Allargamento della Ue: le questioni sul campo (di Nicolò Migheli)

Sia l’allora Cee e la Ue non si sono mai pensate come di club chiusi. Tutt’altro, l’ambizione è sempre stata di riunire in una organizzazione internazionale tutti i Paesi europei. Processo che negli anni non è stato semplice, si dovevano rispettare parametri non solo economici ma sullo Stato di diritto e sulle libertà individuali e d’impresa. Cosa che per alcuni ha comportato anni d’attesa. Parafrasando Macron, che l’ha detto per la Nato, anche per la Ue la guerra contro l’Ucraina è stato un elettroshock. Anzi Bruxelles nel giro di due anni ne ha subito due. Prima la pandemia e poi il conflitto alle frontiere dell’est. La domanda che si ripropone è se l’Unione deve trasformare in soggetto geopolitico. Lo è già per quel che riguarda l’economia e la finanza, ma se vuol essere un blocco che si confronta con i soggetti che agiscono a livello globale, come Usa, Cina, India e Russia deve avere una politica estera unitaria e una conseguente politica di difesa comune. Il mondo multipolare a cui siamo avviati comporta un proliferare di interessi con conseguenti volontà di potenza con l’aumento esponenziale delle spese in armamenti. Non vi è politica estera se non supportata dalla difesa che deve essere credibile sia nelle dotazioni che nella volontà dell’impiego. Cosa non semplice dal punto di vista culturale per un continente che avendo fatto l’esperienza dei due conflitti novecenteschi, ha difficoltà a pensarsi come potenza militare. Unica eccezione, tra i grandi, la Francia. Purtroppo il conflitto in Ucraina mostra che i rapporti economici non paiono sufficienti ad evitare i conflitti; non riescono a influenzare i processi democratici dei Paesi con cui si hanno rapporti. Ancor di meno se questi intendono usare la leva economica, in caso di crisi, come strumento di ricatto. Essere soggetto geopolitico comporta il superamento dell’unanimità delle decisioni in politica estera. Una scelta che non può essere bloccata da un solo membro. Ecco perché alcuni: i fondatori più Finlandia, Spagna e Slovenia definitisi Gruppo degli Amici caldeggiano la riforma del processo decisionale. Riforma osteggiata dal gruppo di Visegrád e dai membri piccoli dell’Unione che la vedono come diminuzione del proprio ruolo. L’Unione Europea raccoglie dentro di sé non solo 27 membri che spesso hanno interessi nazionali che possono divergere, ma culture e forze politiche con una propria idea su come deve essere lo stare insieme, quali cessioni di sovranità effettuare. L’arco delle possibilità va da chi vorrebbe la federazione, la confederazione e chi solo una zona di libero scambio. All’interno di questi orizzonti si muovono aggregazioni di Stati che vorrebbero determinare il futuro dello stare insieme e che in alcuni casi assumono posizioni che potrebbero essere definite linee di faglia. Al classico confronto tra mediterranei e membri del nord, se ne aggiungono altri. I più importanti:

I frugali. Austria, Danimarca, Olanda e Svezia, con dietro la Germania che li usa. Questi sono contrari alla riforma del Patto di Stabilità e alla condivisone del debito. I più radicali sono gli olandesi che hanno ereditato il ruolo che aveva l’UK prima della Brexit.

Mediterranei. Gruppo che riunisce Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Malta e Cipro; spingono per una maggiore integrazione, per la riforma dei trattati, vorrebbero la riforma del Trattato di Dublino per la gestione del fenomeno migratorio.

Visegrád. Gruppo creato dopo il 1991 dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, da Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, mantenutosi anche dopo l’ingresso nella Ue. Per Polonia e Ungheria con l’arrivo al potere delle destre, è stato lo strumento di pressione per le loro politiche tendenti a limitare lo Stato di diritto e la libertà di stampa, contrari alle migrazioni provenienti da Africa e Asia. Attualmente in crisi per la posizione dell’Ungheria sul conflitto in Ucraina.

Trimarium. Il gruppo che va dal Baltico al mar Nero e all’Adriatico, da cui il nome. Ne fanno parte: Austria, Bulgaria, Cechia, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria. Un insieme di Paesi che sono stati appoggiati e voluti dal Uk e con lo sguardo rivolto verso gli Usa, considerati l’unica garanzia per la loro sicurezza militare. Per i sovranisti locali una possibile Ue alternativa nel caso che Bruxelles assuma, ai loro occhi, troppi poteri.

Del Gruppo degli amici si è già detto. La Ue in tutti i decenni scorsi è stata governata da un’alleanza tra popolari, socialdemocratici e verdi. I gruppi più euroscettici come i conservatori e Identità e democrazia, di cui fanno parte la Lega e AfD tedesca, tenute all’opposizione. Tutti i programmi di allargamento che riguardano i Balcani occidentali e l’Ucraina, Moldova e Georgia dovranno essere affrontati dal nuovo Parlamento Europeo, si voterà nel 2024, dove è probabile che vincano popolari e conservatori, spostando a destra l’equilibrio politico continentale. Nel frattempo però due elezioni nazionali daranno indicazione sul futuro. In luglio di voterà in Spagna dove, stante ai sondaggi, potrebbero tornare al governo i popolari con l’apporto dei neofranchisti di Vox. In Polonia si voterà a ottobre, e ci sono segni che l’attuale governo di destra potrebbe essere sostituito dai liberali di Tusk. L’inclusione di Ucraina e Georgia già ora trova resistenze, non solo per lo stato di guerra, ma perché si ritiene che quei due paesi siano ancora lontani dal rispettare gli standard richiesti. È indubbio che solo la fine del conflitto potrà dare le condizioni per una eventuale adesione. Nel frattempo su iniziativa di Macron è sorta la Comunità politica europea. Progettata da Mitterand nel 1991 come l’embrione di una confederazione, aveva l’obbiettivo di includere i Paesi ex patto di Varsavia ed ex sovietici senza che questi non aderissero subito all’Unione. Fallì. Ora la ripropone Macron riunendo i 27 più altri 20 Stati europei ad eccezione di Bielorussia e Russia, come, forse, alternativa all’adesione. Nel processo di allargamento vi sono due convitati di pietra. Il primo è la Turchia che fece domanda addirittura nel 1966. I processi di riforma richiesti sono stati interrotti dal regime di Erdogan, ma Ankara probabilmente non entrerà mai nella Ue, per l’opposizione di alcuni stati: Francia, Germania, Grecia e Cipro e perché la sua dimensione demografica ne farebbe il membro più influente. Sempre più per volontà di Erdogan la Turchia si vive come civiltà alternativa all’Europa. Il secondo convitato è la Russia. Di tanto in tanto qualcuno o qualche forza politica, ritiene che associando la Russia alla Ue si produrrebbe un processo di pacificazione con i vicini simile a quello avutosi tra Germania e Francia. Il primo a fare una proposta in tal senso fu Silvio Berlusconi all’inizio di questo secolo. Da allora molto è cambiato. La Russia non ha mai fatto domanda. I motivi: si vive come civiltà alternativa all’Europa in un “eccezionalismo” tipico degli imperi. Dovrebbe sottostare a leggi e regolamenti cedendo autorità a Bruxelles, cosa impossibile per le sue classi dirigenti. Tanto che, a causa della guerra, si sta sospendendo o ritirando da organismi come il Consiglio d’Europa. Anche se fosse, probabilmente ci sarebbe il veto dei membri orientali dell’Unione.

Il quadro generale per nuove adesioni si mostra complicato, ma nessuna potrà esserci se l’Unione non deciderà di darsi strumenti che facilitino la presa della decisione. Il rischio è cadere nell’area di libero scambio e nell’irrilevanza nei processi globali maggiore di quella odierna.

Quale futuro per l’Unione Europea? Tra Stati membri e nuovi richiedenti (di Roberto Mirasola)
Centri migranti in Tunisia in cambio di soldi? Soluzione inaccettabile (di Tonino Dessì)

lascia qui i tuoi commenti

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.