Sardegna, l’isola del silenzio: perché non riusciamo a raccontare il potere, i suoi uomini e le sue dinamiche ? (dal blog di Vito Biolchini)

“Antonangelo L. – Una vita spregiudicata” è un libro unico e necessario. Pubblicato dalla Edes, è stato scritto dal giornalista sassarese (ma da vent’anni a Milano) Giovanni Seu e racconta l’ascesa e la caduta di Antonangelo Liori, enfant prodige del giornalismo e della cultura in Sardegna, diventato nel 1994 il più giovane direttore di quotidiano in Italia (il giornale era l’Unione Sarda e Liori aveva trentatré anni) e poi protagonista, insieme al suo editore Nicola Grauso, di una gestione a dir poco scriteriata del giornale, tra spericolate operazioni industriali (vi ricordate della cartiera di Arbatax?), sequestri di persona (vi ricordate di Silvia Melis?), il suicidio di un magistrato nel suo ufficio del Palazzo di Giustizia (vi ricordate di Luigi Lombardini?), operazioni politiche (vi ricordate del Nuovo Movimento?) e oscene campagne di stampa contro l’amministrazione regionale guidata dal centrosinistra, in particolare contro il suo presidente Federico Palomba. Il risarcimento delle persone offese dalle diffamazioni del giornale è costato all’Unione Sarda sette miliardi di lire, e questo vi dà la misura della follia di quegli anni deliranti e che è valsa a Liori la sacrosanta radiazione dall’Ordine dei Giornalisti.

Ma c’è di più: perché, insieme alla sua attività giornalistica, Liori ne ha portato avanti una parallela, di natura imprenditoriale, anche questa coronata da scarsi successi personali; se è vero, come è vero che, chiamato a rispondere di vari reati, è stato condannato a pene severe che, cumulate, lo avrebbero tenuto in carcere per quasi trent’anni. In realtà, in galera c’è pure finito, ma ora da qualche tempo è in libertà, essendo la sua situazione sanitaria incompatibile con la detenzione.

Raccontando le vicissitudini di Liori, il libro di Seu ricostruisce con agilità ed efficacia un pezzo di storia del giornalismo e, più in generale, della Sardegna di fine secolo scorso, ponendo delle domande a cui ho provato a rispondere ieri nel corso della presentazione del volume, organizzata a Cagliari nella sede dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna, cui hanno preso parte il presidente dell’Ordine Francesco Birocchi, lo storico Luciano Marrocu (autore della prefazione), e poi con interventi dal pubblico dell’ex caporedattore di Rai Sardegna e già direttore della sede Rai Romano Cannas, l’editore ed ex inviato del Corriere della Sera Alberto Pinna, il giornalista della Nuova Sardegna Mauro Lissia, l’ex giornalista dell’Unione Sarda Antonio Ghiani, il presidente del Corecom Sardegna Sergio Nuvoli, e l’ex giornalista dell’Unione e ora programmista Rai Serena Schiffini.

Il dibattito è stato ricco e serrato, con tanti aneddoti (alcuni sconcertanti) ma state tranquilli: non ci sarà alcun giornale che ve lo racconterà. Perché?

Per lo stesso motivo per cui un libro del genere è uscito a oltre vent’anni di distanza dagli avvenimenti e scritto da un giornalista fuori da tutti i giochi. La Sardegna non riesce a raccontare il potere. Non riesce a raccontarne le dinamiche né tantomeno a raccontare le storie e le vite di chi quel potere lo esercita. Tutto da noi si riduce in chiacchiere da bar, in battute: mai in dibattiti pubblici. Quello di ieri sera è stato una esemplare eccezione.

Antonangelo Liori meritava un libro? Assolutamente sì. Perché è importante spiegare come giornali e giornalisti possono abdicare al loro ruolo ed essere drammaticamente piegati ad interessi di parte, come è avveduto in quegli anni (e come forse sta avvenendo ancora oggi, seppur in misura minore).

Ma un libro non lo meriterebbe anche Grauso, con il suo percorso che lo ha portato a trasformarsi da “editore puro” a editore evidentemente impuro?

E, avvicinandoci ai giorni nostri, un libro non lo meriterebbe anche Christian Solinas? E Massimo Cellino? E Sergio Zuncheddu? E Renato Soru? E Giorgio Mazzella? E Antonello Cabras?

Ora, scrivo qui quello che ho detto ieri quale esempio di mancato racconto del potere da parte della nostra opinione pubblica.

Da settimane infuria la battaglia per il controllo degli aeroporti sardi. Il fondo F2i vuole acquisire gli scali di Olbia e Alghero e punta a quello di Cagliari. Della vicenda parlano tutti i giornali e tutte le tv. Ma nessuna redazione pare essersi accorta che della compagine societaria del fondo fa parte anche la Fondazione di Sardegna e che nel cda di F2i siede nientemeno che Antonello Cabras. Perché nessuno lo ha ancora scritto o detto? Perché ancora nessuno ha chiamato Cabras per chiederci di spiegare qual è la sua posizione a riguardo? E inoltre, qual è la posizione del Pd sardo, posto che di questo partito Cabras ne è un autorevole esponente? Tutto tace.

Ma non abbandonate la lettura del post ora perché adesso viene il bello.

Ieri, mentre io dicevo queste cose a Cagliari, Renato Soru interveniva ad Alghero nel corso di un dibattito sui trasporti organizzato dal Partito Sardo d’Azione. E sapete di cosa ha parlato l’ex presidente della Regione? Del ruolo all’interno di F2i della Fondazione di Sardegna e della presenza di Antonello Cabras nel cda del fondo, ponendo dunque le stesse domande che contemporaneamente ponevo io al pubblico presente nella sala dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna.

Bene: oggi sia La Nuova Sardegna che l’Unione Sarda propongono ai loro lettori un resoconto del dibattito algherese. Entrambe le testate però non riportano l’intervento di Soru, con la Nuova (nella cui compagine societaria è presente anche la Fondazione di Sardegna) che omette perfino la presenza al dibattito dell’ex presidente della Regione, mentre l’Unione ha ignorato le domande di Soru su Antonello Cabras, riportando invece altre dichiarazioni abbastanza insignificanti.

Questa è la realtà. Del potere e delle sue dinamiche in Sardegna non si può o non si riesce a parlare compiutamente e pubblicamente. Certo, ci sono delle eccezioni, e penso ai colleghi che lavorano con grande sacrificio in piccole testate (Indip e Sardinia Post su tutte), a tanti singoli giornalisti che magari scrivono su Facebook. Ma il ragionamento che faccio è più ampio e non riguarda solo gli operatori dell’informazione ma più in generale la nostra opinione pubblica negli ultimi vent’anni, che anche davanti a casi eclatanti (vogliamo parlare delle recenti disavventure giudiziarie del nostro presidente della Regione?) gira la testa dall’altra parte.

Questa omertà generalizzata è un limite mostruoso al nostro sviluppo: come si possono risolvere i problemi se continuiamo ad ignorarne la radice o li affrontiamo in maniera superficiale?

Ecco perché il libro di Giovanni Seu su Antonangelo Liori è un libro benedetto. Ma rischia di rimanere un unicum molto a lungo.

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