Una pace perseguibile è possibile? (di Roberto Mirasola)


Sono due le notizie, tra le altre, che mi hanno colpito in questa settimana e che comportano per me un dovere morale, del tutto personale, di dire la mia.
A mio parere non può e non deve passare inosservata la relazione della commissione O.N.U. in Ucraina, che parla di «Crimini di guerra che includono uccisioni volontarie, attacchi a civili, reclusione illegale, torture, stupri, trasferimenti forzati e deportazione di bambini». Relazione a cui ha fatto seguito l’ ormai tristemente noto mandato di cattura internazionale per Putin da parte della Corte penale dell’ Aja. Si può, se si vuole, contestare la giurisdizione di quest’ultima, si può o meno contestare la sua imparzialità ma temo che non si possano ignorare i fatti riportati. Questi rimangono, e a nulla vale l’obiezione: ma allora gli USA? Gli USA, che tra l’altro non riconoscono la giurisdizione della Corte, hanno grandi responsabilità in guerre scellerate ed esecrabili.
Più volte in questi mesi si è chiamata in causa la diplomazia, più volte si è ritenuto che la svolta diplomatica avrebbe poi visto in prima linea l’ONU. Ma ora di fronte a questi orrori noi cosa rispondiamo? Tutto questo è giustificabile? Per me no, e sento il dovere di dirlo.
La seconda notizia riguarda la decisione di Polonia e Slovacchia di mandare jet all’Ucraina. Una decisione di non poca importanza, interna all’U.E. Chiamare in causa gli Stati Uniti a me sembra velleitario. Il problema è europeo ed è frutto della superficialità con la quale l’Unione ha ammesso al suo interno paesi del ex patto di Varsavia. Non sì è compreso il momento storico e non si è riusciti a creare una visione realmente europea, lasciando di fatto soli quei paesi. Risultato, oggi abbiamo Stati come Ungheria, Polonia e Romania che mettono il più delle volte in discussione gli stessi principi europei. Ma questo ancora non spiega il perché dell’attivismo bellico in primis della Polonia. Questo ha altre origini, e chiamano in causa la storia. I Polacchi, ad esempio, non hanno mai dimenticato il patto Von Ribbentrop Molotov, e soprattutto non hanno dimenticato il massacro di Katyn. Si tratta della strage di 22.000 ufficiali polacchi, prigionieri di guerra dei sovietici dal settembre 1939, i cui corpi erano stati trovati dalle truppe tedesche di occupazione in territorio sovietico nell’aprile del 1943. E così il ricordo della Seconda guerra mondiale ha per loro più ferite sul versante sovietico che su quello nazista. Così come, ad esempio, la Lettonia ha istituito un giorno per la commemorazione per le vittime del genocidio comunista. Un altro esempio, questa volta letterario, è lo scrittore russo Mikhail Shishkin in “Russki mir”, racconta che durante le sue vacanze giovanili a Vilnius venne considerato un invasore e di ciò non si stupiva. “Si calcola che tra il 1940 e il 1953 furono 203 590 le persone deportate dai paesi baltici (118 599 lituani, 52 541 lettoni e 32 540 estoni), mentre circa altrettante vennero condannate ai lavori forzati”. Le retate più consistenti si ebbero nella notte fra il 13 e il 14 giugno 1941, allorché furono deportati 15 500 Lettoni (fra cui 2400 bambini di età inferiore ai dieci anni) e tra il 14 e il 18 giugno del medesimo anno: giornate che videro la deportazione di 45 000 cittadini lituani. Stiamo parlando ovviamente dei sovietici. La Finlandia può, forse dimenticare la cosiddetta guerra d’inverno ovvero l’attacco subito nei suoi confronti dai sovietici? Io credo di no. E allora perché stupirsi della loro richiesta di adesione alla Nato?
Tutto ciò non giustifica ovviamente una guerra e non si deve accantonare la via diplomatica. La pace va perseguita con proposte serie che abbiano una visione di ordine mondiale e che tenga conto delle esigenze di tutti. Dopo la fine della guerra fredda i vincitori non pensarono a un nuovo ordine mondiale che consentisse una pace duratura. Si sottovalutò il processo di democratizzazione in Russia e gli anni Novanta portarono in dote Putin. Possiamo ignorare e giustificare ciò che si fece in Cecenia? Certo l’occidente, impegnato nell’occupazione dell’Iraq fu ben felice di avere un simile alleato. Alleato che sfuggi di mano quando inizio la politica neocoloniale nota come “estero vicino”. Così si invase la Georgia per riconoscere le repubbliche dell’Ossezia del sud e del Abkhazia, con relativa cacciata da quei territori dei Georgiani. Va detto, per inciso, che quei territori sono sempre appartenuti alla Georgia. Purtroppo, la politica della Federazione russa incrementava l’emigrazione dei suoi cittadini in quelle terre. Stessa politica portata avanti nel Donbass, ma di questo nessuno ne parla, così come non si parla mai di una guerra a noi sconosciuta: quella tra Armenia e Azerbaijan. Anche essa figlia della politica “estero vicino”. Per tacere della polveriera della Transnistria.
Chi ama la pace è consapevole di queste criticità e cerca di dare risposte ad esse. Non ci si può limitare a semplici slogan se non abbiamo chiara la matassa complessa che dobbiamo dipanare.

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