Sul rigassificatore nel porto industriale di Portovesme, comune di Portoscuso (di Fernando Codonesu)

La protesta a Portovesme (foto Legambiente)

Il presente articolo è stato predisposto in vista del seminario sull’energia che sarà organizzato prossimamente dalla scuola di cultura politica

Cosa è un rigassificatore

Il gas viaggia da un luogo di produzione ad un luogo di utilizzazione, anche per parecchie migliaia di chilometri, attraverso i gasdotti oppure per mare attraverso le navi metaniere.

Per razionalizzare il trasporto per mare il gas viaggia allo stato liquido che si raggiunge con una temperatura di circa 160 gradi sotto lo zero (-160°C).

Con questo sistema si riesce a trasportare un volume di gas pari a 600 volte la capienza della nave metaniera una volta che lo si riporta allo stato gassoso, lo stato della utilizzazione standard.

La nave rigassificatrice può essere ancorata in un tratto di mare accessibile per le metaniere, e questo richiede sempre lavori infrastrutturali talvolta lunghi e costosi (pontili di appoggio, dragaggio dei porti, grandi sistemi di sicurezza, ecc.), che devono rifornirla di gas allo stato liquido. Con il processo di rigassificazione, tale gas viene riportato allo stato gassoso per trasferirlo a terra via tubo o mediante trasporto su gomma per arrivare all’utilizzatore finale, dove sarà consumato a temperatura ambiente per gli usi civili e industriali (acqua calda sanitaria, in cucina per la cottura degli alimenti, negli impianti di riscaldamento, per produrre energia elettrica, ecc.)

In teoria i rigassificatori off shore (in mare) vengono visti e gestiti come infrastrutture non permanenti, grazie al fatto che sono subito operative e utili a tamponare l’emergenza energetica in questa fase di profonda crisi, ma non va dimenticato che ciò che è temporaneo in Italia diventa spesso stabile, permanente e irreversibile.

Si può dire che il rigassificatore previsto a Portovesme è di tipo temporaneo?

Sicuramente No, perché questo fa parte dell’attuale progetto scellerato della metanizzazione della nostra isola.

Allora siamo chiari su questo progetto.

Il progetto non è stato fatto qui in Sardegna, ma è stato deciso centralmente direttamente dal governo, prima il governo Conte II e poi il governo Draghi che è andato avanti.

Con questo governo di destra è facile prevedere che tale progetto continuerà ancora a marciare con maggiore centralismo e celerità.

Da un punto di vista tecnologico, la scelta del rigassificatore a Portovesme è in contrasto con il modello di comunità energetica regionale rinnovabile che auspichiamo, è in contrasto con la prevista creazione di un grande impianto di produzione e stoccaggio di energia da fonti rinnovabili previsto da Enel, e soprattutto è in contrasto con la realtà ambientale dell’area industriale di Portovesme, caratterizzata da un profondo inquinamento, che con tale impianto vedrebbe un aumento significativo dell’effetto cumulativo del “rischio” per la popolazione locale.

Infatti, è ampiamente noto che l’area di Portovesme ha subito e continua a subire un inquinamento ambientale pluridecennale con provate ampie gravi ripercussioni nel campo agroalimentare e sulla salute della popolazione, evidenziate ripetutamente dai medici dell’ambiente associati all’ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

Tutte le specifiche problematiche dell’inquinamento ambientale derivanti dal polo industriale di Portovesme, con l’evidenziazione delle aree da sottoporre a bonifica, sono state oggetto di relazioni, rapporti e mobilitazioni da parte delle associazioni ambientaliste come Lega Ambiente e altre.

Il Comune di Portoscuso con l’intera popolazione ha manifestato in più sedi la propria contrarietà al posizionamento dei rigassificatore nel porto industriale di Portovesme, per motivi ambientali, sanitari e per gli ulteriori riflessi negativi che potrebbero essere indotti sul turismo locale, compresa l’isola di Carloforte.

Per questi motivi la popolazione di Portoscuso si oppone da tempo in tutte le sedi contro questo rigassificatore, riconoscendovi a ragione una ulteriore concausa di potenziale inquinamento e di pericolo per la popolazione.

Considerazioni più generali e di principio

Anche in questo caso come in numerosi altri che riguardano il comparto dell’energia le decisioni del governo nazionale sono in netto contrasto con la potestà primaria della Regione e con la volontà popolare espressa dai territori interessati.

Il gas in Sardegna sarebbe stato comprensibile e auspicabile negli anni ’70 del secolo scorso.

Il progetto di metanizzazione dell’isola con 50 anni di ritardo appare sempre più come un’operazione di stampo neocoloniale.

Lo ripeto, 50 anni fa Si, oggi No perché fuori tempo massimo e non solo.

Oggi No perché la nostra condizione di insularità da debolezza si può trasformare in opportunità pur di avere una classe dirigente e una classe politica degne di questa espressione.

Infatti, la condizione di insularità e le specificità del nostro sistema energetico ci permettono di avere già oggi un modello energetico totalmente autonomo, basato sulle nostre ultime risorse naturali non ancora depredate, il sole e il vento, che possono essere utilizzate diffusamente per la costruzione di un’isola totalmente rinnovabile, organizzata intorno ad una comunità energetica regionale basata sulle istituzioni locali e su tutta la cittadinanza sarda.

In poche parole un progetto di autogoverno dell’energia per la Sardegna.

Diversificazione delle fonti di approvvigionamento

Sulla necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico credo che non vi sia alcun dubbio, specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia del 24 febbraio dello scorso anno.

Diversificazione, si badi bene, che dovrebbe riguardare una molteplicità di fonti energetiche, ma qui non si tratta di questo perché sempre di gas si sta parlando. Non lo si dice perché risulterebbe incomprensibile ai più, quando le decisioni portano ad una dipendenza da altri stati ugualmente non democratici come la Libia o l’Egitto, salvo gli USA che sono sicuramente democratici ma fanno parimenti i loro interessi, non certo quelli dell’Europa e dell’Italia (basta ragionare sui prezzi a metro cubo del gas, o se si preferisce a megawattora prodotto).

E poi c’è questa partita dei rigassificatori che tecnicamente permetterebbero di avere infrastrutture in tempi relativamente veloci, appena sei mesi, con il coinvolgimento partecipativo delle comunità locali.

Ma le comunità locali, nel caso di Portoscuso come di Piombino, altro esempio da citare, sono state coinvolte ?

No, sono state totalmente bypassate dalle decisioni nazionali!

Sulle decisioni nazionali in campo energetico contrarie alla volontà delle comunità locali basta citare in questa sede il caso emblematico dell’impianto eolico autorizzato dal governo Draghi a ridosso della miniera di Sos Enattos (Lula) che rischia di farci perdere l’ubicazione in quell’area dell’Einstein Telescope, un progetto da oltre sei miliardi di euro che porterebbe tanta occupazione di qualità e potrebbe proiettare l’intero mondo della ricerca sarda e nazionale ai vertici mondiali nel campo delle onde gravitazionali.

A me pare evidente che i tempi sono oramai maturi per tornare a rivendicare il diritto di ogni comunità locale a decidere per sé stessa e per il proprio territorio.

E’ questo il senso e il significato più profondo del diritto all’autogoverno.

Un autogoverno che va rivendicato in tutti gli ambiti, innanzitutto praticandolo ed esercitandolo a partire dalle leggi e dagli ordinamenti giuridico-istituzionali vigenti, soprattutto in campo energetico, ed estendendolo ad altri settori qualificanti.

Per tutte le motivazioni su esposte bisogna condividere la mobilitazione e la protesta della cittadinanza di Portoscuso e dire No convintamente al rigassificatore a Portovesme.

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