You must be sick: Gian Luigi Gessa compie 90 anni (di Roberto Paracchini)

“You must be sick”,  Gian Luigi Gessa compie 90 anni

di Roberto Paracchini

 Quando un autore gli omaggia un suo libro, lui ringrazia; ma se successivamente gli si chiede che cosa ne pensa, a volte risponde che alla sua età “il tempo è meglio utilizzarlo con parsimonia…”; un modo gentile per soprassedere ma sempre con la sua proverbiale ironia. Gian Luigi Gessa, neuroscienziato di fama internazionale, compie, il 13 luglio 2022, 90 anni.

 Nel mondo delle neuroscienze sarde, ma anche nazionale è quasi una leggenda per come ha saputo “trasformare” il fenomeno delle tossicodipendenze in un formidabile grimaldello per approfondire il funzionamento del cervello. In Sardegna e nel resto d’Italia sono almeno una quindicina i professori ordinari che provengono dalla sua scuola, più decine di docenti associati e centinaia di ricercatori. In campo internazionale, dal Nobel Eric Kandel che scoprì come la plasticità del cervello sia determinante nell’apprendimento e nella memoria,  a Gerald Edelman che individuò i meccanismi del sistema immunitario, hanno sempre considerato il professor Gessa come uno scienziato a cui si deve il massimo rispetto scientifico perché pioniere di uno dei settori di ricerca più proficui per lo studio della complessità del cervello.

 Complessità e bellezza che Gessa ha sempre amato, anche in letteratura: se gli si chiede quali libri consiglierebbe ai giovani risponde subito, come dieci anni fa: “I demoni di Dostoevskij e Don Chisciotte di Cervantes, Splendidi”. A cui aggiunge oggi la bella e romantica poesia Loreley di Heinrich Heine.

 La storia di Gian Luigi Gessa potrebbe essere paragonata a quella di un grande ulivo, fatto di un legno anche nodoso, certo, ma pure resistentissimo e capace di resistere alle  intemperie. Un ulivo come a suo tempo il sardista Mario Melis appellò la Sardegna. E sembra quasi che il fato abbia “costruito” Gian Luigi Gessa come mirabile esempio di un possibile riscatto culturale e scientifico dell’isola, aperto al mondo e legatissimo alla sua terra.

 Un ulivo nodoso, si è detto, e scompigliato dai venti perché nella sua odissea di scienziato, ma anche di politico per una piccola parentesi da consigliere regionale (subito dribblata per via dei troppi “pescecani che vi nuotano dentro”), Gessa ha dovuto affrontare molte invidie e sgambetti su cui elegantemente  sorvola. Tuttavia un vissuto non privo di fulmini si intuisce se l’argomento cade su una possibile vita dopo la morte. Prima l’ironia guizza lapidaria: “Grazie a Dio sono ateo”; poi su paradiso e inferno prende il sopravvento il Gessa dalla battuta affilata: “Preferisco il paradiso di San Tommaso perché ti permette anche di guardare giù, verso le brutte pene dell’inferno, dove andranno tutti i tuoi nemici”. E chiude il tema con una sua battuta tipica, da neuroscienziato saggio: “Però grazie «alla marijuana naturale, endogena, che ognuno di noi ha dentro la sua testa, questi pensieri vengono cancellati».

 Gian Luigi Gessa ha mostrato, nella pratica del suo lavoro, come le scienze, le neuroscienze in questo caso siano cultura a pieno titolo, capaci di far capire meglio tante porzioni della nostra vita e del comportamento, come nelle tossicodipendenze (i primi servizi pubblici di intervento su questo problema li diresse lui) e in qualunque altro momento della nostra vita, “anche quando ci si innamora”. Per gli amanti della sociologia del procedere scientifico, il neuroscienziato ha sottolineato spesso come “oggi più che mai valga il detto la scienza siamo noi, una squadra”. Un gruppo, quindi, che sappia procedere con rigore e costanza, in primo luogo, ma anche con creatività e attenzione al mondo in cui vive, come ha fatto lui, creando quella scuola di neurofarmacologia, che venne poi chiamata dai suoi colleghi invidiosi “la banda dei sardi”.

 Sin dall’inizio un pensiero lo ha sempre accompagnato: il desiderio di mostrare come anche in Sardegna esistono tanti talenti, solo che bisogna saperli coltivare e dare loro un maestro, “che ti insegna il mestiere dello scienziato”.

 Abituato al vento a volte sferzante e al mare delle coste sarde, da lui spesso sfidati col suo surf (nel 1980 venne salvato a notte fonda al largo di Geremeas dove era stato stato sbalzato da una brutta onda, sfinito e aggrappato al suo surf), nei primi anni Settanta del secolo scorso accetto la sfida per lui più difficile.

 Allievo di William Ferrari, un farmacologo tanto geniale quanto eccentrico (d’estate utilizzava solo il camice) e anche attento alle sollecitazioni del sempre composto (in abito e cravatta anche d’estate) ma altrettanto geniale microbiologo Giuseppe Brotzu, il giovane Gessa venne mandato a specializzarsi nel più prestigioso  laboratorio di neurofarmacologia degli Usa, a Bethesda. Lì, a contatto coi migliori scienziati dell’epoca, imparò e affinò il mestiere di scienziato, sinchè seppe che a Cagliari si era aperta la possibilità di creare un istituto di farmacologia. Quindi non ebbe dubbi: scelse di rientrare.  Da quel “sì” del 1971 iniziò l’epopea di Gian Luigi Gessa neuroscienziato, oggi capo scuola di prima grandezza.

  A Cagliari, però, era tutto da costruire, come dire che Gessa poteva contare solo su Gian Luigi, sè stesso. Mancavano persino le cavie degli esperimenti (conigli e ratti). Tanto che per procurarseli, i conigli, bisognava mettersi a fare il bracconiere, girando attorno a Pula e Santadi (come lui faceva con la sua Lambretta) ma, ricorderà sempre, “ci si doveva arrangiare». In quei primi mesi gli riveniva spesso in mente la frase “You must be sick”, tu devi essere matto, che gli disse Bernard Brodie, il direttore del laboratorio di neurofarmacologia del National Institute di Bethesta, quando Gessa gli comunicò la sua decisione di rientrare. Già, si dicevano a Bethesda, forse con un po’ di ammirazione: abbandonare un istituto che fornisce tutto quello che occorre per fare ricerca, finanziamenti, cavie, personale, colleghi bravi e velocità negli approvvigionamenti di qualunque cosa occorra per fare ricerca. E per che cosa? Per una un’università alla periferia del mondo, come Cagliari: “You must be sick”.

 Gian Luigi Gessa, però, ricordava tanti suoi colleghi talentuosi e in molti di loro vedeva possibili bravi ricercatori, finiti invece a fare il medico della mutua (come si diceva allora), lavoro importantissimo ma diverso da quello di scienziato. Il primo a cadere nei suoi pensieri da maestro fu Giovanni Biggio, poi diventato anche lui professore di prima fascia. A quel tempo, però, il futuro capo scuola non poteva disporre nemmeno di un assistente. E così fu che chiese a Biggio se voleva lavorare con lui. “E per i soldi non ti preoccupare: tieni questi, intanto” e gli diede i soldi che gli aveva dato la moglie per comprare alcune tende per la sua casa. Col senno di poi si può dire che  Biggio fece benissimo ad accettare. Pian piano, infatti, l’autorevolezza dell’istituto andò aumentando e i collaboratori pure. E si cominciò a macinare idee e ipotesi di ricerca e pubblicazioni sulle più autorevoli riviste scientifiche internazionali come Scienze e Nature. E tutti i giovani che entravano nell’istituto fecero sempre diversi mesi o anni nei più qualificati centri di neuroscienze degli Usa.    

 Gessa e la sua scuola, come accennato, hanno contribuito a tracciare una strada considerata molto feconda per l’esplorazione del cervello: lo studio degli effetti delle sostanze “da abuso”: dall’eroina alla coca, dalla marijuana all’alcol, dal cioccolato al caffè. Per fare questo sono state studiate quelle sostanze chimiche (i neurotrasmettitori) presenti nel cervello e che controllano l’appetito, il sonno, l’aggressività, l’attività sessuale, il consumo di droghe, l’ansia e persino quel fenomeno che viene chiamato “noia”. Nello stesso tempo si è chiarito che quasi tutte le sostanze “da abuso” esistono già dentro il nostro cervello. E il professore, senza mai rinunciare all’ironia, ha spesso sottolineato che la sostanza endogena (che sta dentro di noi) che preferisce è quella che somiglia alla marijuana, l’anandamide che, in sanscrito, significa “felicità” e che “fa dimenticare le cose spiacevoli”. In pratica tutti possiamo sapere, grazie anche agli studi della scuola di Gessa, che ognuno di noi è come una complessa farmacia vivente che dispone di tanti e bellissimi neurotrasmettitori, che possono permetterci di sognare e volare con la fantasia agendo sulla nostra farmacia endogena, senza bisogno quindi di alcuna sostanza esterna.

 Per Gessa si potrebbe infine dire, “un grande futuro dietro le spalle”, come recita il titolo di un fortunato libro di Vittorio Gasmann? Certamente, ma anche “un grande futuro davanti alla sua mente” che lui coltiva andando tutti i giorni in istituto a seguire la ricerca di alcuni suoi collaboratori, un modo sempre giovane per coltivare i suoi neurotrasmettitori al suo piacere più grande, le neuroscienze. A questa sua vita di appassionato studioso, per i suoi 90 anni, l’università di Cagliari mercoledì 20 alle ore 11 dedicherà un incontro celebrativo nella sala congressi dell’asse didattico di medicina e chirurgia, cittadella universitaria di Monserrato.

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