Palabanda. La rivolta del 1812 – Recensione di Fernando Codonesu

(articolo pubblicato su DemocraziaOggi)

Il libro di Andrea Pubusa, appena pubblicato da Arkadia editore e già presente in libreria, permette di conoscere meglio i fatti di Palabanda del 1812, l’anno fatidico ricordato a tutte le latitudini della Sardegna come “su famini de s’annu doxi” e, allo stesso tempo, tratteggia con grande efficacia un ritratto dei protagonisti di quegli accadimenti descrivendone, nel contempo, lo sfondo storico in cui si sono verificati.

I fatti, gli accadimenti, i personaggi, il clima politico e storico del tempo, sono questi gli elementi del campo di indagine in cui si misura Andrea Pubusa, oggi nella veste di scrittore, e non certo nella veste di storico come precisa più volte nel corso del libro, che mira alla sostanza delle cose.

Ora, cosa dice il saggio e perché è importante.
Pubusa analizza, spiega e commenta i fatti nel loro svolgimento e allo stesso tempo indaga i personaggi, per certi aspetti non limitandosi all’esteriorità conosciuta come lavoro o professione ma cercando di delinearne, ancorché ipoteticamente, il modo di pensare, di ragionare e di agire nel contesto dei fatti d’Europa e sardi della fine del settecento, dalla rivoluzione francese agli anni dell’impero napoleonico, passando per lo scommiato dei piemontesi, il risveglio dei sardi con i moti guidati da Giovanni Maria Angioy e, infine, i fatti di Palabanda.
Un piccolo grande saggio che si legge come un romanzo. Una scrittura snella, veloce, con un lessico preciso, direi da avvocato colto e profondo, con una caratterizzazione prevalentemente assertiva e capace di andare diritta agli aspetti salienti della vicenda e non rinunciando a importanti note e riferimenti bibliografici utili ad arricchire il testo.
Testo che in alcune parti riporta importanti citazioni delle fonti letterarie e storiografiche che caratterizzano quel periodo, evidenziate anche graficamente con un diverso carattere tipografico che facilita ancora di più la lettura e la scorrevolezza del testo.
E veniamo ai fatti di Palabanda. E’ una storia di una rivolta mai nata o di una congiura favorita forse da alcuni personaggi della torbida corte dei Savoia, ma sicuramente raccontata a posteriori come tale e fatta propria anche da studiosi nostrani. Tra le due letture ormai passate per “storiche”, Pubusa ha il merito di porre l’accento su un fatto innegabile, la “repressione sanguinaria preventiva” operata dai Savoia contro il gruppo di pensatori democratici cagliaritani che si riunivano nell’orto di Palabanda e che pensavano o, forse, sognavano, che la corona sabauda potesse abbracciare un’ideale più costituzionalista, aperto alle istanze democratiche e libertarie che provenivano dal popolo. Insomma, una terza via, un’ipotesi terza in grado di spiegare con buon senso e precisione i fatti accaduti.
E’ anche una storia di tradimenti, come sempre è accaduto nella storia e accade tuttora, di azioni scellerate compiute da sardi che, ponendo i propri interessi personali o di casta al di sopra di tutto e tutti pur di ingraziarsi i Savoia, hanno tradito altri sardi vendendoli in quel caso alla corona, prodigandosi per piegare e imprigionare, per esempio, i protagonisti dei moti angioyani (vedi il ruolo di Vincenzo Sulis come repressore, a posteriori ripagato dagli stessi Savoia di cui era ammiratore/servitore con il carcere), senza neanche averne avuto i “trenta denari” di rito, visti in altre epoche e tuttora presenti nel costume politico.
Un libro breve, denso e pieno di messaggi.
Un’introduzione, quattordici capitoli e una postfazione che colpiscono e riescono a portare il lettore alla necessità di approfondire i fatti del periodo e fare una scelta di campo a favore dello sviluppo delle idee democratiche, alla crescita civile di quello e del nostro tempo.
A me pare che il messaggio più forte del libro, più che la sensazione che avvolge nella sua lettura, è che si analizzino i fatti del 1812 con i suoi contenuti e i suoi contorni per parlare, per alcuni aspetti, per come è scritto, per gli interrogativi che pone e per alcune risposte che dà, di un orizzonte e un contesto temporale più ampio e non sia difficile scorgervi uno sguardo attento al nostro presente.
A mio parere non si tratta solo di un saggio. Infatti, senza pretendere di sostituire lo storico che per professione deve approfondire altri aspetti della vicenda, Pubusa ci regala comunque un quadro esauriente del periodo in esame, ancorché stringato e sintetico.
L’agile volumetto, appena 124 pagine, propone un’introduzione che ci fa conoscere le motivazioni e le circostanze anche di natura personale che hanno condotto l’autore a voler approfondire tutta la “questione Palabanda” non accontentandosi di quanto pubblicato finora anche da parte di storici qualificati, peraltro rigorosamente citati nelle note bibliografiche essenziali. Seguono 14 capitoli e una postfazione che ci riporta all’oggi, con l’individuazione del luogo in cui il protagonista principale del gruppo di Palabanda, l’avvocato Salvatore Cadeddu, trovò riparo per alcuni mesi durante la latitanza, e che oggi è meta di un percorso denominato “Cammino della libertà”.
Il primo capitolo permette di puntualizzare gli anni della “sarda rivoluzione” che storicamente viene concentrata negli anni 1793-1896 e che Pubusa, invece, propone di allargare al periodo 1793-1812. E’ questo un capitolo dedicato al contesto storico che viene sviluppato in circa 14 pagine, il più lungo del libro.
Si passa poi alla descrizione della prima repubblica italiana nata nell’isola di San Pietro (Carloforte), mentre gli altri tre capitoli sono dedicati al ruolo di due personaggi chiave di quel tempo come Vincenzo Sulis e Giovanni Maria Angioy per soffermarsi infine sul ruolo della cavalleria miliziana.
Dal sesto capitolo all’undicesimo, in appena 32 pagine, Pubusa ci descrive in un mirabile affresco i fatti di Palabanda soffermandosi sul ruolo degli intellettuali (Salvatore Cadeddu e altri) e degli artigiani accomunati dagli stessi ideali e dalla stessa tragica fine (Raimondo Sorgia e altri), in una lettura quasi gramsciana del periodo in esame. Il memoriale di Antioco Pabis, visto e qualificato come una “luce” nei misteri di Palabanda, le dieci pagine del capitolo dedicato alla tecnica repressiva dei Savoia, tendenzialmente feroce e preventiva grazie ad un sistema di spie garantito da sardi che mettevano i propri interessi al primo posto (sembra di vedere qualcosa riflesso traslato temporalmente nella politica dell’oggi) e, infine, il capitolo di chiusura sulle tracce dei luoghi della latitanza di Salvatore Cadeddu ci permettono di affiancare e condividere con l’autore il percorso della sua indagine.
La postfazione, infine, permette di chiudere il cerchio nel percorso dell’autore già annunciato compiutamente nell’introduzione. Qui trova compimento l’idea che i fatti di Palabanda, con il loro noto tragico epilogo, permettano di costruire un progetto di libertà, un’idea di rivolta “permanente” che ricorda la “costante resistenziale” di Giovanni Lilliu, impegno su cui l’autore continua a spendersi con la sua attività politica, culturale e sociale dei nostri giorni.
Insomma, un libro da leggere e di cui c’era bisogno per comprendere meglio i fatti e la situazione di quel tempo e per contribuire con grande efficacia alla costruzione dei riferimenti ideali per un percorso laico dei luoghi sacri della Sardegna, Palabanda e Il cammino della libertà tra questi, da onorare nel nostro percorso di cittadinanza attiva impegnata nella difesa della democrazia e nell’attuazione dei diritti indicati nella Costituzione.

Due appunti per la Scuola
CENA DI AUTOFINANZIAMENTO per la Scuola di Cultura Politica del 19 Luglio