Nazione-nazionalismo-guerra vs. Sovranità popolare-ripudio guerra-trattativa (di Andrea Pubusa)

Bene ha fatto chi ha sottolineato l’uso insistito della parola “nazione” nelle prime esternazìoni del nuovo presidente del consiglio. Un modo per contrapporsi alla Costituzione che non lo usa quasi mai, preferendo parlare di Repubblica, paese, Italia. Quando poi si parla di nazione, come nell’art. 9, si fa riferimento ad un fattore territoriale-culturale (paesaggio, patrimonio storico e artistico) non certo agli interessi dei ceti dominanti. Nella norma (art. 67) che vieta il vincolo di mandato dei membri del Parlamento si usa (una seconda volta, si badi) il termine nazione proprio in senso contrario a quello proprio dei nazionalisti, ossia per precludere che si facciano valere interessi particolari di gruppi di potere economico, militare, religioso e simili. Negli altri casi il sostantivo è trasformato nell’aggettivo “nazionale” (unità nazionale, rappresentata dal Presidente della Repubblica, o interesse nazionale come finalità dell’azione democratica dei partiti) e non c’è dubbio che la nuova formulazione toglie al testo ogni collegamento con umori o pulsioni nazionaliste. Generalmente anche l’aggettivo nella Legge fondamentale è sostituito da altri termini riferiti alla società, alla generalità dei cittadini: interesse sociale, funzione sociale e simili. Si evita accuratamente di evocare ogni riferimento alla nazione. Infatti, il concetto di nazione, collegato a quello di sovranità nazionale, indica, storicamente, il superamento della sovranità assoluta del monarca (principio monarchico) e il prevalere degli interessi e del potere delle classi borghesi rispetto alla corona o comunque una convergenza fra queste. Nella sua contrapposizione ad altre nazioni ha di solito una proiezione bellicista-imperialista, evoca una pretesa di supremazia. Gli interessi di una nazione si fanno valere in tutti i modi, anche con la guerra, il nazionalismo è una esasperazione di questa propensione, propria delle destre reazionarie. La Meloni si muove, nel contesto attuale, in questo orizzonte, come è attestato dalle sue simpatie internazionali e dalla stessa composizione dell’esecutivo in cui sono presenti esponenti di interessi forti a partire da Crosetto. ministro della difesa e lobbista dei produttori di armamenti. Non a caso la Meloni ha subito chiarito di essere per una accentuazione della spinta bellicista in Ucraina contro la Russia.

Il lessico nazionalista è dunque funzionale alla via bellicista per risolvere la controversia fra USA-NATO-UE/RUSSIA. Con il riarmo e l’invio di armi questo governo, proseguendo la politica del precedente, accresce i pericoli di estensione della guerra, e dunque si inserisce in una logica “nazionalista” bellicista del blocco atlantico in contrapposizione al nazionalismo russo.

Evidente il carattere polemico verso queste impostazioni della nostra Costituzione, la sovranità appartiene al popolo, non ai ceti dominanti (nazione) e per questo “l’Italia ripudia la guerra“, non ha pretese suprematiste o egemoniche proprie o di questa o quella nazione, di questo o quel blocco, e perciò demanda alle organizzazioni internazionali, a ciò preposte, la soluzione per via diplomatica delle controversie fra stati o blocchi. Come si vede, il cerchio si chiude con rigorosa linearità. L’Italia è una repubblica democratica perchè, se non per la difesa del proprio territorio, non ricorre alle armi. Anzi le ripudia perché strumentali alla guerra. Una perfetta coerenza lessicale, sostanziale e di azione. Chi critica il linguaggio nazionalista non può essere per la guerra, perché – come suol dirsi – la contraddizione nol consente. Rendere coerente lessico e sostanza impone la scelta per la pace e per la trattativa. E bisogna dirlo chiaramente, senza fermarsi al lessico. E senza equidistanze.

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