Resilienza, di che cosa parliamo quando usiamo questa parola

Resilienza, di che cosa parliamo quando usiamo questa parola

Di Fernando Codonesu

 

Se pensiamo agli ultimi due governi italiani, il Conte II e il governo Draghi, è almeno un anno che si discute quasi esclusivamente di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il PNRR.

Ora va bene la ripresa che è termine noto, ma si conosce davvero il significato della parola resilienza?

Allora partiamo da qui, dal significato della parola resilienza come ci viene insegnato dalle discipline tecnico scientifiche.

Detto in termini di scienza dei materiali, tutto ciò che stiamo vivendo equivale ad avere in mano dei materiali, compreso l’acciaio, che lavorano entro la fase dell’elasticità evitando di arrivare oltre il limite dello ‘snervamento’, oltre il quale le deformazioni che si registrano per qualunque carico sono oramai permanenti e ci si avvia rapidamente al crack, alla inevitabile rottura.

 

Si tratta di una caratteristica dei materiali, di tutti i materiali sia semplici che composti,  di riuscire a far fronte ad uno sforzo inatteso dovuto ad uno shock imprevisto proveniente dall’esterno e ritornare nelle condizioni iniziali una volta rimosse le cause dello shock.

Un materiale in grado di fare questo si dice resiliente e, come situazione fisica, questo accade quando il campo di funzionamento di detto materiale si mantiene entro il campo noto come “elasticità”.

Questo è esemplificato nel seguente diagramma di Hooke che prende il nome dallo studioso che si è occupato di questi problemi.

Il diagramma riporta lungo l’asse delle X le deformazioni del materiale e l’ungo l’asse Y gli sforzi o tensioni a cui viene sottoposto.

Nel tratto individuato dal segmento OA, ovvero nel campo elastico lineare, ogni tipo di sforzo viene assorbito dal materiale e al cessare della sollecitazione il materiale continua ad avere tutte le sue caratteristiche operative di funzionamento. Il piccolo tratto AB comporta che al cessare della sollecitazione viene purtroppo mantenuta una piccola deformazione la cui intensità è rappresentata dalla proiezione sull’asse delle X di una parallela al tratto lineare OA, nel punto B incomincia lo snervamento del materiale che viene completato nel punto C e da quel punto in poi si entra nel campo della plasticità con deformazioni permanenti, ovvero irreversibili, fino a quando al proseguire della sollecitazione si arriva alla rottura, ovvero al crash.

I materiali sono di natura inorganica e hanno questo comportamento semplice. Sono tanto più resilienti quanto più sono capaci di mantenere le proprie caratteristiche di massima efficienza e questo succede nel campo elastico lineare.

E’ questa la resilienza che vale per i materiali, ma vale anche per i sistemi complessi costruiti dall’uomo.

Tra questi assume una particolare importanza il sistema elettrico nazionale che è governato fisicamente dall’equilibrio in tempo reale tra domanda e offerta, anche in presenza di “disturbi” lenti del tipo a rampa, per intendersi disturbi o sollecitazioni che raggiungono il valore massimo in un lasso di tempo dei minuti o delle ore, o improvvisi, i cosiddetti disturbi a gradino (shock!) che arrivano al massimo nel giro di pochi millisecondi come un “black out”.

Il sistema è progettato in modo tale che tutti i disturbi possano essere “assorbiti” dalla rete  e in questo consiste la resilienza del sistema.  Il come, poi, viene gestito tramite la disponibilità di fonti, leggasi centrali elettriche di vario tipo, programmabili per produzione attivabile immediatamente a fronte di disturbi a gradino e progressivamente con la medesima dinamica dello sviluppo del disturbo lento, caratterizzato dalla pendenza della sua rampa a cui è stato accennato.

 

Analoghe considerazioni valgono anche nel mondo organico, dagli elementi semplici ai sistemi più complessi, pur di non fare l’errore di considerarli sistemi deterministici perché non lo sono affatto, da nessun punto di vista.

Per esempio in un incontro di pugilato, si fa per dire, in cui il protagonista è Rocky, nonostante i colpi tremendi che prende  nei vari match per esigenze di copione, alla fine il nostro Balboa riesce sempre a riprendersi e addirittura a vincere gli incontri perché mostra di essere “resiliente”.

In effetti gli esseri viventi, dai singoli individui alle comunità delle piante, degli animali e degli uomini, sono tutti entità resilienti per definizione.

L’esempio di maggiore resilienza risiede proprio nelle comunità delle piante, come i boschi e  le foreste, che sono state capaci con la loro presenza sulla terra di determinare le condizioni necessarie alla formazione della biosfera e quindi alla nascita e allo sviluppo della vita.

 

Infatti, a differenza degli animali e in particolare degli uomini, come ci ricorda Stefano Mancuso, le piante sono sistemi non gerarchici che hanno la propria intelligenza distribuita dappertutto, dalle radici alla chioma costituita da rami e foglie, e questo ha reso possibile il loro lungo viaggio fino ad arrivare a colonizzare i recessi più remoti del pianeta.

Gli animali, e noi uomini tra questi, hanno invece l’intelligenza qui considerata semplicemente come “organismo o luogo del controllo e delle decisioni” principalmente in una parte del corpo, ovvero nel cervello e nella mente. Senza approfondire la questione che ci porterebbe lontano dal nostro focus, in questa sede ci limitiamo a constatare che gli esseri viventi del mondo animale vivono nell’equilibrio tra energia ed entropia e da questo equilibrio, naturalmente instabile, ne dipende la resilienza. Si tratta, appunto, di un equilibrio instabile che va sempre curato con la  massima attenzione e da cui dipende la vita.

L’organismo vive e si sviluppa fino a quando immettiamo sufficiente energia in esso e il corpo è in grado di assimilarla e trasformarla. Quando la quantità di energia immessa non è più sufficiente a bilanciare i fenomeni degenerativi comunque insiti nell’organismo, prevale l’entropia che equivale a quanto visto nel succitato diagramma di Hooke. Da quel momento le deformazioni incominciano a divenire permanenti e non si è più in grado di tornare alle condizioni iniziali, possono intervenire malattie che saranno curate con i farmaci, gli antibiotici e quanto ci proviene dalla medicina e questo ci permetterà di continuare a vivere ancorché con gli acciacchi del caso, ma nel proseguo arrivano immancabilmente complicazioni di ogni tipo e ci si avvia con sufficiente regolarità verso l’irreversibilità della morte.

Si comprende allora che è meglio fare sempre tutto e di più per continuare a vivere in un ecosistema integrato, sostenibile e resiliente: è questo che ci permette di vivere e permette alle comunità viventi di sopravvivere e svilupparsi.

 

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