La guerra di Ignazio (di Carlo Dore Jr da articolo1mdp.it)

Non bastava il busto del Ducione ostentato tra i lari del focolare domestico; non bastava il tentativo di riqualificare gli oplites del battaglione Bozen alla stregua di una comitiva di festosi musicanti prossimi alla pensione; non bastava la descrizione del fascismo come “male assoluto” ma con solo riferimento alle leggi razziali.

No, non bastava. Il Presidente La Russa ha sentito il bisogno di scrivere un’altra pagina della logorante guerra con la Storia intrapresa dagli epigoni di Almirante all’indomani del loro insediamento nel piano nobile dei palazzi del potere, giungendo financo a mettere in discussione la matrice antifascista della Costituzione repubblicana, dato che nessun riferimento all’antifascismo sarebbe rinvenibile nella Carta Fondamentale. Merito dei partiti moderati, che non vollero concedere un simile regalo al PCI e all’URSS, abusivamente elevatisi a depositari esclusivi dei valori della Resistenza.

Un’altra pagina della guerra con la Storia, un’altra pagina della guerra di Ignazio: stavolta destinata a collocarsi sul pericoloso crinale in essere tra l’ostentato falso storico e la lettura grossolanamente distorsiva delle norme costituzionali. Tra il falso storico, rinvenibile nella negazione del contributo offerto da tutte le forze della sinistra italiana alla lotta di liberazione, e nel mancato riconoscimento della capacità del PCI di porsi prima come attore principale del processo costituente, e poi come forza di garanzia per quegli stessi equilibri democratici, di cui tanti, soprattutto a destra, vagheggiavano il superamento; e la lettura distorsiva del testo costituzionale, ravvisabile nella adulterata ricostruzione della genesi dei principi della Carta, prodotti dal compromesso alto tra le forze politiche che, pur animate da differenti orientamenti, trovarono proprio nella partecipazione alla Resistenza il retroterra culturale sui cui elaborare un modello di democrazia condiviso.

Viene infatti spontaneo chiedere cosa sia stato l’Antifascismo, se non un movimento a difesa di un sistema di valori: di quel sistema di valori che il Fascismo tendeva a schernire tra pose marziali e marce fuori tempo, a soffocare tra manganellate e litri di olio di ricino. Un sistema di valori: il valore della dignità della persona umana, mille volte calpestato dagli stivaloni delle squadre d’azione; il valore delle libertà associative e della libertà di manifestazione del pensiero, sterilizzato dalle leggi fascistissime; il valore dell’eguaglianza, e del rifiuto di ogni forma di discriminazione basata su ragioni etniche, religiose o politiche.

Valori, dunque: i valori dell’Antifascismo, non a caso trasfusi nei Principi Fondamentali della Costituzione, antifascista per formazione, prima che per lettera. I valori dell’antifascismo, i valori della Costituzione, idealmente incarnati in un nome e in un volto: il nome e il volto di Giacomo Matteotti, vittima fieramente consapevole di quel “male assoluto”, che invano si vorrebbe circoscritto all’orrida ridotta della stagione delle leggi razziali.

I valori dell’antifascismo, i valori della Costituzione: capaci di resistere ai falsi storici e alle distorte letture normative proposte da La Russa e dagli esponenti della destra di governo nell’ennesima pagina della loro personalissima, logorante guerra con la Storia.

Una guerra con la Storia che, prima o poi, forse, gli epigoni di Almirante scopriranno di non poter vincere.

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