Un No forte e chiaro alla riforma della giustizia voluta dal governo Meloni e dalla sua maggioranza (di Federico Palomba)

Il referendum confermativo sulla riforma della giustizia approvata recentemente dal Parlamento chiede all’elettorato un pronunciamento chiaro e inequivocabile.

Se si ha a cuore la democrazia caratterizzata dall’equilibrio dei tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, che contraddistinguono la nostra Costituzione, la risposta nelle urne deve essere un No chiaro e definitivo.

Di seguito riporto almeno 11 motivi per esprimere un No convinto nelle urne.

1. I numerosi interventi che ho svolto sulla stampa, in Parlamento e in convegni contro la pseudo-riforma della giustizia contenente anche la separazione delle carriere dei magistrati valeva come contributo al dibattito parlamentare. Ora ogni commento ha un altro obiettivo: essere persuasivo ai fini del referendum confermativo dopo l’approvazione del relativo disegno di legge costituzionale. Di modo che ora vale come schieramento in vista della consultazione popolare, di portata estremamente seria e che obbliga ad argomentazioni forti. Diverse sono le aberrazioni contenute nella riforma approvata, compresa l’Alta Corte di giustizia (per nessun altro potere o ordinamento è prevista una simile distorsione). Ciò accade anche per il sorteggio, sconosciuto in altri settori dell’ordinamento con queste modalità. Ma voglio concentrarmi qui sulla separazione delle carriere di magistrati tra inquirenti e giudicanti. Perché è il tema più agitato. Cominciando con lo svelare nei fatti, fuori dall’ideologia, i clamorosi falsi problemi sottesi alla sua approvazione secondo la maggioranza.

2. Un primo argomento è che il PM è troppo forte e prevaricante sui giudicanti, che influenzerebbe verso una decisione di condanna. L’assunto è falso: più della metà dei giudizi sono difformi dalle richieste del PM. E laddove coincidano è probabilmente perché sono giuste, e non per compiacere i requirenti. Ci sono stati clamorosi fatti di cronaca che hanno smentito l’assunto, oltre la prassi quotidiana. Uno per tutti: Salvini è stato inquisito per il caso Open Arms da sette PM ed è stato assolto da un giudice unico, sul quale i PM non hanno esercitato alcun potere persuasivo. Eppure ha preso ugualmente lo slancio per ribadire la necessità dalla separazione delle carriere pur avendo la riprova del contrario. E’ chiaro che si cerca solo il pretesto.

3. Il secondo è che la trasmigrazione dei magistrati da un ruolo a un altro non consentirebbe un’adeguata specializzazione. Ma questa propensione al passaggio di funzioni non esiste, visto che solo lo 0,2% ha cambiato ruolo nei due sensi.

4. Il terzo argomento è che bisogna assicurare la parità tra accusa e difesa sganciando i PM dai giudicanti. A questa obiezione ho già risposto nel punto 1: i giudicanti sono veramente terzi e decidono del tutto autonomamente dalle richieste del PM. Altre argomentazioni seguono nei punti successivi.

5. Ed allora, se i motivi fondanti dell’operazione sono falsi, perché la maggioranza l’ha perseguita ugualmente, dato che in realtà, la politica non è stata disturbata dai giudicanti ma dai PM? (a parte le eccezioni dei migranti e l’Albania e della Corte dei Conti). Essi possono indagare segretamente, esercitano l’azione penale, dispongono della polizia giudiziaria, possono richiedere provvedimenti restrittivi della libertà, possono far sapere all’esterno che stanno indagando o essere determinanti nella privazione della libertà e darne notizia. Non per niente la politica ha parlato di giustizia ad orologeria o di giustizia politicizzata sempre in relazione ad attività dei PM nei confronti di taluno facente parte del potere di turno. Ora essi hanno deciso di separarne le carriere asseritamente per metterli sullo stesso piano della difesa.

6. In realtà, la riforma, così com’è, rafforza la magistratura inquirente, con un proprio CSM. Per di più, chiudendo il PM in un recinto solo accusatorio, se ne potenzia la “vis” accusatoria. Egli giocherà se stesso sull’accusa e terrà solo in secondo piano gli elementi a favore dell’imputato, contrariamente alla normativa attuale per la quale l’inquirente ha il dovere di ricercare le prove anche a favore dell’indagato. Ma se si dice che lo si vuole rendere simile all’avvocato, mica il difensore deve rivelare elementi contrari al suo assistito! (vedasi il punto 3). Perché quindi il PM dovrebbe portare alla luce elementi a questo favorevoli? Il rischio di farne solo un superaccusatore è grande.

7. La conseguenza è il pericolo della perdita o dell’affievolimento della cultura della giurisdizione nell’inquirente. Egli mette in gioco se stesso nel processo e può essere portato a voler vincere (perché anche in base a questo sarà valutato). Pur senza commettere niente di illegale può essere indotto ad esercitare gli ampi poteri che ha per l’affermazione di se stesso e del suo ufficio, lasciando all’avvocato il compito di far emergere gli elementi di verità e di giustizia (v. ancora il punto 3). D’altra parte, parità senza cultura della giurisdizione questo comporta. Io penso che, al contrario, invece che essere preclusa, una certa trasmigrazione di funzioni prima di quella definitiva sarebbe utile perché porterebbe il magistrato a conoscere da vicino tutti i ruoli e ad immedesimarsi in quello che non esercita in quel momento. E magari potrebbe suggerire al PM più prudenza nel disporre misure di indagine o chiedere il rinvio a giudizio.

8. Ma qui viene il punto vero della questione. E’ pensabile che la politica, allergica ai controlli, voglia proprio un pubblico ministero ancora più forte ed indipendente, che la può ancor più controllare e perseguire? Tutto si può pensare ma non che chi governa sia sprovveduto e autolesionista. Dunque, bisogna logicamente pensare che i governanti, passato un primo periodo, affermino che un potere così grande imponga un contenimento da parte della politica, di cui proclamano ingiustificatamente il primato sulla magistratura che la Costituzione non vuole, basandosi invece sul perfetto equilibrio fra i tre poteri dello Stato. La maggioranza lo va ripetendo: dal ministro Nordio al sottosegretario Mantovano (entrambi ex magistrati).

9. I mezzi per esercitare quel primato sono tanti e modulari. Avvisaglie chiare e forti ci sono già state: ad esempio abrogazione dell’abuso d’ufficio; limitazioni nel tempo delle intercettazioni; invito alla presentazione al giudice per la spiegazione delle contestazioni entro cinque giorni precedenti l’emissione di un provvedimento restrittivo (che produce di per sé il pericolo di fuga), eccetera. Nella seconda fase si comincerà coll’indicare al PM (dal Parlamento, ma in realtà dal ministro della giustizia e quindi dalla stessa maggioranza) i reati solo per i quali potrebbe procedere (per il vero, già la legge Cartabia apre una strada). Già ciò costituirebbe un vulnus all’obbligatorietà dell’azione penale, che facilmente potrebbe portare subito dopo all’abrogazione esplicita del dettato dell’art. 112 della Costituzione (già in maggioranza se n’è parlato). In tal modo sarebbe realizzato il piano della subordinazione del PM al ministro della giustizia, con buona pace dei reati commessi da membri della maggioranza o in genere dei reati dei colletti bianchi o contro la pubblica amministrazione o inerenti ai grandi affari opachi. E così la giustizia ordinaria, senza l’impulso del PM, che ha il potere di condurre indagini e chiedere al GUP il rinvio a giudizio, la fonte della giustizia penale sarebbe seccata o limitata ai reati da strada.

10. E’ fantapolitica? Secondo alcuni la maggioranza vuole solo infliggere una punizione ai magistrati. Non lo credo proprio, a ragionare con la testa del potere politico che urla al complotto dopo ogni attività di verifica della magistratura su atti o persone del governo. Si è solo voluto fare il primo passo per arrivare al controllo politico del PM. Infatti, minacciose e temibili sono al riguardo le dichiarazioni dei soliti Nordio e soprattutto Mantovano che bisogna attendere le leggi attuative di queste modifiche costituzionali. Che cosa si stanno immaginando o cosa avranno già concordato? Magari togliere poteri al PM per metterlo sullo stesso piano del difensore. Del resto, già si dice che in tutti i Paesi ove i magistrati del pubblico ministero sono separati dai giudici, essi dipendono dal ministro della giustizia. Non solo, ma possono attuare la “diversion”, cioè decidere autonomamente di non perseguire un reato, al contrario dell’Italia ove esiste l’obbligatorietà dell’azione penale e su ogni notizia di reato ci deve essere una decisione del giudice, sia pure di archiviazione. Con ciò si vanifica il controllo di legalità che la Costituzione assegna alla magistratura e si dà mani libere alla maggioranza di turno, che così controlla sia il Parlamento che la giurisdizione, invece che esserne controllata.

11. Su alcuni soggetti in campo. Il ministro della giustizia Nordio. E’ pessima la gestione del primo magistrato nella storia a ricevere quell’incarico. Questo non si è mai dato a nessun altro proveniente dall’ordine giudiziario anche per evitare una trappola: se troppo vicino alle posizioni della magistratura si direbbe che non è adatto; per evitare ciò è indotto ad accentuare la linea politica, compiacendo più di un politico stesso. Stupiscono, infatti, le riforme fatte, che nessun PM avrebbe mai proposto perché intralciano seriamente la giustizia penale; ciò a prescindere dal totale disinteresse per il suo funzionamento (personale e mezzi) e per le carceri. Di lui rimangono solo gli ostacoli frapposti alla giustizia penale. D’altra parte, nella sua maldestra difficoltà con la politica, il ministro Nordio ha candidamente invitato l’opposizione a votare la riforma perché se andasse al governo servirebbe anche ad essa: chiaro riferimento all’utilità per la sola politica e non per i cittadini. L’ANM. E’ pienamente legittimata, direi obbligata, ad esprimersi contro la riforma costituzionale non per difendere propri privilegi ma nell’interesse dei cittadini e della legalità, compiti che la Carta costituzionale le assegna. E per presidiare il principio della separazione dei poteri senza la supremazia dell’Esecutivo, che è il cardine sul quale la nostra Costituzione si fonda. Gratteri. E’ un testimone credibile ed efficace per il suo vissuto di durissimo contrasto alla criminalità e per la sua estraneità alle correnti ed alla politica. Mantovano. Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed ex magistrato anche lui, uomo di viva intelligenza politica, ha dimenticato la cultura propria del precedente ruolo per assumerne uno esclusivamente politico. E’ ispiratore delle principali mosse della premier e del governo. Di Pietro. Sono sinceramente stupito dalla sua difesa della riforma Nordio. Siamo stati insieme nella commissione giustizia della Camera ed abbiamo condiviso il duro contrasto ad un precedente tentativo di Berlusconi di far approvare un testo sostanzialmente uguale a quello approvato dalle Camere in questi giorni (A.C. 4275 della XVI legislatura presentato dal Governo nell’aprile del 2011). Posso solo pensare che la sua valutazione si limiti al testo approvato dicendo che è il completamento della riforma Vassalli. Ma così non vede oltre: che non sarebbe da lui. Corpo elettorale. Questo soggetto effettivamente è il più difficile da decifrare. E’ vero che nel referendum confermativo non c’è quorum minimo per la validità del voto; e la quantità di cittadini che hanno votato a ogni referendum ha cambiato anche vistosamente a seconda dell’interesse del quesito. Ma generalmente quello costituzionale vede un maggior afflusso alle urne, forse anche perché gli italiani sono affezionati alla Costituzione e sono molto più attenti ai suoi cambiamenti. Si dice che la fiducia dei cittadini nella magistratura sia diminuita: cosa vera alla luce della continua opera di demolizione effettuata da certa politica attraverso i mezzi di informazione soverchianti di cui dispone (praticamente possono rilasciare qualunque dichiarazione in qualunque momento). E così secondo i dati ISTAT del 2024 pubblicati in ottobre 2005 la fiducia nel sistema giudiziario è del 44%. Ma all’ultimo posto della classifica ci sono i partiti politici con un misero 23%. Questo dovrebbe far riflettere nel momento del voto sull’interesse alla riforma esclusivamente per il potere politico e dovrebbe far diffidare i votanti ed indurli al no. Per sventare un gravissimo pericolo per la Repubblica e la democrazia.

La maggiore età del PD (di Matteo Lecis Cocco Ortu)

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