Critica del sistema merito-centrico nell’istruzione (di Alessandro Chitti)

Roma: studente universitario 21enne si uccide in uno studentato. Studente di Chieti suicida a 29 anni per problemi all’Università. Il giallo dello studente padovano morto il giorno prima della laurea. Studentessa trovata morta allo Iulm di Milano, da mesi nessun esame. Studentessa trovata morta negli alloggi universitari di Perugia.

Questi potrebbero essere alcuni dei titoli di giornale che negli ultimi tempi rimbalzano nella cronaca italiana.

Da studente universitario sento il bisogno di esprimere la mia opinione a riguardo e nel farlo parto dalla domanda più immediata che verrebbe in mente a chiunque: cosa spinge uno studente nel fiore della sua giovinezza a prendere una tale decisione?

Si tratta di fatti estremi, tutti accumunati da un senso di fallimento e disperazione dovuto al rendimento accademico non conforme alle aspettative e alle difficoltà legate alla vita universitaria.

Alcuni di questi ragazzi prima del gesto finale hanno preso carta e penna per scusarsi con i propri famigliari, altri per immortalare la loro sofferenza, quasi a volerla intrappolare sul foglio.

Di primo acchito sembra paradossale che casi di suicidio possano verificarsi in ambiente universitario, quello che dovrebbe essere un luogo di ritrovo e condivisione oltre che di formazione, ma se si osserva con occhio più attento la condizione studentesca emergono alcuni elementi considerevoli.

Il nostro paese onora l’art. 34 della Costituzione, che sancisce il diritto allo studio al di là della propria condizione economica, destinando alcuni fondi all’erogazione di borse di studio e posti alloggio in studentati gestiti da enti regionali per il diritto allo studio.

In realtà però le risorse introdotte non sono mai sufficienti per coprire totalmente le richieste e in termini economici potremmo dire che la domanda è nettamente superiore all’offerta.

In parole più semplici molti studenti idonei non risultano beneficiari dei suddetti benefici e si trovano costretti ad affrontare completamente da soli i costi di vita sempre più esorbitanti.

In un contesto di crescente divario sociale, dove il binomio “ricco e povero” si acuisce sempre più, gli studenti più economicamente deboli vivono una situazione di profonda disparità.

Purtroppo, la scarsità di misure a sostegno del diritto allo studio è contornata da un’incessante propaganda che esalta un sistema merito-centrico dell’istruzione.

Infatti, non a caso a sostegno della campagna meritocratica possiamo leggere sulle pagine dei giornali un continuo alternarsi di articoli fortemente contrapposti tra loro: da una parte gli elogi ai fenomeni meritevoli di aver completato il percorso di studi con il massimo dei voti e in alcuni casi la metà del tempo previsto; dall’altra il compianto dei falliti che hanno deciso di togliersi la vita perché troppo deboli per affrontare la competizione.

La narrativa vigente cerca di propinare in noi studenti il senso della competizione allo scopo di raggiungere i nostri obbiettivi professionali e diventare eccellenze spendibili sul mercato del lavoro.

Ma a rigor di logica, così come nelle competizioni sportive, non dovrebbe esserci forse un unico punto di partenza affinché la gara sia valida?

La gara meritocratica invece ha diversi blocchi di partenza e un unico traguardo; è una gara che non si gioca ad armi pari, eppure, viene considerata valida a tutti gli effetti.

Il peso della competizione viene portato sulle spalle di tutti gli studenti sino all’età adulta, perché l’aspettativa del risultato ci pedina per tutta la vita lavorativa.

L’angoscia che ciò genera si aggiunge alle difficoltà economiche e sociali che la vita ci pone davanti, e per alcuni, quelli che gareggiano dai blocchi più lontani, diventa impossibile raggiungere il traguardo.

L’attuale società sembra ormai cieca e sorda di fronte alla questione universitaria così come a qualsiasi altra questione che non possa essere capitalizzata o riguardi il profitto.

Il merito e il sacrificio vengono strumentalizzati e impropriamente utilizzati come la giusta medicina per trovare il proprio posto nel mondo.

In questo scenario a dir poco desolante, sembra molto lontano il ricordo dei padri costituenti e di chi come loro ha lottato per rendere l’istruzione uno strumento di emancipazione e parificazione sociale.

Pertanto, credo che oggi più che mai sia fondamentale usare la nostra voce, imprimerla su carta e ogni altro mezzo a nostra disposizione per ricordare che l’istruzione rappresenta in primis la possibilità di costruire una propria visione di mondo e di futuro, e solo dopo uno strumento di formazione professionale.

Ricordiamoci sempre che siamo esseri umani imperfetti e che nell’imperfezione risiede la bellezza e l’ingegno della nostra specie.

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