Perché chiediamo la libertà per Patrick Zaki (di Roberto Loddo da manifestosardo.org)

Foto di Dietrich Steinmetz

La storia della persecuzione giudiziaria di Patrick Zaki ci parla di una Unione Europea completamente pavida nel favorire la difesa dei diritti umani e lo stato di diritto e ci parla dello Stato italiano che non si è mai, in questi tre anni, distinto per responsabilità, coraggio, incisività e severità.

Al contrario. A tre anni dal giorno del suo arresto il merito delle voci che non si sono mai spente, del silenzio che non è mai calato, del sostegno che non è mai mancato, è della grande galassia di cittadine e cittadini, organizzazioni politiche, sindacali e umanitarie, galassia che chiede ancora oggi la sua liberazione definitiva, la liberazione di una persona innocente che deve ritornare a vivere la sua vita, come scrive Amnesty nell’appello pubblico.

Perché è evidente che il percorso giudiziario che l’ha coinvolto Patrick Zaki, ricercatore dell’Egyptian Iniziative for Personal Rights e studente all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, è stato determinato dalle sue opinioni politiche e dal suo impegno in favore dei diritti umani. L’accusa di propaganda sovversiva è l’accusa più comune a tutte le persone che in dittatura non vogliono stare in silenzio, a tutte le persone che non accettano le disuguaglianze, che si oppongono all’autoritarismo e che lottano quotidianamente per cambiare l’ordine delle cose esistenti.

Anche il voto del Parlamento per la cittadinanza italiana non ha rappresentato solo la conclusione, speriamo positiva, di un percorso di cittadinanza. Quel voto rappresenta tante altre cose. Quel voto ha chiesto al precedente governo italiano un cambio di strategia nelle relazioni diplomatiche e commerciali, ancora oggi basate sulle armi, con l’Egitto, e con tutti i paesi che utilizzano la violenza, il terrore e la repressione del dissenso come strumento di controllo politico e sociale. Quel voto ci parla anche oggi, e parla a maggior ragione con questo nuovo governo, di cui Fratelli D’Italia, il partito di maggioranza della presidente del consiglio, si era vergognosamente astenuto.

La sera del 7 febbraio, nel piazzale dell’Exmà di Cagliari, il gruppo di Amnesty di Cagliari ha organizzato un sit-in dedicato a Patrick Zaki a cui hanno aderito numerose organizzazioni sociali, culturali e politiche. Abbiamo aderito e partecipato anche noi del manifesto sardo perché riteniamo che l’informazione abbia un ruolo prezioso nel denunciare gli abusi e le ingiustizie ai danni delle persone impegnate nella ricerca della libertà, della democrazia e della giustizia.

Sono intervenuti Roberto Mirasola, il presidente della Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco, un luogo antifascista di confronto, cultura e proposta politica; Nicola Melis, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa e Coordinatore della facoltà di Scienze politiche; Luisa Sassu che a nome dell’Anpi della provincia di Cagliari ha parlato del sostegno dell’associazione dei partigiani e delle partigiane alla causa di Patrick Zaki e infine Matteo Cardia studente e caporedattore di TocToc Sardegna, spazio di informazione attento al tema dei diritti umani e composto da ragazzi e ragazze under-30 provenienti da realtà accademiche italiane ed europee.

Anche per questo siamo ancora qui. Da Cagliari a tutte le piazze italiane con Amnesty International per chiedere la completa libertà per Patrick Zaki insieme all’apertura di una indagine indipendente ed equa sulla tortura subita. Per chiedere che l’Unione Europea e lo Stato italiano ritrovino il coraggio che fino ad oggi è mancato nel condannare la repressione di cittadine e cittadini dissidenti in Egitto e per chiedere che si ponga un limite alle relazioni diplomatiche e una fine al commercio di armi.

Siamo scesi in piazza anche per ricordare. Per non dimenticare che ciò che è successo a Patrizk Zaki potrebbe accadere ad ognuno e ognuna di noi.

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