Nel segno di Lussu Per una carta costituzionale dei Sardi (recensione di Fernando Codonesu)

Andrea Pubusa

Nel segno di Lussu

Per una carta costituzionale dei Sardi.

recensione di Fernando Codonesu

Nel suo nuovo libro dedicato alla storia e alle vicende politiche dei protagonisti della Sardegna e dei Sardi negli ultimi due secoli, da Angioy ad oggi, passando per Tuveri, Asproni, Gramsci, Bellieni, Lussu, Simon Mossa, Soddu e altri, Andrea Pubusa compie un percorso lungo, denso di fatti significativi, individuando un filo conduttore che attraversa l’intero periodo e che gli permette di formulare una proposta politica compiuta, con una valenza progettuale precisa.

La proposta, evidente già dal titolo, Nel segno di Lussu, per una Carta costituzionale dei Sardi, è dirimente: oggi più che mai è il tempo dell’autogoverno dell’isola e per questo obiettivo non più rinunciabile si deve andare ad una revisione, anzi ad una riscrittura dello statuto di autonomia speciale dandogli la connotazione di una Carta costituzionale del popolo sardo.

In effetti, questo è il quarto libro che Pubusa dedica agli ultimi due secoli di storia e ne rappresenta il giusto approdo.

Per comprendere questo epilogo, è corretto fare una lettura organica dei quattro libri. Per questo motivo ritengo utile riportarne almeno i titoli in questa sede, in ordine cronologico di edizione, giacché anche i titoli indicano un percorso e una direzione precisa. In quattro anni sono stati pubblicati: 1) Palabanda. La rivolta del 1812. Fatti e protagonisti di un movimento che ha scosso la Sardegna, 2019; 2) Giovanni Maria Angioy e la nazione mancata. I cento giorni che sconvolsero la Sardegna, 2020; 3) Da Angioy a Lussu. Un sentimento che in Sardegna attraversa il tempo: l’autogoverno, 2022; 4) Nel segno di Lussu. Per una carta costituzionale dei Sardi, 2023.

E’ evidente anche la progressione della politicizzazione dei titoli che rispecchiano il modo di analizzare la storia e gli accadimenti con un approccio politico sempre più marcato da parte dell’autore.

Anche la scrittura e la cifra stilistica personale diventano più efficaci, asciutti e diretti in quanto mirano all’essenza dei fatti più significativi, e qui si rivede il giurista che si basa sulla lettura attenta dei documenti, mentre viene meno la parte dubitativa del discorso, e il politico che fa una lettura più generale e mirata delle idee e dei fatti riportati.

I 29 capitoli del volume che si dipanano in appena 138 pagine, bibliografia essenziale compresa, sono leggibili ciascuno per conto loro. Si tratta di capitoli brevi, il più lungo è di 11 pagine, netti ed essenziali, che affrontano argomenti e temi fondamentali nello spazio di poche pagine. Da un lato c’è la storia e dall’altro, ma strettamente connaturata alla prima, possiamo vedere la politica, intesa in senso lato, naturalmente dal punto di vista dell’autore.

I primi 17 capitoli sono volti alla sistematizzazione dei punti più significativi affrontati nei precedenti tre volumi con lo scopo evidente di puntualizzare e approfondire i fondamenti dell’analisi politica. Nelle ultime 35 pagine viene sviluppata una proposta compiuta di riscrittura dello statuto in una prospettiva di autogoverno nell’unità della Repubblica che viene vista come uno stato federale, riprendendo in tal modo le idee di Lussu e degli altri esponenti della linea federalista sarda.

Le domande che l’autore si pone, ovvero la sostanza dei problemi di fondo da affrontare, sono in prima istanza le seguenti: pensiamo alla Sardegna come una Repubblica o come una Regione?, in un nuovo statuto, posto che le materie cosiddette concorrenti producono solo confusione, sovrapposizione di competenze e contenziosi, quali saranno le materie di stretta competenza regionale e quali quelle dello Stato?, il nuovo assetto costituzionale non assegna alla Sardegna funzioni sul fronte esterno essendo limitate esclusivamente allo Stato centrale, ma questo è accettabile dal punto di vista della collocazione geografica della nostra isola e del suo potenziale ruolo geopolitico?, sui trasporti e sull’energia decide lo Stato o la Regione come rappresentante della sovranità popolare sarda? E sulla lingua sarda e sull’energia?

Tutte domande, come si vede, centrali già nell’esperienza degli ultimi decenni della nostra storia politica e culturale ed oggi più vive che mai perché si tratta di domande ancora prive di risposta e di programmi di governo regionale adeguati almeno per l’individuazione di possibili percorsi di autogoverno da avviare.

Per quel che attiene alla seconda metà del ‘900, l’attenzione è posta sull’indipendentista integrale Antonio Simon Mossa, su Pietrino Soddu protagonista della Rinascita, sulla costante resistenziale di Giovanni Lilliu e sull’esperienza soriana vista come prassi di impostazione autocratica in contrapposizione con l’autonomismo democratico.

Infine sulla questione delle questioni, lo statuto di autonomia speciale.

La ripresa di una intervista rilasciata recentemente da Soddu in cui tra i tanti punti presi in considerazione si legge “Il futuro non è tutto nelle nostre mani. Ma se non tutto una parte significativa dipende da ciò che noi faremo … da come riusciremo a essere ancora padroni dei beni comuni, terra, aria, acqua, mare e cielo; dal tasso di libertà e di autogoverno di cui disporremo per difendere e valorizzare anche, e forse soprattutto, l’universo dei beni immateriali che costituiscono il nostro patrimonio identitario senza il quale saremo inevitabilmente travolti dalla forza degli elementi presenti nella seconda modernizzazione …”.

Nell’intervista ampiamente citata da Pubusa, Soddu insiste con autorevolezza sulla necessità dell’autogoverno.

Riprendendo le riflessioni di questi tre grandi pensatori moderni e pensando alla necessità di rivedere lo Statuto, l’autore propone la sua idea radicale già nel sottotitolo. Lo scopo è evidente: c’è bisogno di un nuovo statuto più orientato all’autogoverno per tanti motivi storico-politici, etno-culturali, economici e sociali, ma in primis perché lo statuto di autonomia speciale del 1948 non è sardo e l’autore ne propone con forza e convintamente non la semplice revisione ma la sua riscrittura. E a proposito di riscrittura la proposta è ancora più forte perché propone una Carta costituzionale dei Sardi. E’ qui, proprio in questo titolo, che si ritrova sia il filo conduttore di quella che è riconosciuta come la linea federalista sarda in cui Andrea Pubusa si riconosce, sia il lievito fecondo dell’esperienza della presidenza di Mario Melis del PSdAz degli anni ’80, l’elaborazione di Antonio Simon Mossa accanto alla riflessione profonda di Pietrino Soddu e si intravedono chiaramente alcune idee dell’area politica sarda identificata generalmente come “forze e movimenti dell’autodeterminazione”.

I concetti, le idealità più profonde di quel sottotitolo rimandano al concetto di popolo sardo, di cultura sarda, di autogoverno, di nazione e sovranità sintetizzati con il riferimento alla parola “Sardi”: tutte parole, queste, di cui non c’è minimamente traccia nel nostro statuto di autonomia speciale in vigore dal 1948, dove i rapporti tra la Regione e lo Stato vengono descritti, elencati, regolamentati e sostanziati esclusivamente in un rapporto tra “entità formali”.

In definitiva per me si tratta di un libro che, insieme agli altri tre dell’autore, ben descrive un contesto e uno scenario storico-politico di riferimento e può assumere la connotazione di una bussola nella prospettiva di un processo di autogoverno della Sardegna.

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