La guerra del gas, ripercussioni sulla politica italiana (di Roberto Mirasola)

Il 25 settembre si avvicina sempre di più ma non sembra che la campagna elettorale riesca a decollare, nessuna forza politica ad oggi ha spiegato come intende affrontare l’autunno difficile ormai alle porte. La sensazione di inadeguatezza che ne deriva è forte, e cosi mentre la nostra politica tentenna, il mondo finanziario sembra avere le idee chiare.
E’ di fine agosto la notizia, data dal Financial Times, che i grandi fondi d’investimento sembrano aver deciso di scommettere contro l’Italia, il paese U.E. con un elevato debito pubblico e con un’economia fortemente dipendente dal gas, ma soprattutto con alle porte elezioni dove chi si candida a governare non sembra in grado di dare risposte adeguate. L’Istat ha certificato l’inflazione all’8,4%, dovuta anche, ma non soltanto, alla guerra del gas che ha trascinato il vecchio continente in un’inflazione da costi che non si vedeva, perlomeno in Italia, dagli anni ottanta. Inflazione che, bisogna dire, ha origine antecedente all’inizio della guerra, non dimentichiamo che già nel 2021 i prezzi energetici iniziavano a crescere in vista della presunta ripresa economica post pandemica. La guerra ha solo accentuato il problema dando la possibilità ai grandi speculatori di incidere. Il mercato di Amsterdam che fissa il prezzo del gas in Europa si basa sui futures con pochi operatori e un volume di scambi di un solo miliardo al giorno: un mercato ballerino per definizione e meramente speculativo. Non dimentichiamo, infine, la mancanza di componenti elettronici con una forte concentrazione dell’offerta a Taiwan. Insomma il problema non è solo la guerra.
Per contrastare un’inflazione da costi a livello monetario le scelte non sono poi tante, gli interventi sono quasi obbligati: aumentare i tassi d’interesse. Così il 27 luglio la BCE aumenta i tassi d’interesse di 50 punti base, con aspettative di ulteriori rialzi a breve. Costo del denaro più elevato per le imprese e le famiglie, ma soprattutto interessi sul debito pubblico più remunerativi per chi acquista titoli pubblici, il BTp è sopra il 4%, ma chiaramente molto onerosi per lo Stato. A fronte di questa prospettiva i partiti e in particolar modo, la destra, chiedono uno scostamento di bilancio per andare incontro alle famiglie. Iniziativa lodevole ma bisognerebbe spiegare dove si intendono trovare le coperture e quali conseguenze avrebbe un ulteriore incremento del debito. Un aumento della spesa in deficit deve avere come contropartita un incremento consistente del PIL. Quali sono, dunque, le politiche economiche che si vogliono mettere in campo? L’unico intervento di cui si sente parlare è la Flat Tax. Si agirebbe, dunque, con la leva fiscale. Senza addentrarci nel merito della Flat Tax, che sarà oggetto di successive attenzioni da parte nostra, bisogna capire però quali sarebbero i risvolti positivi per le entrate erariali. Su questo fronte da più parti, voci autorevoli hanno più volte sollevato l’insostenibilità dello strumento in questione.
L’impressione è che si navighi a vista senza avere una minima idea di come affrontare la difficile congiuntura economica che sta spostando non solo gli equilibri a livello mondiale, ma è forte il rischio di un ritorno a un’economia basata sulle energie fossili a discapito delle energie rinnovabili.
Sarebbe opportuno che qualcuno iniziasse a dare risposte a questi problemi.

 

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