Ricordando Luca Attanasio la sua scorta e tutte le vittime rimaste senza giustizia nel paese degli ignavi. (di Rosamaria Maggio)

Avvicinandosi il terzo anniversario dell’assassinio dell’Ambasciatore Luca Attanasio, del Carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, non posso non rilevare che in questo paese di Patrioti si applicano due pesi e due misure.

La storia dell’ambasciatore straordinario e della sua scorta e che verrà ricordato su Ray Play sound dal 20 febbraio, torna spesso nei miei pensieri.

Luca Attanasio era un giovane Ambasciatore facente parte di una nuova generazione di diplomatici che hanno a cuore i paesi dove vengono inviati e che hanno abbandonato quel vecchio approccio neocolonialista (quando operano in paesi sottosviluppati o in via di sviluppo) o di sudditanza (quando inviati nel mondo occidentale).

Attanasio si occupava di appoggiare progetti di sviluppo in Congo e con il suo fedele carabiniere Vittorio Iacovacci, addetto alla sua difesa personale, e l’autista Milambo; quel giorno partiva per una nuova missione in zone del Congo pericolose, ma che conosceva, anche con la protezione del Pam, agenzia Onu.

Che cosa aveva scoperto Attanasio per essere stato cosi brutalmente ucciso assieme alla sua scorta?

Perché i funzionari Pam, tra cui un italiano, non hanno rinunciato alla immunità diplomatica se sicuri del fatto loro?

Perché’ il Governo italiano, a mezzo del suo Ministro degli esteri, nella memoria inviata al GIP del Tribunale di Roma ha sostenuto che i funzionari Pam godono per consuetudine di immunità diplomatica e non ha avuto il coraggio, dato che di consuetudine si tratta e non di norma giuridica, di modificare coraggiosamente questa prassi? Questa relazione è stata posta a fondamento della decisione del GIP che ha rigettato la richiesta di rinvio a giudizio e disposto il non luogo a procede per immunità diplomatica dei funzionari Pam. La procura ha impugnato la decisione e le famiglie delle vittime hanno accolto la decisione del PM con speranza.

Rimane l’amarezza per questo diverso atteggiamento, sia governativo che in termini di opinione pubblica, riservato invece al caso dei Marò.

Per i due fucilieri imbarcati su una petroliera, una nave mercantile battente bandiera italiana che solcava l’oceano indiano, zona a rischio pirateria, i due fucilieri erano imbarcati in virtu‘ di accordi internazionali con funzioni di protezione di natura privatistica. Ma la difesa dei marò sostenne che in questo caso si applicava la Convenzione di Montego Bay che disciplina la lotta internazionale alla pirateria. I due militari uccisero due pescatori indiani scambiandoli per pirati. L’opinione pubblica si schierò senza se e senza ma dalla parte dei Marò. Il Ministero degli esteri ne avvallò la posizione sostenendo che, fra le altre cose, i due militari dovevano essere considerati come tali, mentre la capo della diplomazia UE, Catherine Ashton, parlò di guardie private a bordo di un mercantile, dichiarazione che successivamente la Ashton modificò parlando di distaccamenti militari a bordo di navi mercantili.

I Marò, dopo varie vicende, ritorni in patria ed in India, vennero trattenuti agli arresti domiciliari presso l’Ambasciata italiana e la lunga vertenza si definì con un arbitrato in cui l’Italia pagò 1,1 milioni di euro a titolo di risarcimento per le famiglie dei pescatori e allo stato indiano e si dice una somma cospicua anche agli stessi Marò.

Un fatto è certo: i Marò uccisero per errore due pescatori indiani.

Ora mi domando: poiché’ vi sono evidenti differenze fra i due casi, Attanasio e la sua scorta vittime, i Marò sicuramente colpevoli di omicidio in virtu’ di un errore, che cosa porta un paese a schierarsi come fu allora in favore dei Marò con un tifo quasi da stadio, (un motivo giuridico ed umano poteva essere quello di impedire la pena capitale in vigore in India) ed invece a dimenticare in appena 3 anni Attanasio e la sua scorta, dove peraltro vi era anche un carabiniere?

Sicuramente questa tragedia che attanaglia gli animi dei parenti, è passata nel dimenticatoio fra i più. Giusto un ricordo nell’anniversario mentre si procede ad affossare il tutto.

Non possiamo poi dimenticare il caso di Giulio Regeni, anche lui una vittima, in questo caso dei servizi segreti egiziani per processare i quali è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della norma che non consente il processo di persone cui non sia notificata l’accusa. Senza la collaborazione egiziana infatti non si è potuta notificare agli imputati la chiamata in giudizio. La sentenza della Corte Costituzionale consentirà di svolgere il processo accertando una verità giudiziaria senza poter di fatto perseguire i colpevoli. In questo caso l’opinione pubblica è coinvolta fortemente grazie alla famiglia ed alla società’ civile.

E giungo all’ultima analogia: il caso di Ilaria Salis che è vero non è un militare, forse una insegnante, ma gli insegnanti contano ben poco come funzionari dello Stato, non svolgeva un servizio per lo stato, ma anche i Marò è dubbio che svolgessero quelle funzioni, e sicuramente questi ultimi sono rei di un reato certo, per quanto per colpa.

Ilaria Salis, semmai dovesse essere riconosciuta colpevole, potrebbe essere condannata per lesioni guaribili in 5 gg, reato che in Italia è punibile a querela di parte.

Domanda ovvia quindi: perché gli italiani difendono i Marò rei di omicidio colposo, per il quale abbiamo pagato un profumato risarcimento all’India (e si dice una somma cospicua pure ai Marò), e non ci si impegna per favorire il rientro in Italia ancorché ai domiciliari in attesa di giudizio per Ilaria o comunque presso l’Ambasciata, a Budapest,che è solitamente il perimetro di territorio nazionale ove è prevista la custodia e protezione di cittadini all’estero?

I casi in cui italiani in varie circostanze hanno ottenuto protezione in ambasciate italiane sono innumerevoli, per sottrarre i cittadini a norme locali non condivise dal nostro ordinamento democratico.

Diversi i Governi che in varie fasi hanno gestito questi drammatici fatti. Un denominatore comune: l’incapacità di rappresentare con autorevolezza il proprio Paese, privilegiando di volta in volta interessi economici o di consenso.

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