzati grazie anche alla sua lungimiranza e al suo decisionismo.
Credo però che, al di là del pregevole lavoro di Muroni, occorra domandarsi se l’esperienza e la leadership di Melis e di quella coalizione abbiano lasciato alle future generazioni qualcosa di significativo.
Occorre subito precisare che la Sardegna agli inizi degli anni ’80, era attraversata da una crisi economica senza precedenti determinata dall’entrata in crisi del modello industrialista voluto dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Socialista. Lo stesso sistema dei partiti tradizionali, dilaniato da lotte intestine, evidenziava che era venuto meno anche il modello autonomista, voluto dai partiti di governo ma invocato anche dal Partito Comunista che era all’opposizione. Iniziavano anche a comparire le prime crepe dei grandi progetti imperniati sulle risorse del Piano di Rinascita.
Mario Melis fu il primo a capire che il sistema dei partiti “italiani”, come lui li chiamava, ma soprattutto quelli legati al sistema di governo nazionale, era entrato in crisi e che essi attraversavano una crisi strutturale. Anche le prove di un governo alternativo, a guida socialista, guidata da Franco Rais, andava in quella direzione. Si può, pertanto, argomentare che iniziava ad entrare in crisi, nonostante discreti consensi elettorali, il blocco monolitico democristiano.
Inizia cosi una lunga battaglia, durata alcuni anni, che vide sempre più affermarsi il suo pensiero di autonomista-federalista, prima all’interno del Partito Sardo d’Azione e successivamente all’interno della società civile della Sardegna che incoraggiò i sardisti alle scadenze elettorali di quegli anni arrivando a premiarli con un quoziente a doppia cifra e 12 Consiglieri regionali, diventando un caso nazionale. Ma ciò che appare più importante, sotto il profilo politico, è che alle elezioni del 1984, la Democrazia Cristiana oltre a perdere consensi non era più la forza di riferimento per la formazione del Governo regionale.
Credo che al Presidente Melis e al suo Partito debba essere riconosciuto il merito, insieme alla sua coalizione, di aver messo in soffitta, almeno per cinque anni, il partito della DC guidato allora dalla Giunta Roich e di aver fatto da spartiacque in un momento difficile per l’economia regionale. Questo è un lascito politico di grande importanza che molti, compresi alcuni storici, non hanno ancora compreso appieno.
Per quanto riguarda, invece, l’aspetto programmatico delle Giunte, guidate da Mario Melis credo si possa affermare, con grande onestà e fedele testimonianza, che quella fu una stagione politica feconda, piena di grandi novità e, come affermato da alcuni, persino immaginifica.
Oltre ad aver avuto il merito di aver avviato e attuato in tempi rapidi la L.R. 28/84 che recava interventi a favore della imprenditoria giovanile e alcuni interventi di politica attiva del lavoro, approvata peraltro al fotofinish dal precedente Consiglio Regionale, credo si possa convenire che una pietra miliare di quella Giunta, sia la L.R. 21/85 che oltre ad istituire un Fondo per l’assistenza per le piccole e medie imprese costituì il Consorzio 21 che diede luogo, a cascata, al CRS4 e al Parco Tecnologico e Scientifico che diede vita, nel settore privato a Video On Line e successivamente a Tiscali.
Si ricorda, inoltre, la lunga battaglia con lo Stato sulle Servitù militari, Il Piano Straordinario per il Lavoro, il Piano delle Acque. A livello urbanistico e ambientale si ricordano la Legge regionale 45/89 contenente norme per l’uso e la tutela del territorio e la Legge regionale 31/89 sulla istituzione dei Parchi in Sardegna.
Il Presidente fu promotore, altresi, del progetto di collegamento delle Dighe della Sardegna e del collaudo di una serie di bacini artificiali perché potessero invasare maggiori quantità d’acqua, eliminando cosi la penuria d’acqua nei periodi siccitosi.
Credo che ciò sia sufficiente per capire che si trattò di un periodo fecondo e di un periodo di cambiamento, anche culturale. Sono solo alcuni dati salienti di una stagione che, purtroppo, dopo abbiamo sprecato, perché nella successiva legislatura la Giunta Floris e la successiva Giunta Cabras, tornarono a Su Connottu.
Credo che l’invito rivolto da Muroni nelle conclusioni costituisca uno stimolo per l’approfondimento e soprattutto per esplorare altri dati salienti dell’uomo e del politico Mario Melis.
Pronto? Sono Mario Melis - Un ricordo affettuoso del nostro Presidente!
di Andrea Pubusa
Gennaio 1986. Sono nel mio ufficio di presidente della Prima Commissione del Consiglio regionale. Squilla il telefono. “Pronto? Sono Mario Melis”. “Buongiorno Presidente!“. Colgo dalla voce che è ombroso. Viene subito al punto con tono puntiglioso. “Senti, se vuoi paralizzare l’attività amministrativa della Giunta dillo subito“. Intuisco a cosa si riferisce, non si parlava d’altro in quei giorni in Consiglio e sulla stampa sarda. Con la sentenza n. 371, depositata il 30 dicembre del 1985, la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, secondo comma, del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, nella parte in cui si prevede che i regolamenti di esecuzione delle leggi regionali siano approvati con deliberazione della Giunta regionale, e dell’art. 2 n. 3 della legge regionale della Sardegna 7 marzo 1956, n. 37. Traduciamo in italianese? L’art. 27 dello Statuto sardo riserva la potestà legislativa e regolamentare al Consiglio regionale, tutti i regolamenti regionali, invece, sono stati approvati dall’esecutivo, seguendo il modello classico dello Stato e delle altre regioni. Dunque, tutti i regolamenti della Regione sarda sono illegittimi. Una bomba. Una tegola sulla giunta. Occorreva una veloce riapprovazione, pena la paralisi dell’amministrazione. In Consiglio fu avanzata l’idea di fare una leggina di riapprovazione generale. Come presidente della Prima (e studioso della materia) osservai che i regolamenti sono testi normativi che in Sardegna vanno approvati come le leggi, articolo per articolo e con votazione finale. Un’impresa che sembrava proibitiva. Approvare centinaia di regolamenti!
Fine della premessa.
“Caro Mario, nessun boicottaggio alla Giunta, immaginati da parte mia e del gruppo comunista! Ti assicuro che in due settimane, rimettiamo tutto a posto. Ho già allertato gli uffici per cercare e riesaminare tutti i regolamenti, riapprovarli e mandarli in Consiglio per il voto articolo per articolo e finale. Emanuele (Sanna, il presidente dell’Assemblea) è d’accordo ed è pronto“. Dall’altra parte del telefono, sentivo il respiro di Mario, che trasmetteva ansia e preoccupazione. “Tranquillo, Mario, un lavoraccio, ma siamo qui per questo”. C’erano in Consiglio allora fior di giovani funzionari (Alfonso di Giovanni, Tonino Dessì, Alessio Loi, l’attuale segretario generale Tack e altri) sempre pronti alle scommesse. Tonino, poi, era anche dirigente del PCI, e dunque impegnato per la giunta non solo professionalmente, ma politicamente. Aveva anche scritto le dichiarazioni programmatiche del Presidente. Un comandante nel luogo delle operazioni. Ero sicuro che avremmo superato l’ostacolo.
“Tranquillo Mario, siamo tutti in trincea con te come nell’Altopiano!“. Sarà questa intrigante e non casuale battuta finale, il richiamo all’Altopiano di Lussu e Bellieni, a rassicurarlo. Si sciolse. “Mi fido, vai avanti!“. “Mario, piuttosto allerta qualche funzionario della giunta da assumere a referente. Ci serve la raccolta dei regolamenti”. “Andrea, mi dicono che non c’è raccolta!!”. Pausa. Mario trasmette dai fili telefonici ansia estrema. “Vabbe’, li scoviamo uno per uno, tranquillo! Vedrai che facciamo anche un po’ di pulizia in questi testi talora ormai superati”.
Così era l’uomo, ansiotico, spesso sospettoso, ma capace di grandi e totali fiduce, se aveva la prova di avere a che fare con persone leali. Da allora il rapporto con Mario, che prima era cordiale per via di un grosso processo politico che avevamo fatto insieme, dalla stessa parte della barricata, dieci anni prima, è stato scorrevole e molto cordiale.
Un’altra volta andiamo assieme a Roma. La Commissione bicamerale Stato/Regioni, presieduta da Livio Paladin, aveva organizzato un incontro alla presenza del Presidente Pertini, del capo del governo Craxi e di tutti i presidenti delle regioni. un grande evento istituzionale. Oltre Mario Melis, era presente Emanuele Sanna, nostro presidente del Consiglio regionale, ed io come presidente della Prima Commissione competente sulla materia istituzionale. Pertini, al suo ingresso in sala, ebbe un’attenzione forte dei fotografi e cameraman. Gli altri presidenti regionali poco o niente. Quando entrò Mario, col suo immancabile doppiopetto e i quattromori all’occhiello della giacca, fu un tripudio, e lui fiero e sorridente si concesse con evidente compiacimento ai flash e alle telecamere. Era e si sentiva il presidente dei sardi. Fece un discorso da capo dei sardi, bello e appassionato, seguito in silenzio da tutti. Alla fine un fragoroso e generale applauso. Grande! Emanuele ed io ci guardammo, eravamo soddisfatti, quasi commossi. Mario era il nostro presidente, l’attenzione verso di lui era un segno di attenzione per i sardi. Che bella e indimenticabile giornata!
Mario era rappresentante dei sardi in servizio permanente ed effettivo, in ogni luogo. Un giorno, nel volo Roma/Cagliari, una signora sarda ebbe una discussione con un addetto di Alitalia. Non ricordo l’oggetto della discussione. Il tono non fu dei più cortesi. Di scatto, istintivamente, Mario si alzò dal suo posto, si presentò e ottenne le scuse di quel signore. Quella sarda, su quell’aereo, era in casa sua e meritava rispetto. Così era Mario. Talvolta sembrava eccessivo. Eppure, a pensarci bene, anche quel giorno aveva ragione lui. Era in ballo una questione di dignità e di rispetto. E su questo il nostro presidente era inflessibile
Recensione del libro “Il Presidente dei sardi”
da Democrazia Oggi
Mario Melis, un libro ricorda il Presidente dei sardi
interventi di Gianni Marilotti, Andrea Pubusa, Fernando Codonesu e Franco Ventroni, più “Un ricordo affettuoso del nostro Presidente”
E’ tempo di celebrazioni: anniversari, centenari, rievocazioni storiche, attualizzazioni politiche. A dispetto della cancel culture che impera nel nostro tempo, caratterizzato dal pensiero uniformante e dal “politicamente corretto” che pretende di cancellare la storia, sembra forte il desiderio di rievocare eventi, personaggi , passaggi epocali che hanno segnato la storia dell’umanità.
Che si tratti dei settecento anni della nascita del sommo poeta Dante Alighieri, o dei cento anni della nascita del Partito Comunista o del governo Nitti, o in previsione del centenario del brutale assassinio di Giacomo Matteotti, perfino dell’anniversario del martirio e della morte di Antonio Gramsci, fervono iniziative convegnistiche ed editoriali.
In questo tempo incerto e caotico, si sente il bisogno di riannodare i fili della memoria.
Anche la Sardegna non poteva mancare l’appuntamento con la storia. La coincidenza del centenario della fondazione del Partito Sardo d’Azione con quello della nascita di Mario Melis ha portato alla meritoria iniziativa editoriale di Arkadia e al bel libro di Anthony Muroni, Mario Melis. Il presidente dei Sardi.
Muroni, da giornalista di razza, sceglie di far raccontare Mario Melis da politici, giornalisti e personaggi pubblici che negli anni della sua Presidenza della Regione (1984-1989) hanno vissuto con lui, a volte concordando, altre volte dissentendo, una stagione politica importante nella quale – dice l’Autore – “sono state gettate le basi ancora malferme della Seconda Repubblica e della Seconda Autonomia”.
Sapientemente Muroni fa emergere dalle parole di alleati ed avversari politici la cifra di un uomo politico che ha rappresentato un punto di riferimento per il sardismo più autentico. Non ci sono tesi preconcette né giudizi apodittici in questo testo. Scopo dell’Autore è di proporci una rivisitazione di anni importanti della nostra storia recente affinché possiamo coglierne insegnamenti, intuizioni, speranze, ma anche insufficienze e limiti, tuttavia utili a proseguire il cammino verso un progetto di riscatto e di Rinascita autentica.
Il libro si apre con il delizioso capitolo introduttivo intitolato “Dinastia dei Melis”, che descrive il contesto familiare, soprattutto i rapporti coi suoi fratelli maggiori, Titino e Pietro, i primi ad accendere in lui l’amore per la Sardegna e la passione politica. In chiusura il capitolo “Addio, Presidente”, dove la parola torna alle memorie familiari, quella dei figli Laura, Michela e Antonio, che raccontano le speranze e le delusioni di un uomo che tuttavia non si è mai arreso, consapevole di quel che aveva seminato e convinto che la battaglia per l’Autonomia e il Federalismo non fosse più soltanto del PSd’AZ, ma oramai patrimonio di un “sardismo diffuso”. La parte centrale è arricchita da documenti fotografici che ripercorrono i momenti più salienti della vita pubblica e privata del Presidente e ci danno una testimonianza anche visiva della fierezza di un sardo che non si sentì né superiore né inferiore nel contesto mondiale, fossero capi di Stato, parlamentari europei, diplomatici dell’ONU, ma che semplicemente ha condotto con fermezza e determinazione una battaglia per l’emancipazione, economica e culturale, della Sardegna dal contesto coloniale nel quale si trovava e, possiamo purtroppo aggiungere, si trova ancora oggi.
Ricordo agile, veloce, ma potente. Sembra di vederlo Mario, col suo immancabile doppiopetto scuro (eleganza d’altri tempi), fiero, in posizione di combattimento quando parla della Sardegna e dei sardi, delle loro sofferenze, delle loro solitudini, mai per fare lamentazione, sempre per proporre orgogliosamente impegni da assumere, obiettivi da raggiungere, istituzioni da coinvolgere. Le sofferenze del popolo sardo Mario sembrava tenerle scolpite nell’anima, ma dalla sua bocca non veniva mai neppure un filo di rancore, di ricerca di vendetta, mai da lui, che pure venne definito da De Mita “mezzoterrorista”, un accento violento o sopra le righe. Lui aveva sempre la mano tesa perché capiva che un popolo si libera insieme agli altri popoli, che una istituzione si affranca insieme alle altre istituzioni.
In Mario l’ottimismo dell’intelligenza era sempre operante. E Anthony lo fa trasparire in ogni pagina del suo bel libro: la visita negli States e la consapevolezza che è la conquista dei mercati a dare risposta alla fame di lavoro dei sardi, la centralità mediterranea della nostra isola come punto naturale di raccolta e smistamento delle merci per l’Europa, la creazione della flotta sarda come mezzo per realizzare questo sogno. Niente forse più della sua visione del mare ci svela la sua anuma. “Il mare unisce“, diceva spesso. “E’ il mare la risorsa più grande dell’isola perché la collega al resto del mondo”, gli ho sentito ripetere più volte. E qui ecco la sua incondizionata apertura alla conoscenza, alle nuove tecnologie, al modo nuovo di comunicare, di essere distanti e vicini al tempo stesso, in un mondo in cui tempo e distanze cambiano segno rispetto al passato. La sua concezione del mare ci dice quanto lontano sia stato Mario dall’indipendentismo rozzo, de bidda, o dell’Isola intesa come bidda più grande. L’indipendentismo per lui era innazitutto capacità di sapersi orientare in questo vasto mondo e nel saper in esso ritagliarsi un presenza genuina nelle relazioni con gli altri. Certamente, questa sua visione aperta implicava un diverso assetto istituzionale, di tipo federale. Il sardismo – diceva ad ogni piè sospinto – è internazionalismo, ha un orizzonte sovranazionale. E’ lo Stato di matrice ottocentesca il nostro nemico, è questa struttura, oppressiva di tanti popoli, da abbattere in favore di organismi sovranazionali, espressione dei popoli. E’ lì che anche il popolo sardo può trovare in posizione di pari dignità con gli altri la sua liberazione economica e istituzionale. Chi cercasse in Mario Melis un moto di chiusura, non lo troverebbe mai.
Dal libro di Anthony vien fuori con naturalezza la forza anzitutto morale di quest’uomo, forza che si fondava su due pilastri saldi: l’onestà e la sua dedizione totale alla Sardegna e ai sardi. Chi ha avuto l’avventura di conoscerlo e farci qualcosa assieme ha incontrato certo molti probelmi, per la sua spigolosità, le sue ansie, le sue fissazioni, ma lo ha subito e definitivamante amato per questa sua appassionata dedizione alla causa e la sua libertà. Mario era un uomo onesto intellettualmente e libero. Ecco perché si sentiva anche un liberatore. Questo spiega perché il PCI lo volle eleggere in Senato quando il PSd’Az era ormai scomparso e perché lo sostenne senza riserve nel periodo della Presidenza. E, in fondo, anche Mario aveva chiara conspevolezza che era la squadra e il gruppo comunista che reggevano il suo sforzo. Eppure, nonostante questo legame e la riconoscenza sempre dichiarata, lui fu sempre autonomo, sapeva che il suo rapporto coi comunisti era una relazione fra liberi.
Anthony, con sapienti pennellate, ci mostra anche le radici di questa sua formazione libertaria. La famiglia Melis e i suoi primi maestri, Tittino e Pietrino, fratelli maggiori, di venti e quindici anni più grandi, verso i quali ebbe una devozione bella e rara. Tittino, da studente universitario a Milano, frequesntò gli ambienti antifascisti, fu arrestato con Ugo La Malfa e mantenne sempre una spavalda ostentazione di questa sua libertà, Pietrino, uomo di cultura sopraffina.
La Giunta Melis, a detta di molti, è stata la più innovativa e produttiva nella storia autonomistica. Non c’è campo in cui non abbia introdotto novità e stimoli (dalla tutela ambientale a all’urbanistica, dalle istituzioni all’economia), frutto di una immissione di forza e di idee sopratutto del gruppo comunista. Ma il lavoro della squadra non avrebbe raggiunto quei risultati senza lo stimolo di un presidente visionario, che si sentiva ed era il Presidente dei sardi. Sopratutto sarebbe mancato quello sfondo ideale, che colloca Mario Melis fra i protagonisti di un’idea di sardità che affonda nella storia dell’Isola. Bisognerebbe approfodire: Mario Melis evoca suggestioni e visioni liberatorie che trovano la loro lontana matrice nelle idee-forza dell’epopea angioyana e poi coi Giovanni Battista Tuveri, Giorgio Asproni e giù giù fino al sardismo maturato nelle tincee del capitano Lussu, al Gramsci federalista giunge fino a noi. E a noi pone un quesito: lo Statuto speciale ha raccolto questo lascito? Lo ha tradotto in costituzione vivente? Bene. Mario Melis è lì a dirci che ci vuole un ripensamento, che ci vuole altro. Mario c’invita ad osare ancora.
Nel nostro ciclo dedicato al centenario della fondazione del PcdI e del PSd’Az abbiamo incominciato con Antonio Gramsci e a seguire con Renzo Laconi.
Ora passiamo da Mario Melis per chiudere con Emilio Lussu nel webinar programmato per il 30 aprile.
Una scelta non casuale: è un cammino circolare che parte dalle radici e vi ritorna perché come Scuola di cultura politica siamo convinti che la conoscenza delle nostre radici sia sempre una guida valida per affrontare i problemi del presente.
Incomincio subito dicendo che Anthony Muroni ha scritto un bel libro su Mario Melis nel doppio centenario della nascita di Melis e della fondazione del PSd’Az.Nel leggere i ringraziamenti iniziali si comprende che per la scrittura di questo libro Muroni ha raccolto tanti materiali, tante testimonianze e indicazioni di vario genere da poter scrivere un volume di almeno 500 pagine, ma fortunatamente non lo ha fatto. Ha fatto un’altra cosa.
Muroni è un giornalista professionista, un bravo giornalista, per cui ha affrontato la scrittura del libro con un metodo sapiente e intelligente: ha scritto per sottrazione.
Ne risulta un volume ridotto all’essenziale, tanto sintetico quanto efficace nel descrivere a tutto tondo il personaggio Mario Melis.
Ne viene fuori un uomo onesto, politico accorto e colto, legatissimo alla famiglia, oratore raffinato e passionale, un vero leader guida di quella stagione di risveglio del popolo sardo, artefice di una stagione di semina di un sardismo diffuso, del senso della sardità e del sentirsi nazione, ancorché non teorizzata se non in piccoli e incisivi circoli e periodici culturali di allora, che mancano da diverso tempo nella politica isolana.
Melis è stato senatore nel 1976, diventa consigliere regionale nel 1979, presidente nel 1982 per la prima volta e successivamente dal 1984 al 1989, successivamente fu europarlamentare fino al 1994.
Qui ricordo che Melis è stato il padre della lotta contro le servitù militari che hanno impedito lo sviluppo economico e sociale in alcuni dei comuni maggiormente toccati da quell’infausto sistema, alfiere di quella richiesta netta allo stato centrale del loro ridimensionamento con la ridislocazione più equa nel resto dell’Italia. Nella conferenza programmatica del 1981 dedicata alle problematiche delle servitù militari, Mario Melis ebbe a dire “La solidarietà intesa come fatto unilaterale è pura ipocrisia tesa a nascondere ed a mascherare il colonialismo.
L’italianità dei sardi si misura entro i limiti della sardità degli italiani “.
Quella presa di posizione viene ricordata ancora oggi da quei giovani e quei movimenti che continuano a battersi per il superamento definitivo delle servitù militari.
Con 146 pagine, di cui 16 dedicate a testimonianze fotografiche, Muroni ci restituisce la figura di Mario Melis e di quella stagione politica che tanto ha fatto per la Sardegna e per l’organizzazione della stessa struttura regionale. Emerge il personaggio politico, l’uomo, l’intellettuale che voleva portare la Sardegna con i suoi problemi e le sue potenzialità in Europa e nel mondo.
E’ Mario Melis che parla attraverso i suoi discorsi politici e le prese di posizione nei diversi ruoli ricoperti nella sua carriera politica e negli svariati luoghi in cui ha rappresentato la Sardegna, non la sua parte, ma la Sardegna intera. Così intendeva il suo ruolo di presidente e così ha cercato di essere: il Presidente dei Sardi. Di lui parlano anche alcuni testimoni a loro volta protagonisti di quel periodo e parlano i familiari, i tre figli.
Quando si tenta di accomunare al Partito Sardo d’Azione un programma o tendenze separatiste, Melis insorge con nettezza e forza e chiarisce che “Separatismo per me è uguale a isolamento e perciò è l’esatta antitesi del sardismo. Noi vogliamo integrarci non solo con l’Italia, ma con l’Europa con una forma statale di tipo federale”.
Con Melis, il PSd’Az è chiaramente schierato a sinistra e questo ha sempre creato molti problemi ad alcuni partiti nazionali, DC soprattutto, e settori dello Stato al punto da essere stato, a quel tempo, promotore di vere e proprie provocazioni ai danni del partito e di alcuni suoi esponenti di punta.
In pochissime righe questi episodi sono tratteggiati in maniera rigorosa.
Melis è presidente della Giunta, ma anziché limitarsi ad agire come espressione del solo esecutivo agisce sempre da Presidente dei Sardi , anche in virtù della grande importanza e del ruolo preminente da lui riservato al Consiglio Regionale, cosa questa non scontata e mai più ripresa dopo quella stagione politica. Infatti, a partire dalla seconda repubblica sia a livello nazionale che in campo regionale è sempre prevalsa l’idea e il progetto di ritenere l’esecutivo, cioè il Governo nazionale e le Giunte Regionali, al di sopra del legislativo, ovvero del Parlamento e dei Consigli Regionali. Nel periodo attuale ne abbiamo la riprova tutti i giorni.
Nei confronti dello Stato il comportamento di Melis non è mai stato subalterno o acquiescente, ma ha sempre interloquito da pari a pari. Melis era per l’autogoverno e nel suo ruolo ha esercitato al massimo delle sue energie, nelle condizioni date, gli spazi di sovranità permessi dall’ordinamento istituzionale.
Una persona mite, passionale e determinata. Una figura che emerge quale protagonista di quella costante resistenziale teorizzata da Giovanni Lilliu, di cui si trova più di una traccia in Bellieni, tra i fondatori del PSd’Az e in quello straordinario lascito politico e culturale di Giovanni Maria Angioy di oltre due secoli fa che abbiamo già affrontato nelle iniziative della nostra scuola di cultura politica.
Un libro che merita di avere tanti lettori perché genera curiosità, attenzione e voglia di approfondire per riprendere il filo di un discorso interrotto, quello del sardismo diffuso e del possibile ruolo della Sardegna nell’Europa dei popoli di oggi e di domani.
E’ in corso di svolgimento il ciclo di dibattiti, organizzato dalla Scuola di Cultura Politica “Francesco Cocco”, dal titolo “CENTO ANNI DOPO: il lascito di Gramsci, Lussu, Laconi e Melis“. Il 30 prossimo si terrà il webinar conclusivo su Emilio Lussu, partendo dal bel libro di Italo Birocchi su “Lussu giurista”.
L’ultimo incontro (rivedibile sul sito youtube della Scuola) in ordine di tempo, è stato dedicato alla presentazione del libro dal titolo: MARIO MELIS, Il Presidente dei Sardi, pubblicato da Arkadia Editore, scritto da Anthony Muroni, giornalista ex Direttore de l’Unione Sarda.
Dobbiamo ringraziare l’autore per averci trasmesso, attraverso questo libro, il ritratto di un politico di razza: si può, infatti, evidenziare che dai suoi comportamenti emergono alcuni tratti salienti del suo agire, soprattutto i programmi e i progetti realizzati grazie anche alla sua lungimiranza e al suo decisionismo.
Credo però che, al di là del pregevole lavoro di Muroni, occorra domandarsi se l’esperienza e la leadership di Melis e di quella coalizione abbiano lasciato alle future generazioni qualcosa di significativo.
Occorre subito precisare che la Sardegna agli inizi degli anni ’80, era attraversata da una crisi economica senza precedenti determinata dall’entrata in crisi del modello industrialista voluto dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Socialista. Lo stesso sistema dei partiti tradizionali, dilaniato da lotte intestine, evidenziava che era venuto meno anche il modello autonomista, voluto dai partiti di governo ma invocato anche dal Partito Comunista che era all’opposizione. Iniziavano anche a comparire le prime crepe dei grandi progetti imperniati sulle risorse del Piano di Rinascita.
Mario Melis fu il primo a capire che il sistema dei partiti “italiani”, come lui li chiamava, ma soprattutto quelli legati al sistema di governo nazionale, era entrato in crisi e che essi attraversavano una crisi strutturale. Anche le prove di un governo alternativo, a guida socialista, guidata da Franco Rais, andava in quella direzione. Si può, pertanto, argomentare che iniziava ad entrare in crisi, nonostante discreti consensi elettorali, il blocco monolitico democristiano.
Inizia cosi una lunga battaglia, durata alcuni anni, che vide sempre più affermarsi il suo pensiero di autonomista-federalista, prima all’interno del Partito Sardo d’Azione e successivamente all’interno della società civile della Sardegna che incoraggiò i sardisti alle scadenze elettorali di quegli anni arrivando a premiarli con un quoziente a doppia cifra e 12 Consiglieri regionali, diventando un caso nazionale. Ma ciò che appare più importante, sotto il profilo politico, è che alle elezioni del 1984, la Democrazia Cristiana oltre a perdere consensi non era più la forza di riferimento per la formazione del Governo regionale.
Credo che al Presidente Melis e al suo Partito debba essere riconosciuto il merito, insieme alla sua coalizione, di aver messo in soffitta, almeno per cinque anni, il partito della DC guidato allora dalla Giunta Roich e di aver fatto da spartiacque in un momento difficile per l’economia regionale. Questo è un lascito politico di grande importanza che molti, compresi alcuni storici, non hanno ancora compreso appieno.
Per quanto riguarda, invece, l’aspetto programmatico delle Giunte, guidate da Mario Melis credo si possa affermare, con grande onestà e fedele testimonianza, che quella fu una stagione politica feconda, piena di grandi novità e, come affermato da alcuni, persino immaginifica.
Oltre ad aver avuto il merito di aver avviato e attuato in tempi rapidi la L.R. 28/84 che recava interventi a favore della imprenditoria giovanile e alcuni interventi di politica attiva del lavoro, approvata peraltro al fotofinish dal precedente Consiglio Regionale, credo si possa convenire che una pietra miliare di quella Giunta, sia la L.R. 21/85 che oltre ad istituire un Fondo per l’assistenza per le piccole e medie imprese costituì il Consorzio 21 che diede luogo, a cascata, al CRS4 e al Parco Tecnologico e Scientifico che diede vita, nel settore privato a Video On Line e successivamente a Tiscali.
Si ricorda, inoltre, la lunga battaglia con lo Stato sulle Servitù militari, Il Piano Straordinario per il Lavoro, il Piano delle Acque. A livello urbanistico e ambientale si ricordano la Legge regionale 45/89 contenente norme per l’uso e la tutela del territorio e la Legge regionale 31/89 sulla istituzione dei Parchi in Sardegna.
Il Presidente fu promotore, altresi, del progetto di collegamento delle Dighe della Sardegna e del collaudo di una serie di bacini artificiali perché potessero invasare maggiori quantità d’acqua, eliminando cosi la penuria d’acqua nei periodi siccitosi.
Credo che ciò sia sufficiente per capire che si trattò di un periodo fecondo e di un periodo di cambiamento, anche culturale. Sono solo alcuni dati salienti di una stagione che, purtroppo, dopo abbiamo sprecato, perché nella successiva legislatura la Giunta Floris e la successiva Giunta Cabras, tornarono a Su Connottu.
Credo che l’invito rivolto da Muroni nelle conclusioni costituisca uno stimolo per l’approfondimento e soprattutto per esplorare altri dati salienti dell’uomo e del politico Mario Melis.
di Andrea Pubusa
Gennaio 1986. Sono nel mio ufficio di presidente della Prima Commissione del Consiglio regionale. Squilla il telefono. “Pronto? Sono Mario Melis”. “Buongiorno Presidente!“. Colgo dalla voce che è ombroso. Viene subito al punto con tono puntiglioso. “Senti, se vuoi paralizzare l’attività amministrativa della Giunta dillo subito“. Intuisco a cosa si riferisce, non si parlava d’altro in quei giorni in Consiglio e sulla stampa sarda. Con la sentenza n. 371, depositata il 30 dicembre del 1985, la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, secondo comma, del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, nella parte in cui si prevede che i regolamenti di esecuzione delle leggi regionali siano approvati con deliberazione della Giunta regionale, e dell’art. 2 n. 3 della legge regionale della Sardegna 7 marzo 1956, n. 37. Traduciamo in italianese? L’art. 27 dello Statuto sardo riserva la potestà legislativa e regolamentare al Consiglio regionale, tutti i regolamenti regionali, invece, sono stati approvati dall’esecutivo, seguendo il modello classico dello Stato e delle altre regioni. Dunque, tutti i regolamenti della Regione sarda sono illegittimi. Una bomba. Una tegola sulla giunta. Occorreva una veloce riapprovazione, pena la paralisi dell’amministrazione. In Consiglio fu avanzata l’idea di fare una leggina di riapprovazione generale. Come presidente della Prima (e studioso della materia) osservai che i regolamenti sono testi normativi che in Sardegna vanno approvati come le leggi, articolo per articolo e con votazione finale. Un’impresa che sembrava proibitiva. Approvare centinaia di regolamenti!
Fine della premessa.
“Caro Mario, nessun boicottaggio alla Giunta, immaginati da parte mia e del gruppo comunista! Ti assicuro che in due settimane, rimettiamo tutto a posto. Ho già allertato gli uffici per cercare e riesaminare tutti i regolamenti, riapprovarli e mandarli in Consiglio per il voto articolo per articolo e finale. Emanuele (Sanna, il presidente dell’Assemblea) è d’accordo ed è pronto“. Dall’altra parte del telefono, sentivo il respiro di Mario, che trasmetteva ansia e preoccupazione. “Tranquillo, Mario, un lavoraccio, ma siamo qui per questo”. C’erano in Consiglio allora fior di giovani funzionari (Alfonso di Giovanni, Tonino Dessì, Alessio Loi, l’attuale segretario generale Tack e altri) sempre pronti alle scommesse. Tonino, poi, era anche dirigente del PCI, e dunque impegnato per la giunta non solo professionalmente, ma politicamente. Aveva anche scritto le dichiarazioni programmatiche del Presidente. Un comandante nel luogo delle operazioni. Ero sicuro che avremmo superato l’ostacolo.
“Tranquillo Mario, siamo tutti in trincea con te come nell’Altopiano!“. Sarà questa intrigante e non casuale battuta finale, il richiamo all’Altopiano di Lussu e Bellieni, a rassicurarlo. Si sciolse. “Mi fido, vai avanti!“. “Mario, piuttosto allerta qualche funzionario della giunta da assumere a referente. Ci serve la raccolta dei regolamenti”. “Andrea, mi dicono che non c’è raccolta!!”. Pausa. Mario trasmette dai fili telefonici ansia estrema. “Vabbe’, li scoviamo uno per uno, tranquillo! Vedrai che facciamo anche un po’ di pulizia in questi testi talora ormai superati”.
Così era l’uomo, ansiotico, spesso sospettoso, ma capace di grandi e totali fiduce, se aveva la prova di avere a che fare con persone leali. Da allora il rapporto con Mario, che prima era cordiale per via di un grosso processo politico che avevamo fatto insieme, dalla stessa parte della barricata, dieci anni prima, è stato scorrevole e molto cordiale.
Un’altra volta andiamo assieme a Roma. La Commissione bicamerale Stato/Regioni, presieduta da Livio Paladin, aveva organizzato un incontro alla presenza del Presidente Pertini, del capo del governo Craxi e di tutti i presidenti delle regioni. un grande evento istituzionale. Oltre Mario Melis, era presente Emanuele Sanna, nostro presidente del Consiglio regionale, ed io come presidente della Prima Commissione competente sulla materia istituzionale. Pertini, al suo ingresso in sala, ebbe un’attenzione forte dei fotografi e cameraman. Gli altri presidenti regionali poco o niente. Quando entrò Mario, col suo immancabile doppiopetto e i quattromori all’occhiello della giacca, fu un tripudio, e lui fiero e sorridente si concesse con evidente compiacimento ai flash e alle telecamere. Era e si sentiva il presidente dei sardi. Fece un discorso da capo dei sardi, bello e appassionato, seguito in silenzio da tutti. Alla fine un fragoroso e generale applauso. Grande! Emanuele ed io ci guardammo, eravamo soddisfatti, quasi commossi. Mario era il nostro presidente, l’attenzione verso di lui era un segno di attenzione per i sardi. Che bella e indimenticabile giornata!
Mario era rappresentante dei sardi in servizio permanente ed effettivo, in ogni luogo. Un giorno, nel volo Roma/Cagliari, una signora sarda ebbe una discussione con un addetto di Alitalia. Non ricordo l’oggetto della discussione. Il tono non fu dei più cortesi. Di scatto, istintivamente, Mario si alzò dal suo posto, si presentò e ottenne le scuse di quel signore. Quella sarda, su quell’aereo, era in casa sua e meritava rispetto. Così era Mario. Talvolta sembrava eccessivo. Eppure, a pensarci bene, anche quel giorno aveva ragione lui. Era in ballo una questione di dignità e di rispetto. E su questo il nostro presidente era inflessibile
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